domenica 17 Dicembre 2023
Della cosiddetta “intelligenza artificiale” in relazione al giornalismo si è parlato finora in modi piuttosto confusi: gli usi e le prospettive sono ancora molto in via di comprensione, e quindi abbiamo letto soprattutto di grandi rivoluzioni e grandi allarmi ancora poco concreti. Ma alcune cose rivelatrici stanno invece succedendo, più intorno al business del giornalismo che non all’esecuzione dei singoli articoli su cui ci sono state finora le maggiori curiosità.
Quella di conseguenze già più visibili riguarda Google ed è piuttosto preoccupante per i siti di news (e non solo di news): in alcune sperimentazioni Google ha già cominciato a mostrare in testa ai suoi risultati delle ricerche delle brevi risposte di testo alla domanda contenuta nella ricerca degli utenti. Queste risposte sono composte appunto dall’AI di Google attingendo a enormi quantità di informazioni raccolte sui siti ed elaborate come testi nuovi e originali. Questo ha tre implicazioni: la prima, drammatica (il Wall Street Journal ha raccontato bene l’allarme giovedì), è che molte delle ricerche su Google non trovano più dei link su cui cliccare per avere risposta, ma ricevono già quella risposta sulla pagina di Google, e questo potenzialmente può far perdere enormi quantità di traffico ai siti; la seconda implicazione è che le risposte in questione non sono estratte dai siti originali, cosa che consentiva agli editori di rivendicare un compenso per l’uso dei loro contenuti originali e per il diritto d’autore, ma sono “inedite”, composte dall’AI; la terza implicazione è che per ottenere che i propri contenuti non vengano “dragati” dall’AI di Google i siti dovrebbero deindicizzarli, ovvero rinunciare a che poi compaiano tra i risultati delle ricerche.
Le grandi aziende giornalistiche intanto si stanno muovendo con circospezione e preoccupazione: diverse erano subito intervenute per inibire ai progetti di AI l’accesso ai propri contenuti, altre hanno iniziato trattative per ottenerne dei compensi soddisfacenti. Questa settimana è stato annunciato il maggiore accordo concluso finora, tra la grande multinazionale tedesca dell’editoria Axel Springer e la società OpenAI.
Invece il quotidiano New York Times ha deciso di investire in una persona che diriga le iniziative legate all’AI in redazione: Zach Seward è un giornalista che in passato ha fondato il sito di news Quartz, ha lavorato al Wall Street Journal e al sito di news sul giornalismo Nieman Lab. Il suo ruolo iniziale con il New York Times sarà di creare una piccola squadra e «collaborare con i dirigenti della redazione per stabilire i principi su come utilizzare e non utilizzare l’AI generativa […]. Il giornalismo del Times sarà sempre realizzato e scritto dai nostri giornalisti esperti. Ma Zach contribuirà anche a guidare il modo in cui questi nuovi strumenti possono assistere i nostri giornalisti nel loro lavoro, aiutandoci ad ampliare il nostro raggio d’azione e a espandere il nostro servizio».
Ma una seconda prospettiva preoccupante per la qualità dell’informazione e per il business dei giornali l’avevamo ipotizzata su Charlie all’inizio dell’anno e si sta concretizzando: l’AI può produrre quantità infinite di testi che sono minime variazioni rispetto ai contenuti originali raccolti, e creare opportunità di guadagno per siti in cui questa produzione è completamente automatizzata e può permettere di pubblicare quote enormi di articoli, anche in questo caso diversi dagli originali, per raccogliere traffico e ricavi pubblicitari. Il sito Semafor ha raccontato il caso di un sito di notizie finanziarie con sede in Israele che è uno dei più visitati del mondo e palesemente pubblica articoli di altri siti rielaborati dall’AI.
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