domenica 30 Ottobre 2022
C’è una strana contraddizione nei criteri con cui molte persone esprimono il proprio giudizio sul valore dei prodotti culturali, e giornalistici. Da una parte c’è una richiesta diffusa di una maggior “qualità” dei suddetti prodotti, che si emancipi dai successi di numeri, vendite, pubblico: nel caso dei giornali si chiede che non cerchino clic, traffico, lettori, generando un peggioramento della loro informazione; nel caso dei programmi televisivi giornalistici (o no) si chiede che non siano dipendenti dallo share o dall’attrattiva facile e mediocre. E si condannano editori, direttori, giornalisti, che producano informazione con le priorità di tenere alti i numeri, usando mezzucci o falsificazioni. Dall’altra, però, spesso le stesse persone usano i risultati quantitativi come criterio di giudizio e condanna degli stessi prodotti: se un giornale vende poco, se un programma tv chiude, se un film è un “flop”, questi fallimenti sono usati per screditare la loro qualità. Ai talk show si rimprovera di essere divenuti passerelle di litigiosi personaggi da circo, ma quando non lo sono e chiudono per bassi risultati ricevono lo stesso critiche per quello (o rallegrate prese in giro per la loro sconfitta). Come tutti sanno ci sono sì progetti giornalistici di qualità che sanno avere successo di vendite e lettori, ma il successo di vendite e lettori non lo ottengono solo i progetti giornalistici di qualità. Se un giornale va male, non è necessariamente perché è un cattivo giornale.
Fine di questo prologo.
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