domenica 26 Gennaio 2025

Charlie, che tempo fa

I molti sconvolgimenti mondiali di questi tempi stanno normalizzando molte cose che ci sarebbero sembrate impensabili solo una quindicina d’anni fa, quando i cambiamenti digitali e la politica internazionale sembravano ancora promettere sviluppi di progresso civile, di convivenza e di giustizia in linea con quelli dei sessant’anni precedenti.
I giornali – nelle loro varie forme contemporanee – sono stati travolti sia dalle proprie crisi economiche che dall’incapacità di adeguare le loro letture agli sconvolgimenti suddetti, presi tra due estremi: il cercare di applicare canoni di giudizio e analisi novecenteschi a mondi completamente nuovi – e dunque con esibita meraviglia e incredulità – e l’immergersi nei mondi nuovi con la competenza e contemporaneità che il giornalismo dovrebbe avere, e dunque trattandoli come se fossero “normali”.

In questo frullatore che ha riguardato molti aspetti diversi dell’informazione, sta venendo particolarmente frullata la questione climatica e ambientale, che sembra molto scesa nelle agende e nelle priorità anche dei mezzi di informazione che ne avevano infine intuito sia l’importanza oggettiva che l’interesse per i lettori. Ma quell’interesse – che era sempre stato difficile da ottenere – si è apparentemente smorzato, per ragioni psicologiche, sociologiche e culturali: altre priorità hanno forze molto maggiori per la maggioranza delle persone, e strumentali opposizioni alle preoccupazioni ambientali – nei media, nelle aziende, nella politica – hanno fatto un gran lavoro per screditarle o indebolirle, quelle preoccupazioni.

Il risultato è che, al momento, i rischi ambientali non sono più un argomento maggiore sui giornali, se non nella forma puntuale delle loro singole manifestazioni, l’ultima a Los Angeles: una sorta di sfondo inevitabile a cui ci stiamo abituando, al massimo capace di alimentare le ordinarie e quotidiane partigianerie politiche. La fine del mondo è ancora troppo lontana e lenta per sopravvivere nelle necessità precipitose dell’informazione: sia in quelle di chi l’informazione la produce che in quelle di chi la riceve.

Fine di questo prologo.

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