domenica 3 Novembre 2024

A che punto è il guaio del Washington Post

È una delle più grosse ed esemplari storie dell’anno, intorno al business dei giornali, esemplare e illuminante di diversi aspetti che non riguardano solo il Washington Post, quindi in Charlie di oggi ce ne occupiamo più diffusamente. Il riassunto è questo.
Il CEO dell’azienda Will Lewis ha bloccato la pubblicazione di un articolo di endorsement a favore di Kamala Harris, dieci giorni prima delle elezioni, sostenendo con la redazione che la nuova linea è di non pubblicare endorsement. L’intervento così tardivo e inatteso ha spinto la redazione del giornale e molti lettori a pensare che il proprietario dell’azienda, Jeff Bezos, abbia voluto attenuare il rischio di ritorsioni da parte di Donald Trump, se fosse eletto. Ci sono state dimissioni, articoli e proteste su tutti i giornali statunitensi (anche sullo stesso Washington Post), molto concordi nell’accusare la scelta di pavidità sciagurata a fronte della delicatezza e dei rischi di queste elezioni. E soprattutto, ci sono state cancellazioni di abbonamenti, tantissime. Il Washington Post ha confermato in un articolo che sarebbero state circa 250mila in pochi giorni, un numero enorme.
Bezos ha pubblicato sul giornale un suo articolo, spiegando che la cancellazione degli endorsement presidenziali (il giornale ne ha pubblicati altri, invece) servirebbe a dare ai lettori un senso di maggiore affidabilità e minore partigianeria della testata, ma gli argomenti sono sembrati fragili a tutti, considerate le modalità della decisione e le sue contraddizioni (vedi il Prologo qui sopra).

Due aspetti della storia così come sono stati raccontati inizialmente hanno raccolto nei giorni successivi degli scetticismi: non tutti sono convinti della facile versione per cui Bezos avrebbe voluto stare attento ai suoi interessi in caso di una vittoria di Trump, perché il giornale continua a essere schierato contro Trump in modo libero e indefesso, e perché Trump stesso non è il tipo che si fa addolcire da un endorsement in meno, nelle sue minacce contro i giornali nemici. Le critiche di Bezos ai rischi degli endorsement, per quanto superficiali e contraddittorie (e gli altri endorsement pubblicati dal giornale? e si dovrebbero vietare tutti gli articoli di opinione, per evitare impressioni di partigianeria?) potrebbero essere in buona fede. E l’altro dubbio che è molto circolato riguarda l’opportunità da parte degli abbonati scontenti di boicottare proprio il giornale e la redazione che sono le vittime e i primi critici della scelta di Bezos, indebolendoli ulteriormente (“i delusi dovrebbero cancellare gli abbonamenti a Prime e boicottare Amazon, piuttosto”, si è detto molto).

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