domenica 10 Ottobre 2021
Internet ha diminuito enormemente i costi di produzione di molti contenuti giornalistici, dando accesso a informazioni e materiali e fonti con maggiore facilità e minor spesa (il Post è uno dei progetti giornalistici che sono potuti nascere grazie a questo, per esempio): per molte testate, questo accesso poco costoso viene da anni portato all’estremo e tradotto nella possibilità di utilizzare tali e quali i contenuti gratuiti – o ritenuti tali – che si trovano online. Non solo l'”embedding” di video da YouTube o di post dai social network, secondo un meccanismo condiviso e promosso dalle stesse piattaforme, ma anche foto prese dai social network senza pagarne diritti o chiedere permesso agli autori, video trovati online che vengono associati a una propria pubblicità, articoli riprodotti tali e quali: in diverse misure tanti giornali hanno fatto propria una consuetudine alla disordinata libertà di manovra nata con internet, e a volte sono gli stessi giornali che protestano per la violazione del copyright sui loro articoli che vengono diffusi in rete o letti senza pagare.
Un caso ancora più ardito di questo tipo di appropriazioni è stato molto discusso questa settimana: il quotidiano londinese Daily Mail (appartenente alla categoria screditata dei “tabloid britannici”) ha direttamente convertito in un articolo di commento sul proprio sito una serie di tweet (un “thread”, come si dice) di un professore di diritto su un tema di diritti umani (pubblicato a lato dell’articolo maggiore di cronaca). Dopo le proteste e le richieste dell’autore, il giornale ha accettato di rimuovere il suo “commento” e citarlo all’interno dell’articolo principale, e di pagare l’autore 250 sterline (avevano offerto 100, ma lui gli ha fatto capire che avrebbe potuto fargli causa).
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