domenica 21 Gennaio 2024
Un anno e mezzo fa il New York Times pubblicò una spiegazione su come il giornale sceglie i protagonisti dei suoi “obituaries”, i necrologi che raccontano le biografie di persone morte di recente. L’articolo era interessante perché rispondeva anche più in generale alla domanda su come i giornali scelgono di quali notizie occuparsi, sulla quale i lettori spesso immaginano criteri assoluti e universali quando sono invece in gran parte arbitrari e frutto di sensibilità e valutazioni le più varie, e di cui i giornali si prendono responsabilità e titolo. E molti giornali – altri no – lo fanno in nome di quello che i fatti sembrano raccontare, e non per dare loro un valore a scapito di altri. Quello che dice il New York Times (basta sostituire le persone con i fatti nel testo) è che la scelta è una scelta professionale che un’azienda fa rispetto al tipo di prodotto che vuole offrire ai suoi clienti e a quello che decide sia il senso del proprio lavoro, come avviene in altri settori.
“Indaghiamo, studiamo e chiediamo in giro prima di decidere. A qualcuno può sembrare un processo supponente: chi ha dato a un gruppo di giornalisti il titolo di individuare chi meriti di essere ricordato, questo sì, questo sì, questo no?
La risposta è che non ce lo ha dato nessuno, perché non è sui meriti che decidiamo. Non diamo giudizi, né morali né di altro tipo, sul valore delle persone. Quello che cerchiamo di valutare invece è il valore delle notizie, che è tutta un’altra materia. Su cui non ci sono formule, sistemi di misurazione o caselle da spuntare. Bisogna ricordare che il nostro obiettivo non è rendere onore ai morti, lavoro che lasciamo agli elogi funebri. Noi cerchiamo solo di dare notizia delle morti e di riassumere le vite, mostrando perché – a nostro giudizio – quelle vite siano state significative. La spiegazione dell’articolo è nella storia che racconta”.
Fine di questo prologo.
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