domenica 3 Dicembre 2023
La lunghezza degli articoli sui giornali online è da diversi anni oggetto di cicliche discussioni, nel contesto della diminuita soglia di attenzione dei lettori e della ricchezza di attrazioni concorrenti (sui giornali cartacei si continuano grossomodo a mantenere le tradizioni, definite anche da questioni di spazio disponibile o imposto). A un certo punto venne introdotto il termine “longform” per nobilitare articoli più lunghi dell’ordinario e dare loro un’attrattiva maggiore, ma senza grandi risultati di attenzione. E un equilibrio chiaro tra quanto i lettori vogliano cose veloci e puntuali e quanto vogliano approfondimenti di più studiata confezione e completezza non si è mai trovato: probabilmente solo perché i lettori sono molte cose diverse e vogliono molte cose diverse. Il dibattito è tornato attuale anche al New York Times , a quanto ha raccontato di recente un articolo di Erik Wemple – esperto reporter sui temi del business dei giornali – sul Washington Post. Benché il Times mantenga l’importanza delle proprie inchieste molto lunghe, il direttore Kahn ha raccolto dati sul fatto che molti lettori si annoiano degli articoli che danno troppo contesto alla notizia, e anche sul fatto che chi arriva alla fine di un articolo più facilmente clicca su un altro articolo del sito. La cosa che stanno riconoscendo in molti, appunto, è che sia opportuno essere in grado di rispondere a desideri di genere opposto da parte di generi diversi di lettori.
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