domenica 15 Dicembre 2024

Charlie, al posto degli articoli

Come raccontiamo sotto, la rivista americana Time ha presentato un esperimento di uso delle cosiddette “intelligenze artificiali” per aggiungere contenuti alle sue pagine web e per creare una nuova “esperienza interattiva”. L’esperimento non è stato descritto soltanto come uso delle AI, ma anche come tentativo di ripensare la forma dell’articolo di testo, che – malgrado oltre trent’anni di trasformazioni digitali di tutto – continua a essere il formato prevalente della produzione giornalistica.
Il precedente impegno proclamato in questo senso era stato quello del sito 
Semafor, che tuttora compone i suoi articoli secondo una specie di scaletta particolare, ma si tratta sempre di un testo con un inizio e una fine.
Il fatto è che l’articolo di testo continuo è assai tenace nelle nostre consuetudini o nelle sue efficacie, e i tentativi di proporre altri formati di informazione, anche online, finora hanno trovato spazio solo come video e podcast, ovvero quello che già avevano inventato la tv e la radio. E le proposte come quella di 
Time nascono dalla volontà di usare uno strumento nuovo ma non da una reale domanda del pubblico: ricordate che il nostro desiderio fosse di parlare o chattare con gli articoli, fino all’anno scorso?
A minacciare l’articolo oggi non è tanto un’abitudine nuova e inedita di informarsi ma la tendenza a informarsi meno e più superficialmente: la conoscenza della realtà da parte delle persone passa sempre di più per elementi minimi e atomizzati. Leggiamo i titoli, leggiamo le anteprime sui social network e su Google News, guardiamo video e “storie” di pochi secondi. Il dannato futuro del giornalismo passa anche da quello che i giornali decideranno di fare rispetto a questo: adeguarsi o opporre resistenza. Ognuna delle due scelte ha buone ragioni: e forse avrà senso seguirle tutte e due, se si vuole parlare a più persone possibile.

Fine di questo prologo.

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