domenica 10 Aprile 2022
Tra le tante occasioni in cui la risposta alle domande sulle scelte del giornalismo è “dipende”, ce n’è una enorme e che in generale riguarda il chiedersi “chi vogliamo informare?”. Molte delle considerazioni che si fanno sui “lettori” sono infatti generiche e grossolane, e indicano come “lettori” tanti modi diversi di relazionarsi con l’informazione giornalistica. Uno dei quali è persino non relazionarcisi affatto.
Una prima suddivisione appena più definita è quella tra le categorie di chi legge e si informa abitualmente, e di chi non lo fa, e viene raggiunto dall’informazione solo casualmente o occasionalmente, attraverso canali indiretti. Ottenere l’attenzione dei primi o quella dei secondi sono due priorità del tutto diverse: sia nella scelta dei contenuti che dei modi con cui vengono confezionati e presentati. E il discorso vale anche se le priorità sono commerciali: ottenere che certi lettori si abbonino a una testata è un lavoro del tutto diverso se parliamo di lettori abituali o se vogliamo coinvolgere persone disabituate a pagare per l’informazione. Nelle attuali situazioni di necessità dei giornali, nessuna delle due “audience” è trascurabile.
Una ricerca del Reuters Institute pubblicata nei giorni scorsi dice delle cose interessanti per chi voglia cercare di raggiungere persone fuori dalla nicchia dei consumatori abituali di news: lettori occasionali, o diffidenti. I quali, dice la ricerca, superano il loro disinteresse a partire da molti aspetti che il giornalismo tende a ritenere laterali o marginali, come la familiarità del brand, le parole usate nei titoli, le immagini, la quantità dei like sui social network. “È superficiale pensare”, sintetizza un articolo del sito Poynter , che questi generi di lettori “possano essere conquistati solo raddoppiando gli sforzi sul buon reporting e sulla buona scrittura”. Immaginare di produrre formati di informazione diversi per pubblici diversi è probabilmente la prospettiva più ragionevole.
Fine di questo prologo.
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