domenica 16 Marzo 2025
Trovare il modo giusto per rivolgersi ai lettori, capire con che idea considerarli, è un lavoro che i giornali dovrebbero fare con molto impegno e studio. Non per ragioni demagogiche o per le retoriche sui “lettori unici padroni del giornale”: chi fa i giornali deve prendersi la responsabilità di decidere – a partire dal proprio ruolo – cosa raccontare e come, e sapere che “quello che i lettori vogliono” non è sempre coincidente con le priorità supreme dell’informazione e del giornalismo per il bene delle comunità. Ma questo non significa che lettori e lettrici non vadano compresi, ascoltati, e immaginati: e spesso si ha l’impressione che nelle loro comunicazioni alcuni giornali si rivolgano a chi li legge con condiscendenza, paternalismo, artificiosità strumentali, poco sincere. Che chi cura queste comunicazioni immagini i lettori diversi da sé, e non si rivolga a loro come farebbe coi propri vicini di scrivania.
Negli ultimi anni però progressi in questo senso se ne sono fatti, e un esempio di dieci giorni fa sul New York Times permette di isolare un approccio forse sensato, che suona sincero nel rivendicare la propria autonomia senza essere scostante rispetto alle richieste di chi legge il giornale. L’esempio è un articolo composto rispondendo a una serie di domande su come il New York Times si stia comportando nel riferire della nuova ed eccezionale amministrazione Trump: che quindi dà assoluta dignità alle domande e alle curiosità in questione, e risponde aggiungendo informazioni che chi è al di fuori della redazione inevitabilmente non conosce e condividendo alcune delle riflessioni che vengono fatte all’interno della redazione.
Chi è dentro i giornali è nella posizione di saperla più lunga rispetto al proprio lavoro, come accade in ogni lavoro: chi è fuori può essere portato a giudizi frettolosi e incompleti dovuti appunto alla sua inevitabile ignoranza di quello che succede a monte di ciò che viene pubblicato. I modi peggiori di reagire sono offendersi quando questi giudizi diventano offensivi, o all’opposto far credere che i lettori abbiano sempre ragione. In mezzo c’è spiegarsi, il modo migliore.
Fine di questo prologo.
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