domenica 17 Ottobre 2021
Il “Fondo per il pluralismo” è la quota di soldi pubblici che lo stato ha allocato per finanziare le attività di alcuni giornali, soprattutto attraverso il sistema dei “contributi diretti”, di cui abbiamo parlato molte volte. Malgrado il nome, nella pratica non contribuisce a particolari pluralismi, se non nel senso di aumentare i ricavi – e aiutare la sopravvivenza – di alcuni giornali che però non hanno niente di peculiarmente diverso da quelli che quei contributi non li ricevono: con l’eccezione maggiore di quelli destinati alle minoranze linguistiche e quindi scritti in lingue diverse dall’italiano.
Da qualche anno il fondo è alimentato anche da una quota del canone Rai pagato in bolletta, e insieme ad altri finanziamenti assottiglia il totale ricevuto effettivamente dalla Rai: questa cosa irrita e frustra la Rai, che come si sa fatica molto a far quadrare i conti. Quindi, in un tentativo tipico dei debuttanti alla guida della Rai, il nuovo amministratore delegato Fuortes ha provato a fare delle proposte per garantire maggiori ricavi alla Rai, tra cui la riconquista di quella quota oggi stornata verso il finanziamento di alcuni giornali. Ipotesi che ha allarmato la Federazione degli editori dei giornali che ha immediatamente protestato con la gravità retorica che le è abituale, senza porsi neanche in questa occasione il problema del discredito su quei contributi derivato dal fatto che per molte testate beneficiate la definzione di “cooperativa” o “non profit” è del tutto pretestuosa: tantissimi italiani pagano il canone del servizio pubblico Rai e i loro soldi vengono destinati a un gruppo di giornali e siti in concorrenza sleale con gli altri.
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