Charlie

Estratti della newsletter sul dannato futuro dei giornali.

domenica 30 Marzo 2025

Fare un giro a Repubblica

Il quotidiano Repubblica ha comunicato che anche quest’anno offrirà due borse di studio dedicate alla memoria del proprio fondatore Eugenio Scalfari e destinate a giovani stagisti provenienti da scuole di giornalismo (saranno le stesse scuole a presentare le candidature). Le borse di studio sono “del valore di 5 mila euro, oltre ad eventuali costi di soggiorno a Roma” per un periodo fino a sei mesi.


domenica 30 Marzo 2025

Signora mia

C’è stata una piccola polemica tra il popolare giornalista del Corriere della Sera Aldo Cazzullo e un celebre bar triestino, che ha voluto difendere una propria dipendente dalle critiche di Cazzullo, a proposito della conoscenza o meno della figura dello scrittore Claudio Magris. Sabato Cazzullo ha risposto al proprietario del bar ammettendo di avere inventato un fatto ma confermando il giudizio sul personale del bar.


domenica 30 Marzo 2025

Ecco i miei gioielli

Tra le molte aziende che ottengono degli estesi benevolenti articoli sulle loro attività quando acquistano pagine pubblicitarie sui due maggiori quotidiani nazionali, una delle più frequenti in questa pratica è la società di gioielli Van Cleef & Arpels. Dello stesso trattamento ottenuto una settimana fa sul Corriere della Sera ha beneficiato anche su Repubblica, con inserzioni a pagamento e articolo conseguente, sempre in promozione della stessa iniziativa.


domenica 30 Marzo 2025

Angelucci contro Cairo

In un programma sulla televisione La7, Piazza Pulita , è stato trasmesso giovedì un servizio ricco di accuse diverse nei confronti delle attività e degli affari del deputato della Lega Antonio Angelucci. Angelucci è anche il proprietario del quotidiano Libero, e quindi l’indomani Libero ha pubblicato un ritratto minaccioso nei confronti di Urbano Cairo, editore della tv La7 e anche del Corriere della Sera, della Gazzetta dello Sport. L’articolo non era firmato e accusava Cairo di beneficiare delle indulgenze della maggioranza politica di destra senza ricambiare abbastanza (le palesi disponibilità del Corriere della Sera nei confronti dell’attuale governo sono giudicate insufficienti da Libero), e citava anche un conflitto di interessi “sportivo” di Cairo.

“Poteva Cairo, uomo di calcio, farsi sfuggire il business delle scommesse? Sul sito della Gazzetta dello Sport (il quotidiano sportivo più letto d’Italia, una testata storica in cui Cairo ha un leggero conflitto d’interessi, essendo il proprietario della squadra di calcio del Torino), compare ancora il nome di «Gazzabet», una sezione dedicata alle scommesse che nel corso degli anni ha avuto un percorso societario a zig zag, compare e scompare, riaffiora con quote vendute nei bilanci, è fonte di varie proteste, anche tra i giornalisti che non vedevano benissimo l’idea di mischiare la critica calcistica con le previsioni su chi vince l’incontro e chi segna il primo gol. Riepiloghiamo: Cairo è proprietario del Torino, è editore della Gazzetta, il giornale in cui vengono promosse le scommesse. Così fan tutti, si dice, tutto va alla grande e con Cairo tutto è pubblicità”.

Sabato un altro quotidiano di proprietà di Antonio Angelucci, il Giornale, ha pubblicato un proprio articolo contro La7, attaccando i giornalisti del quotidiano Domani che avevano partecipato al programma Piazza Pulita spiegando le accuse contro Angelucci.
Domenica il Giornale ha spostato le ritorsioni contro Urbano Cairo in prima pagina, con un editoriale di Vittorio Feltri dedicato a coprire di insulti i conduttori di La7 e a chiedersi le ragioni delle scelte di Cairo.
La società Cairo Communications ha intanto risposto seccata su Libero, sabato, alle accuse relative all’organizzazione del Giro d’Italia da parte della Gazzetta dello Sport.
Libero riceve oltre cinque milioni di euro di contributi pubblici annui, con criteri assai discussi discutibili.


domenica 30 Marzo 2025

Via da Parma

Un aggiornamento che Charlie avrebbe dovuto dare prima, relativo all’ipotesi dello scorso dicembre che il gruppo editoriale GEDI chiudesse l’edizione online di Repubblica dedicata a Parma. L’ipotesi si è concretizzata a gennaio, Repubblica Parma non esiste più e da allora il sito non è più aggiornato.


domenica 30 Marzo 2025

I numeri del Corriere

Le aziende editoriali che fanno capo a Urbano Cairo hanno presentato questa settimana i loro bilanci relativi al 2024. Tra queste, RCS Media è quella che pubblica il Corriere della Sera, la Gazzetta dello sport e molte altre testate periodiche. Secondo i dati forniti il Corriere avrebbe quella che viene chiamata “una customer base digitale attiva” di 685mila abbonati. Di questi, l’ente ADS ne certifica 90mila come abbonamenti digitali, con qualche approssimazione dovuta a offerte e sovrapposizioni, per cui potrebbero essere poco più di centomila. Gli altri 585mila abbonamenti indicati quindi da RCS Media dovrebbero essere abbonamenti ai soli contenuti del sito web, che oggi sono offerti ai nuovi abbonati al prezzo di 12 euro l’anno.


domenica 30 Marzo 2025

Primi

Un altro esempio dell’abitudine dei quotidiani italiani di attribuirsi primogeniture sulle notizie, creando spazi appositi di rivendicazione in questo senso, di cui avevamo scritto la settimana scorsa. Nei giorni passati i giornali hanno raccontato delle condizioni di salute del critico d’arte Vittorio Sgarbi e della sua depressione. Anche in questo caso Repubblica ha scelto di attribuirsi la prima rivelazione della malattia (in un’intervista all’inizio del mese: Sgarbi ne aveva peraltro già accennato, senza usare il termine depressione, in un’intervista al Corriere della Sera a dicembre).


domenica 30 Marzo 2025

Ripulire

È stata una settimana di altri redesign dei quotidiani o dei siti di news di alcune note testate nazionali e locali italiane, dopo quello del Fatto della settimana passata e quello di Repubblica di venti giorni fa. L’editore dei quotidiani siciliani Gazzetta del Sud Giornale di Sicilia ha presentato la nuova grafica dei due giornali, assai semplice e pulita. Il direttore del quotidiano Libero ha invece presentato il nuovo sito del giornale (uno dei tanti a cui piace definirsi “corsaro”).


domenica 30 Marzo 2025

Gli editori

Le cessioni di indipendenza dei quotidiani italiani posseduti da imprenditori con altri interessi rispetto al giornalismo si manifestano ogni settimana sulle testate più diverse. Repubblica Stampa hanno destinato ancora questa settimana grandi spazi alla promozione in toni celebrativi del proprio editore e delle sue società. Gli stessi fatti e risultati di quelle società sono stati presentati in prima pagina, ma in toni opposti (“flop Exor”), dal quotidiano Domani : che è stato fondato dall’ex editore di Repubblica , notoriamente risentito nei confronti della cessione di quel giornale all’attuale editore, la società Exor di John Elkann.
In contesti più locali, la Gazzetta di Parma – di proprietà dell’unione degli industriali locale – sta promuovendo da settimane con grande enfasi le strutture per le Olimpiadi di Cortina prodotte da una società il cui proprietario è nel consiglio di amministrazione del giornale.


domenica 30 Marzo 2025

Murdoch contro Status

Qualche settimana fa avevamo citato qui un articolo del Wall Street Journal che aveva celebrato i rapidi successi della newsletter Status, curata da Oliver Darcy. Status è una newsletter americana sul mondo dei giornali e dell’entertainment americano che è nata l’anno scorso, dopo che Darcy era stato a lungo curatore di un’analoga newsletter per conto di CNN (Reliable sources, oggi ereditata dal suo collega Brian Stelter): e ha guadagnato presto molti iscritti e molte attenzioni, grazie alla capacità di Darcy di raccogliere informazioni e scoop da dentro i giornali. Tanto che, appunto, il Wall Street Journal gli aveva dedicato un ritratto.
Ma questa settimana un’altra newsletter sugli stessi temi – Breaker, che ha una deriva di maggior sensazionalismo e gossip – ha rivelato che il potente editore del Wall Street Journal, Rupert Murdoch, si sarebbe molto arrabbiato con la direttrice Emma Tucker per lo spazio e la promozione dati a Darcy con quell’articolo, per via delle posizioni molto polemiche di Darcy nei confronti delle altre testate di destra possedute da Murdoch (in particolare la rete televisiva Fox News). Darcy ne ha approfittato per promuovere ulteriormente la propria newsletter.


domenica 30 Marzo 2025

Prima pagare

Il gruppo GEDI ha comunicato agli abbonati alle sue testate online (RepubblicaStampa HuffPost) che d’ora in poi la possibilità di commentare gli articoli sarà riservata agli abbonati stessi.


domenica 30 Marzo 2025

Il secolo del New Yorker

Il prestigioso settimanale americano New Yorker sta festeggiando i suoi cento anni, e questa settimana il settimanale britannico Observer (che è ancora l’edizione domenicale del quotidiano Guardian, pur essendo stato da poco venduto) ha pubblicato un lungo ritratto/intervista sul suo direttore David Remnick, uno dei giornalisti più stimati del mondo.


domenica 30 Marzo 2025

Niente di nuovo sullo HuffPost italiano

Il quotidiano ItaliaOggi ha riferito brevemente che non ci sarebbero più stati sviluppi nell’ipotesi che il gruppo GEDI ceda all’azienda Italiaonline metà della proprietà del sito di news italiano HuffPost, ipotesi di cui si era parlato nei mesi passati.

Va al rallentatore e posticipa così l’annuncio del suo avvio il progetto di joint venture tra il gruppo editoriale Gedi-Repubblica e la internet company Italiaonline, secondo quanto risulta a ItaliaOggi. L’obiettivo dichiarato inizialmente era riunire alcuni dei loro principali asset digitali in un’unica società. Maggiori dettagli sull’operazione erano attesi entro la fine del primo trimestre di quest’anno, aspettativa poi estesa al primo semestre e adesso al prossimo autunno, indicativamente inoltrato.
Contattate ieri da ItaliaOggi, le due società hanno preferito non
commentare”.


domenica 30 Marzo 2025

Due lezioni in un titolo

Un titolo sul Corriere della Sera di martedì offre un esempio di ben due piccole cose da sapere sui giornali e di cui abbiamo parlato in passato. Una è il significato della parola “reporter”, che in italiano viene usata sbrigativamente come sinonimo di “giornalista”, ma in inglese è uno dei due ruoli diversi che hanno i giornalisti (l’altro è quello di “editor”). Il reporter è il giornalista che “reports”, ovvero quello che lavora sul campo o raccoglie informazioni, scrive gli articoli, su mandato e con successiva revisione di chi invece lavora in redazione – gli editor – e si occupa con maggiore potere decisionale di scegliere quali articoli commissionare, come confezionarli, come titolarli, eccetera (in Italia hanno a volte titoli di “caporedattore”, “caposervizio”, “vicecaposervizio”, eccetera).
Quindi il protagonista di questa notizia – Jeffrey Goldberg, direttore dell’ Atlantic – non è un reporter, ma un editor (“editor-in-chief”, per l’esattezza), pur avendo fatto invece il reporter in fasi precedenti della sua carriera.
L’altra cosa da sapere è la ragione della scelta del titolista del Corriere, che è banalmente di spazio (l’articolo chiama Goldberg correttamente “direttore”): se ha preferito scrivere “reporter”, con un’inesattezza, è perché “giornalista” non ci stava, e questo rivela quanto le notizie che leggiamo nei titoli siano spesso orientate non da criteri giornalistici ma appunto da necessità pratiche (poi forse sarebbe bastato togliere le parentesi, che da qualche anno sono una misteriosa passione delle titolazioni del Corriere della Sera).
La scelta si è ripetuta l’indomani, presumibilmente per le stesse ragioni.


domenica 30 Marzo 2025

Ai bei tempi

Nelle ultime settimane negli ambienti giornalistici statunitensi si è parlato molto del libro di Graydon Carter, infine uscito questa settimana. Graydon Carter è canadese, ha 75 anni ed è stato soprattutto il direttore del mensile Vanity Fair per 25 anni, nell’ultimo periodo in cui quella e altre riviste americane sono state protagoniste non solo dell’informazione ma anche di un’élite culturale e mondana fertile e ricca, che ha prodotto grande giornalismo assieme a grande jet set, prima che le innovazioni tecnologiche demolissero quell’oligopolio e le sue fortune. Carter è stato perfetto rappresentante di quel periodo e di quel mondo, con la sua capacità di gestione del giornale ma anche di gestione di quell’ambiente e delle sue mondanità (e i suoi completi e la sua chioma hanno completato esteticamente il quadro). Per questo l’uscita del suo memoir è una specie di nostalgica celebrazione di un’epoca finita e di un periodo di grandi disponibilità economiche, comunque speciale sia per chi la rimpiange che per chi la considera oggi eccessiva e frivola, e quindi ha ottenuto molte attenzioni sui giornali.


domenica 30 Marzo 2025

Pur non volendo

Il Fatto ha pubblicato martedì nella rubrica delle lettere un messaggio del proprio giornalista Fabrizio d’Esposito di contrite scuse nei confronti della deputata Marta Fascina, vedova di Silvio Berlusconi. Il messaggio, a quanto risulta a Charlie, è il risultato di un accordo di risarcimento seguito a una causa avviata da Fascina nei confronti del Fatto per un articolo del 2023, tuttora online.

Per l’onorevole Marta Fascina
Gentile onorevole Marta Fascina, in merito al mio articolo sul Fatto Quotidiano del 30 settembre 2023, le esprimo il mio più profondo dispiacere per il dolore e la rabbia che, pur non volendo, le ho causato per averla definita “olgettina” e involontariamente rappresentata come venalmente attaccata all’abitazione in cui ha vissuto con Silvio Berlusconi. Pur non essendo mia intenzione e non avendo alcun intento sessista, mi rendo conto di averla offesa ingiustamente con i contenuti del mio articolo e per questo le esprimo il mio più sincero rammarico.
In fede
Fabrizio d’Esposito”


domenica 30 Marzo 2025

Associated Press sempre in castigo

Giovedì c’è stata un’udienza presso un giudice federale a Washington relativa al ricorso che l’agenzia Associated Press ha presentato per far annullare il divieto di accedere alle iniziative del presidente Trump imposto dalla Casa Bianca ai giornalisti di AP. Divieto presentato esplicitamente come una ritorsione nei confronti della scelta di AP di mantenere il nome di “Golfo del Messico” per l’area geografica che l’amministrazione Trump pretende sia invece chiamata “Golfo d’America” (ma come ha spiegato sul Wall Street Journal la direttrice di AP, “la questione è il controllo del governo su cosa si può dire”). Il giudice ha rinviato la decisione.
Nel frattempo un articolo del Washington Post aveva raccontato di come AP – una delle più importanti e autorevoli agenzie di stampa del mondo – si sia organizzata in queste settimane per cercare di attenuare le limitazioni al proprio lavoro: collocando i propri giornalisti all’esterno degli incontri convocati da Trump, usando la collaborazione dei colleghi, introducendo i propri corrispondenti negli incontri internazionali assieme alle delegazioni di altri paesi.


domenica 30 Marzo 2025

Dossieraggio

La trasparenza nei confronti dei lettori su cosa sia contenuto giornalistico e cosa contenuto pubblicitario è una questione irrisolta nei quotidiani italiani, e divenuta sempre più delicata in questi anni in cui le crisi di ricavi dei giornali li costringono a sempre maggiori cedimenti in questo senso. La richiesta degli inserzionisti (che poi è un’offerta delle concessionarie pubblicitarie che lavorano per i giornali) è che gli articoli a pagamento che comprano figurino il più possibile mimetizzati come articoli autonomi della redazione, e non venduti. Ci sarebbero invece delle regole deontologiche che esplicitamente impongono chiarezza su queste distinzioni: ma vengono sistematicamente violate.
In molti casi questa violazione si manifesta semplicemente trascurando di usare qualunque indicazione o forma grafica che suggerisca che i contenuti in questione sono stati venduti: il caso più frequente sono le pagine che i due maggiori quotidiani italiani offrono con frequenza agli inserzionisti, e che prendono il nome di “Guide” o “Eventi”, dizioni che naturalmente non dicono niente a chi legge sulla natura di quegli articoli e permettono appunto di suggerirli come un contenuto indipendente, accontentando l’azienda che li ha acquistati.
La Stampa ha invece usato spesso l’intestazione “Dossier”, che ultimamente è stata molto usata anche dal Giornalein un’occasione, questa settimana, inserendo uno spazio pubblicitario proprio accanto all’articolo dedicato allo stesso inserzionista.

(il Post indica da sempre gli articoli prodotti a pagamento come “articoli sponsorizzati”)


domenica 30 Marzo 2025

L’amministrazione Trump apre ai media, quando non deve

La frequenza delle notizie spiazzanti che arrivano dall’amministrazione Trump ha tarato in maniera nuova le attenzioni dei media e del pubblico: singoli fatti che in altri tempi avrebbero mantenuto lo spazio delle prime pagine per giorni o settimane vengono superati da altro nel giro di 24 ore. La storia spettacolare di inadeguatezza e rischi che è dilagata lunedì su tutti i siti potrebbe quindi finire accantonata rapidamente, ma è stata una storia che ha riguardato molto i giornali, e anzi ha avuto per protagonista il direttore di una delle più autorevoli testate statunitensi.
Jeffrey Goldberg, direttore dell’ Atlantic (storico magazine mensile, oggi diventato soprattutto un sito), ha raccontato di essere stato incluso per sbaglio in una chat in cui le più importanti cariche dello stato hanno discusso delicatissimi piani militari e un attacco alle basi Houthi in Yemen. Al di là della gravità del fatto raccontato, è interessante anche la descrizione da parte di Goldberg dei suoi tentativi di capire cosa fosse successo e se la chat fosse davvero quello che sembrava.


domenica 30 Marzo 2025

Charlie, lo stupido futuro dei giornali e di tutto

Esasperato dalla stupidità di una domanda, un anziano politico italiano ha risposto goffamente e infantilmente a una giornalista televisiva e le ha incredibilmente preso in mano una ciocca di capelli. Due giorni dopo un importante responsabile del partito di governo ha proclamato che non avrebbe parlato coi giornalisti fino a che tra loro ci fosse stato “questo pezzo di merda”, riferendosi a un giornalista che di recente ha avuto grandi visibilità per aver pubblicato in un libro le chat private tra i leader di quel partito. Passano altri due giorni e un conduttore televisivo suggerisce nel suo programma di “andare a fare in culo” a due colleghi.
Intanto negli Stati Uniti (vedi sotto) importanti leader dell’amministrazione hanno coperto di insulti il direttore di un giornale colpevole di avere rivelato la sciatteria e l’inadeguatezza della loro gestione di segreti militari nazionali.
Questa è una newsletter sul dannato futuro dei giornali e cerca di occuparsi di scenari e tendenze di maggior respiro, ma quando le piccole stupidità, le piccole vanità, le incapacità di tenersi a bada dei singoli umani affollano il presente con tanta frequenza, diventano a loro volta uno scenario e una tendenza. E abbassano l’asticella per tutti, contagiando, stabilendo modelli di comportamento, legittimando reazioni equivalenti e ulteriori perdite del senso della misura. Il declino degli standard di intelligenza, qualità umana e culturale, rispetto e dignità è un fattore che influisce su tutto, e anche sul dannato futuro dei giornali.

Fine di questo prologo.


domenica 23 Marzo 2025

Spiegati ammodo

La rassegna stampa del Post, “I giornali spiegati bene”, sarà a Peccioli in Toscana sabato e domenica, nel programma del festival Pensavo Peccioli.


domenica 23 Marzo 2025

Per tempo

Tra i “format” di contenuti e titoli nei quotidiani e siti di news italiani c’è spesso la citazione di un articolo da cui sarabbe nato un “caso” o un “dibattito”: i quotidiani cercano di mostrare ai lettori che da un proprio contenuto sarebbe nata una questione, a volte forzando un po’ le origini e i percorsi delle notizie. È il caso della scelta di oggi, sul Corriere della Sera, di attribuire la genesi delle polemiche di questi giorni sul “Manifesto di Ventotene” a un articolo pubblicato sul Corriere persino dieci anni fa, nel 2015 (peraltro non la prima occorrenza storica di una critica del Manifesto in questione).


domenica 23 Marzo 2025

Accantonare

Il sito Lettera43 ha raccontato che ci sarebbero state delle divisioni e conflitti all’interno del Consiglio di amministrazione del Sole 24 Ore per via di una scelta di conti e bilancio interessante per capire le delicate questioni che possono riguardare le aziende giornalistiche e le cause legali che le riguardano.

“I fatti risalgono alla vendita, nel 2019, della 24 Ore Business School al fondo Palamon, successivamente ceduta nel luglio del 2023 alla Digit’Ed del fondo Nextalia guidato da Francesco Canzonieri. Con le attività di formazione il banchiere ha anche ereditato una causa da oltre 60 milioni di euro che Palamon aveva intentato al Sole 24 Ore perché nel frattempo la casa editrice di Confindustria era tornata sul mercato con una nuova società, Sole 24 Ore Formazione, insieme alla Multiversity posseduta dal fondo inglese Cvc. Per Palamon, inglese pure lui, il nome “Sole 24 Ore Formazione” poteva ingenerare confusione sul mercato, così come riconosciuto da un primo pronunciamento della magistratura che ha definito il marchio contraffattivo. Detto in soldoni, le due diciture erano simili al punto da confondere i potenziali clienti. Ma dove sta il problema per l’editore del quotidiano rosa cipria? Nel fatto che a fronte della richiesta di indennizzo nulla è stato accantonato a bilancio, come è di prassi di fronte a un potenziale rischio economico”.


domenica 23 Marzo 2025

Come da accordi

Il sabato è il giorno in cui la sezione “Liberi tutti” del Corriere della Sera offre agli inserzionisti che hanno comprato pagine pubblicitarie articoli di promozione, soprattutto a quelli nel settore della moda e del “tempo libero”. Ieri per esempio l’azienda di gioielli Van Cleef & Arpels ha ottenuto un articolo dedicato a un suo festival londinese dopo aver investito nei giorni precedenti sull’acquisto dell’ultima pagina del giornale. Nella stessa pagina un altro articolo era dedicato al brand Tagliatore, acquirente di una pubblicità qualche giorno prima. Alla pagina successiva l’articolo maggiore era per Garatti, altro brand di gioielleria che aveva comprato una pubblicità nei giorni precedenti.


domenica 23 Marzo 2025

Spostamenti

Il Giornale ha annunciato martedì l’inizio della collaborazione da parte di Giovanni Orsina, stimato e noto politologo, che ritorna a scrivere per il Giornale dopo un lungo periodo come autore alla Stampa.


domenica 23 Marzo 2025

In difesa del “paperboy”

Sling è un servizio americano di diffusione dei programmi televisivi via internet. Nelle scorse settimane ha diffuso uno spot pubblicitario che mostra la tradizionale scena americana – nota anche da noi per via di film e serie tv – della consegna dei giornali alle porte di casa da parte di un giovane “rider” in bicicletta. Solo che i destinatari gli restituiscono i giornali lanciati alla porta, scaraventandoglieli addosso, e dichiarando di non averne più bisogno perché si informano tramite Sling. Erik Wemple, media reporter del Washington Post, si è molto arrabbiato: “A great deal of stupidity, it turns out, fits in a 30-second spot”.


domenica 23 Marzo 2025

Controlli fatti e da fare

La newsletter Datamediahub, curata da Pierluca Santoro e dedicata al settore dei media e della pubblicità, ha approfondito domenica scorsa la questione a cui avevamo accennato qui sui controlli annunciati dal sottosegretario all’Editoria nei confronti dei contributi pubblici distribuiti ai giornali.

“A seguito degli ultimi controlli effettuati sono emerse delle irregolarità a causa di documenti “non veritieri, sulla base dei quali erano stati erogati i contributi”. A fronte di queste irregolarità, il Dipartimento avrebbe annullato i provvedimenti che avevano garantito agli editori interessati di ricevere quei contributi.
Per quanto riguarda il 2023 si tratta di due quotidiani locali del Sud: la Gazzetta del Sud e Il Quotidiano del Sud, per i quali la richiesta del contributo viene definita “in corso d’istruttoria”.
Il Dipartimento starebbe cercando di recuperare forzatamente circa 37 milioni di euro, ma un’altra parte dei contributi ricevuti a sproposito sarà restituita a rate dai soggetti interessati o detratta da contributi successivi. Sono stati anche aperti dei “procedimenti penali per l’accertamento di ipotesi di reato di truffa ai danni dello Stato”, dice il Dipartimento.
Uno dei quotidiani che riceve i maggiori finanziamenti è Libero. Quotidiano di proprietà dell’imprenditore della sanità, immobiliarista e politico, Antonio Angelucci, che controlla la società Editoriale Libero attraverso la Finanziaria Tosinvest, sul cui sito capeggia in bella mostra il logo del giornale in questione, ma che grazie allo stratagemma di “affittare” la testata alla Fondazione San Raffaele, riconducibile di fatto sempre agli Angelucci, riesce appunto ad ottenere cospicui contributi statali.
La Fondazione San Raffaele non pubblica i bilanci, è un ente non profit, gestisce alcune attività sanitarie e controlla al 100% l’Editoriale Libero che prende in affitto la testata “Opinioni Nuove-Libero Quotidiano”. Lo schema fondazione + testata beneficiaria dei contributi dà appunto accesso ai fondi per l’editoria.
Tuttavia lo statuto della Fondazione dice che l’ente, “apolitico e apartitico”, ha lo scopo di contribuire all’ «esplorazione di nuove strade nella ricerca … nel trattamento di ogni forma di disabilità […] disporre liberalità con finalità assistenziale e/o di ricerca» ecc. Ed è categorico nell’affermare che “la Fondazione non potrà svolgere alcuna altra attività se non quelle previste dallo statuto”. Nel quale non c’è una sola parola che faccia riferimento anche lontanamente all’editoria o a quote di società editoriali. Eppure il 9 novembre 2020 la Fondazione ha comprato dalla Finanziaria Tosinvest per 7,8 milioni [rate fino al 2025] un ulteriore 40% dell’Editoriale Libero di cui già possedeva il 60%. Oggi Libero rappresenta una fetta preponderante del patrimonio della Fondazione
Così facendo, dal 2003 al 2023, Libero ha ricevuto la bellezza, si fa per dire, di circa 111 milioni di euro di finanziamenti diretti. Questo nonostante nel 2011 e 2012 non abbia ricevuto tali contributi poiché prima sono stati posti sotto sequestro giudiziario 20 milioni proprio alla famiglia dell’editore Angelucci, che in seguito è stato condannato a un anno e 4 mesi di reclusione per falso e tentata truffa nell’ambito di un processo legato ai contributi pubblici percepiti.
Vicende che definire torbide è un eufemismo. Ma non c’è solo questo, ahinoi.
Secondo gli ultimi dati Audipress, aggiornati a fine 2024, Libero avrebbe 242 mila lettori nel giorno medio del quotidiano nella versione cartacea e/o della “replica digitale”. Erano 312 mila a fine 2013. In calo del 22.4%.
Ancora peggio le vendite del quotidiano diretto da Sechi. Stando ai dati ADS, nel 2013 Libero ha venduto più di 84 mila copie nel giorno medio. A fine 2024 sono diventate circa 18 mila copie. In calo di ben il 78.4%.
Eppure i contributi statali al giornale, che stando alla normativa dovrebbero [il condizionale è d’obbligo] basarsi anche sulle copie cartacee distribuite e vendute, come mostra il prospetto da compilare sotto riportato, era pari a 5,4 milioni nel 2013. Ed è esattamente di 5,4 milioni nel 2023″.


domenica 23 Marzo 2025

Sottovoice

Il Post ha spiegato cos’è Voice of America, e come è diventato uno degli ultimi obiettivi dell’impegno dell’amministrazione Trump contro l’informazione giornalistica.

Voice of America (VoA) e le altre sono storiche emittenti pubbliche americane fondate tra gli anni Quaranta e Cinquanta per rispondere alle propagande nazista e sovietica. Pur essendo controllate dal governo americano, erano tenute a rispettare stretti criteri giornalistici, e soprattutto nel caso di VoA avevano un alto grado di indipendenza editoriale. Nel corso della Guerra Fredda il loro lavoro trasmesso all’estero fu essenziale per portare informazione in paesi governati da regimi dittatoriali o autoritari e dove i media erano censurati: nell’Europa dell’est, per esempio, furono l’unico modo con cui milioni di persone riuscivano a evadere la censura sovietica”.


domenica 23 Marzo 2025

Il sito nuovo del Fatto

Il Fatto ha rinnovato la grafica e l’impostazione del proprio sito web. Tra le altre scelte annunciate è interessante – che si tratti di fare di necessità virtù, o no – la rivendicazione di non voler personalizzare i contenuti rispetto alle esigenze degli utenti (pratica a oggi inesistente sui siti dei maggiori quotidiani): “pur avendo organizzato le notizie in aree tematiche omogenee, non abbiamo voluto dare il via alla personalizzazione della pagina in base alle esperienze di navigazione. Gli utenti, insomma, troveranno tutti la stessa home: potranno scegliere di chiudere temporaneamente le sezioni che non interessano, certo, ma abbiamo voluto evitare l’effetto “bolla” tipico dei social network, che propongono sempre più contenuti dello stesso tipo in base alla profilazione e all’esperienza dell’utente. Il Fatto si caratterizza per le sue battaglie e per le sue scelte controcorrente, sarebbe stato un controsenso favorire l’appiattimento dei contenuti sui gusti dell’utente”.


domenica 23 Marzo 2025

Operazione riuscita

Alessandro Gilioli, già vicedirettore dell’ Espresso e direttore di Radio Popolare, ha approfondito le riflessioni “sull’ottima idea di marketing” che è stata per il quotidiano Repubblica la promozione della manifestazione per l’Europa di una settimana fa (aveva accennato allo stesso risultato anche il direttore del Post), proposta dal giornalista Michele Serra dapprima nella sua newsletter Ok Boomer! e poi su Repubblica stessa.

“E tuttavia l’operazione editoriale c’è stata ed è pure riuscita. In un’epoca in cui “giornali non contano più niente” un giornale ha invece svolto un ruolo politico trainante forte.
Questo ci aiuta anche a capire perché i grossi imprenditori si comprano o si tengono stretti i giornali, pure se ci perdono un sacco di soldi. Servono non solo per il rapporto di forza nei meccanismi relazionali di potere, per il lobbying e per il washing, ma anche come soggetti di indirizzo politico”.


domenica 23 Marzo 2025

Obbedisce agli ordini

Questa settimana non c’è stato nessun nuovo sviluppo nelle tormentate vicende del Washington Post, e del conflitto tra l’editore e la gran parte della redazione intorno all’indirizzo meno anti trumpiano imposto dall’editore stesso: se non un articolo del New York Times che ha rivelato come due importanti ex responsabili della redazione del Washington Post abbiano scritto a Bezos, l’editore, per chiedergli di licenziare Will Lewis, CEO dell’azienda ritenuto esecutore del mandato di Bezos con modi che non sarebbero più accettabili dai giornalisti.


domenica 23 Marzo 2025

Vediamo chi non comanda

Ma facciamo un piccolo riassunto della questione di cui sopra, a costo di essere noiosi per i più assidui lettori di questa newsletter, per poter dare un aggiornamento di questa settimana. La principale questione intorno ai destini dei giornali tradizionali in questi anni digitali è stato il conflitto tra gli editori e le piattaforme digitali suddette, in particolare Google e Meta. Queste ultime si sono molto arricchite, mentre le aziende giornalistiche si sono molto impoverite: le due cose sono in parte in relazione e in parte no, ma le aziende giornalistiche hanno forzato il rapporto di causa ed effetto per sostenere che le piattaforme digitali debbano loro un compenso. La tesi è che Google e Meta guadagnino dalla circolazione sulle proprie pagine di contenuti prodotti dai giornali, e che quindi siano “in debito”. Google e Meta sostengono invece di aiutare a promuovere e far circolare i contenuti giornalistici, e quindi di aiutare già le aziende giornalistiche. Ma siccome queste ultime hanno un potere di lobbying ancora piuttosto forte nei confronti delle istituzioni legislative democratiche (ma come diciamo sopra, le cose stanno cambiando, almeno negli Stati Uniti), a un certo punto Google e Meta hanno accettato di offrire alle aziende giornalistiche (soprattutto alle più potenti) dei compensi, motivandoli come un proprio benevolo sostegno al giornalismo e non come una retribuzione. Le richieste però sono proseguite, e Google e Meta hanno allora iniziato a rispondere con le cattive, minacciando di eliminare i contenuti giornalistici dalle proprie pagine, o arrivando farlo, in alcuni paesi.

In questo contesto lo scorso novembre Google ha avviato un esperimento in alcuni paesi europei, che avevamo raccontato su Charlie: ” Per verificare quanto i contenuti di news siano importanti per gli utenti di Google e fornire dei dati alle istituzioni europee, Google cancellerà dai risultati delle ricerche stesse, da Google News e dall’aggregatore di news Discover gli articoli prodotti in paesi dell’Unione Europea, per un campione di utenti: l’uno per cento degli utenti in Belgio, Croazia, Danimarca, Francia, Grecia, Italia, Paesi Bassi, Polonia e Spagna.

L’esperimento servirà a valutare come porsi rispetto alle crescenti richieste di compensi economici da parte dei giornali per il traffico generato dai loro contenuti su Google”.

Adesso Google ha annunciato dei risultati di quell’esperimento, e – non ci si meraviglia – sono dei risultati che dicono: “i contenuti dei giornali sono insignificanti per i nostri ricavi”. E che sottintendono: “piantatela col chiedere soldi che non vi dobbiamo”. E che aggiungono: “vi daremo ancora dei soldi, ma lo decidiamo noi e solo perché siamo buoni”.

” Ecco i risultati: i contenuti di notizia europei nella Ricerca non hanno alcun impatto misurabile sui ricavi pubblicitari di Google.
In base allo studio, con la rimozione di questo tipo di contenuti non ci sono stati cambiamenti nelle entrate pubblicitarie derivanti dalla Ricerca Google e l’utenza ha registrato un calo inferiore all’1% (0,8%), il che indica che qualsiasi utilizzo perso è stato dovuto a query che hanno generato entrate minime o nulle. Oltre a questo, lo studio ha evidenziato che le entrate pubblicitarie combinate tra le proprietà di Google, inclusa la nostra rete pubblicitaria, sono rimaste invariate.
Le persone utilizzano Google per numerose attività, dalla ricerca di un fiorista alle previsioni del tempo, fino alla prenotazione di un volo. Questo studio ha dimostrato che questa tendenza rimane invariata, anche quando l’utilità di Google è ridotta rispetto alla ricerca di notizie. In ogni caso, supportiamo da tempo l’ecosistema delle notizie nella sua trasformazione digitale come parte del nostro impegno per un ecosistema di contenuti vivace e sano. Continueremo a collaborare con gli editori per aiutarli a raggiungere il loro pubblico in un panorama tecnologico in rapida evoluzione ” .

(la traduzione fa un po’ schifo, ma è di Google: l’originale è qui)


domenica 23 Marzo 2025

Vediamo chi comanda

Negli scorsi anni le contese tra le aziende giornalistiche tradizionali e le piattaforme digitali avevano visto le prime recuperare qualche risultato: la politica dei paesi occidentali continua a essere più legata al potere dei giornali e dei grandi editori, ed è andata loro in soccorso con interventi legislativi che hanno parzialmente compensato la sproporzione di ricavi di cui Google, Meta e altre grandi aziende digitali hanno beneficiato in questo secolo con le loro innovazioni.
La nuova amministrazione Trump sta facendo invertire questa tendenza, per ora almeno negli Stati Uniti: il nuovo favore che le grandi aziende digitali hanno cercato e ottenuto negli scorsi mesi presso il nuovo presidente sta dando loro la forza per avanzare richieste inedite e spavalde. Nelle ultime due settimane c’è stato prima un appello perché siano attenuate le limitazioni all’uso di contenuti coperti da copyright per “addestrare” le intelligenze artificiali, e poi una richiesta di intervenire contro le regole stabilite dall’Australia a favore delle compensazioni economiche per i giornali da parte delle piattaforme.


domenica 23 Marzo 2025

Charlie, imitazione artificiale

Il quotidiano il Foglio ha avuto un’idea spiritosa, questa settimana, nel solco di una sua lunga storia di invenzioni che a volte ne fanno un giornale di satira più che di informazione. L’idea è stata presentata come “il primo giornale fatto interamente con l’intelligenza artificiale”: per un mese insieme alla normale edizione del giornale sarà allegato un supplemento di quattro pagine i cui testi sono stati scritti da un software di “intelligenza artificiale”, a partire da istruzioni e domande create ancora da una redazione di umani.

Il risultato è molto somigliante a una abituale copia del Foglio, a conferma delle capacità di imitazione delle intelligenze artificiali. E aiuta a ridimensionare un po’ gran parte del dibattito intorno alle capacità sovversive delle AI in questione negli usi giornalistici. A oggi, infatti, quasi tutto quello di cui si parla, quando si parla di AI e di giornali, è l’affidamento ai software suddetti della scrittura di testi simili a quelli che i giornali pubblicano abitualmente. Lo stesso esperimento del Foglio non è “un giornale fatto con l’intelligenza artificiale”, ma un giornale tradizionale fatto da una redazione che ha fatto scrivere gli articoli automaticamente da un software, con buoni risultati di fedeltà a un giornale tradizionale.

Il potere rivoluzionario delle AI e delle nuove tecnologie non può limitarsi a essere di fare in minor tempo le stesse cose che si facevano prima. Parlando di rivoluzioni, internet sì che ha cambiato il giornalismo, ne ha creato formati nuovi, progetti nuovi, linguaggi nuovi, ha persino trasformato il modo con cui le persone si relazionano con l’informazione. Le AI finora non hanno generato nessuna sovversione e innovazione di queste misure: saranno probabilmente in grado di farlo, e molte persone esperte ci stanno lavorando, sullo sfondo. È la parte interessante della storia, ma sulla scena, invece, stiamo tutti solo facendoci scrivere degli articoli (dei titoli, dei compiti scolastici, delle proposte…) al posto nostro: facciamo con meno sforzo le solite cose di sempre.

Fine di questo prologo.


domenica 16 Marzo 2025

Ma alberi

Gli abbonati al Post (ovvero voi) possono già acquistare e ricevere a casa il quinto libro pubblicato da Altrecose, la “casa editrice dentro una casa editrice” creata dal Post assieme a Iperborea per promuovere informazione e giornalismo nei libri: Leggere gli alberi è quello che dice il titolo, una guida piacevole e divulgativa alla comprensione degli alberi e a quello che spiegano, che ha avuto molto successo nel Regno Unito dove era stato pubblicato l’anno scorso.


domenica 16 Marzo 2025

Gli inserzionisti si inseriscono

Soprattutto sui due maggiori quotidiani italiani, gli articoli delle pagine della Moda sono quasi sempre dedicati ad aziende che sono anche inserzioniste dei giornali stessi, e sempre concepiti in termini positivi e promozionali, attingendo a comunicazioni arrivate dalle aziende stesse. Un format particolare, e che sovrappone ulteriormente il lavoro delle concessionarie pubblicitarie a quello delle redazioni, è l’articolo dedicato a sua volta a una campagna pubblicitaria ospitata sullo stesso giornale. Succede con sempre maggior frequenza, e questa settimana un esempio è stato su Repubblica per l’azienda Falconeri, venerdì sabato: “immagini che raccontano un lifestyle garbato che si sposa con la morbidezza del cashmere Ultrafine e prezioso”.


domenica 16 Marzo 2025

I contributi pubblici “straordinari” ai quotidiani

Giovedì il Dipartimento per l’informazione e l’editoria ha comunicato la lista degli editori di giornali e periodici che potranno ricevere una parte dei contributi pubblici straordinari relativi alle copie vendute nel 2022 e che sono previsti dal “ Fondo straordinario a sostegno dell’innovazione nell’editoria ” per il 2023. Questo fondo, con una dotazione di 140 milioni di euro, è stato creato per erogare contributi straordinari a edicole, editori e emittenti radiotelevisive, per aiutarli a superare le difficoltà economiche aggravate dalla pandemia di COVID-19. Tali contributi sono definiti “straordinari” per distinguerli dai contributi pubblici ordinari che il Dipartimento eroga annualmente ad alcuni editori.

La comunicazione di giovedì fa riferimento a uno solo dei contributi pubblici previsti dal fondo. Quest’ultimo aveva infatti riservato un tetto massimo di 60 milioni di euro per aiutare gli editori di quotidiani e periodici a coprire le spese della carta: negli ultimi mesi, dunque, gli editori italiani hanno potuto richiedere un contributo straordinario pari a 10 centesimi per ogni copia venduta nel 2022. Il Dipartimento ha comunicato di aver ricevuto 81 richieste per l’erogazione di questo contributo, e di averne approvate 80, per un totale di più di 67 milioni di euro richiesti. Tuttavia, dato il tetto massimo di 60 milioni di euro, per garantire a tutte le testate l’accesso al contributo l’importo richiesto è stato ridotto proporzionalmente per tutti, assegnando a ciascuna testata l’89,2% di quanto richiesto.

Di seguito la lista dei primi dieci editori di quotidiani che hanno ricevuto i maggiori contributi, con a fianco l’importo netto che sarà erogato a ciascuno. Hanno poi ricevuto contributi maggiori gli editori di soli periodici, come Cairo Editore o Mondadori Media.


domenica 16 Marzo 2025

L’editore

Si è temporaneamente attenuata la frequenza delle notizie – quasi mai buone – che negli scorsi mesi avevano riguardato la società automobilistica Stellantis, e che aveva costretto i quotidiani Repubblica Stampa (che appartegono alla stessa holding di Stellantis, Exor) a gestioni un po’ faticose del loro conflitto di interessi, che avevano generato anche pubbliche tensioni tra la redazione e il direttore di allora.
Adesso le pagine di Economia sono tornate alla routine in cui gli affari della società collegata e la persona dell’editore sono semplicemente promossi con regolarità, e Repubblica in queste ultime settimane lo ha fatto più spesso di quanto abbia fatto col suo, di editore, il Corriere della Sera, che in passato ha avuto periodi di eccezionale assiduità in questo senso.

(nove fusi orari e diversi standard giornalistici più in là, al Los Angeles Times questa settimana c’è stata una grossa polemica e protesta perché un podcast del giornale ha citato un articolo promozionale a favore dei business dell’editore)


domenica 16 Marzo 2025

Parti con noi

Avevamo spiegato di nuovo la settimana scorsa come diversi giornali abbiano costruito dei sistemi di ricavo accessori attraverso la vendita di viaggi organizzati coi propri giornalisti. Adesso il Giornale ha introdotto una nuova declinazione a questa offerta, proponendo una bellicosa e cinematografica comunicazione (“Frontline Academy”) di un viaggio a Sarajevo con un suo reporter, proposto come una sorta di spedizione tra i bombardamenti, malgrado Sarajevo sia da un quarto di secolo una pacifica e moderna città europea.


domenica 16 Marzo 2025

Un po’ di numeri su quanto sono pagate le foto

In Italia sempre meno fotografi freelance collaborano con i giornali: questi ultimi hanno un budget sempre più ristretto per le foto e preferiscono affidarsi ad abbonamenti forfettari con grandi agenzie di stampa piuttosto che acquistare singole foto o servizi. Per questo oggi molti più freelance lavorano nelle riviste, dove le foto hanno ancora un valore maggiore e i compensi sono più alti.

I fotografi freelance si possono appoggiare comunque ad agenzie come Reuters o Contrasto, che inseriscono le loro foto nei loro database e le distribuiscono ai clienti, oppure collaborano direttamente con le redazioni. Se un fotografo lavora tramite agenzia, guadagna tra il 50% e il 65% dalla vendita di una sua singola foto. Tuttavia, se la foto viene invece inclusa nell’offerta in abbonamento forfettario (è il caso quando le foto non siano particolarmente eccezionali), il fotografo guadagna per la pubblicazione circa 10 euro, ma in alcuni casi è capitato che una foto scaricata in questo modo da un giornale venisse pagata anche solo 30 centesimi.

I freelance che invece collaborano direttamente con i foto editor delle redazioni possono guadagnare in modi diversi. I compensi più elevati derivano dalla vendita di servizi o reportage realizzati autonomamente dal fotografo, che vengono acquistati più spesso dai settimanali che dai quotidiani. Sebbene il fotografo abbia teoricamente la libertà di definire il prezzo del suo servizio, nella pratica questa decisione è spesso influenzata dalle tariffe generalmente applicate dalle testate. Ad esempio, Internazionale paga in media circa 1800 euro per un servizio, mentre L’Espresso in passato arrivava a pagare anche 5000 euro, ma il budget è drasticamente diminuito. Sono cifre che devono coprire i costi e il lavoro autonomo del fotografo per ottenere quelle immagini.

I fotografi freelance possono essere ingaggiati direttamente dai giornali per coprire eventi che non prevedano spese di viaggio. In media un servizio giornalistico di una giornata viene pagato dai 60 ai 200 euro dai quotidiani. Se un servizio dura più giorni, i giornali non pagano a giornata ma propongono una cifra fissa. In confronto, all’estero i compensi sono più alti: in Francia si parte da 250 euro al giorno, in Olanda da 350, in Svizzera da 450, mentre il New York Times paga persino l’equivalente di 700 euro al giorno.
Nel caso delle singole foto vendute dai fotoreporter ai giornali, evento raro ma possibile, i costi variano a seconda dell’utilizzo e della diffusione del giornale. Per il cartaceo i giornali più grandi pagano circa 300€ per una foto di copertina, 150-200€ per la foto di un articolo sulle prime pagine, 100€ per una mezza pagina, 50€ per un quarto di pagina e 10-20€ per un trafiletto. Se la foto viene usata solo online, il prezzo varia tra 10 e 50€. Ma rimane un caso raro: come abbiamo detto i giornali online attingono soprattutto alle offerte delle agenzie con cui hanno un abbonamento.


domenica 16 Marzo 2025

Le pagine di Repubblica

Come era stato facile ipotizzare, il numero di pagine della nuova versione di Repubblica si è rapidamente ridimensionato a numeri più consueti, una volta estinti i contenuti migliori preparati per il “lancio” e le tante pagine pubblicitarie che gli inserzionisti comprano più volentieri nei giorni in cui viene inaugurato un progetto nuovo. Dalle eccezionali 80 pagine dei primi giorni, questa settimana il quotidiano ne ha avute tra le 40 e le 50, numeri analoghi a quelli usuali del concorrente Corriere della Sera e simili a quelli pre redesign (tra le 36 e le 44 nei giorni precedenti). Nel suo articolo di presentazione, il direttore aveva associato all’annuncio dell’aumento di prezzo della singola copia l’indicazione che “All’interno troverete più pagine, più notizie, più opinioni”: qualche lettore affezionato si è lamentato sui social network.

Nel frattempo il giornale questa settimana ha continuato a usare efficacemente come mezzo di promozione la manifestazione per l’Europa proposta da Michele Serra sul Post e poi ripresa da Repubblica stessa, dedicandole molte pagine ogni giorno, facendola propria, e offrendo come allegato agli acquirenti del giornale di sabato una copia del “Manifesto di Ventotene”.


domenica 16 Marzo 2025

Le cose cambiano, nelle piccole cose

Il “manuale di stile” è la raccolta delle regole di scrittura e linguaggio che un giornale si dà, per proprie scelte di efficacia e correttezza e per uniformare gli approcci linguistici dei suoi giornalisti e autori. Ad applicare le regole nei giornali americani – dove questi codici sono più frequenti che da noi: in Italia ne ha uno il settimanale Internazionale – sono soprattutto gli “editor”, ovvero quei giornalisti che lavorano in redazione alla progettazione e alla confezione del giornale e dei suoi articoli, intervenendo sui testi prodotti dai “reporter”. Non tutti i giornali hanno un proprio manuale di stile, e molti fanno proprio quello dell’agenzia Associated Press, ritenuto il più accurato e completo. Ma naturalmente le scelte di linguaggio e di scrittura non sono una scienza esatta con regole assolute e universali, quindi ogni testata ha suoi cospicui margini di scelta.

Il settimanale New Yorker, in coerenza con la raffinata autorevolezza della testata, è stato spesso accusato in passato di ricercatezza e capricciosità nel conservare certe proprie tradizioni e nell’applicazione del proprio manuale di stile. Questa settimana ha però annunciato infine alcuni piccoli cambiamenti, spiegando che la decisione di modifiche simili avviene solo quando si è sicuri che saranno durevoli e consolidate, e non passeggere. Tra le nuove istruzioni citate ci sono “internet” con la “i” minuscola e “website” tutto attaccato. Il New York Times ha commentato le novità con un proprio articolo, notando che il New Yorker manterrà quello che è ritenuto altrove il suo più peculiare capriccio, ovvero la dieresi su una delle due vocali identiche successive quando siano da pronunciarsi distinte, come in “reëxamination” .


domenica 16 Marzo 2025

I quotidiani a gennaio

Sono stati pubblicati i dati ADS di diffusione dei quotidiani nel mese di gennaio 2025.
I dati sono la diffusione media giornaliera*. Tra parentesi la differenza rispetto a un anno fa.

Corriere della Sera 156.478 (-6%)
Repubblica 84.869 (-8%)
Stampa 57.959 (-13%)

Sole 24 Ore 49.873 (-8%)
Resto del Carlino 46.409 (-10%)
Messaggero 40.986 (-10%)
Gazzettino 30.936 (-9%)
Nazione 30.486 (-11%)
Dolomiten 26.231 (-4%)
Giornale 24.838 (-8%)
Fatto 24.341 (-11%)
Messaggero Veneto 22.083 (-10%)
Unione Sarda 21.701 (-11%)
Verità 19.675 (-10%)
Eco di Bergamo 19.449 (-13%)
Secolo XIX 18.635 (-9%)
Altri giornali nazionali:
Libero 17.455 (-7%)
Avvenire 14.068 (-7%)
Manifesto 13.609 (+8%)
ItaliaOggi 5.924 (0%)

(il Foglio Domani non sono certificati da ADS).

La media dei cali percentuali anno su anno delle prime dieci testate a gennaio è un po’ più contenuta del solito, 8,5%. Rispetto a questo dato continua ad andare meglio – ormai stabilmente da alcuni anni – il Corriere della Sera, mentre Repubblica è vicina alla media, che considerati i suoi risultati negativi degli ultimi anni è un progresso. Si sono intanto normalizzati i declini dei quotidiani di destra (GiornaleVeritàLibero), che erano stati molto maggiori l’anno passato. Continua a crescere nei suoi numeri il Manifesto , che beneficia probabilmente dell’occupare uno spazio politico a sinistra poco coperto da altre testate e molto attuale.
Il gran risultato del quotidiano pugliese L’Edicola del mese scorso si è ridimensionato sensibilmente, probabilmente a causa della volatilità delle vendite in “panino” (allegato a Sorrisi e Canzoni e al Sole 24 Ore).

Se guardiamo i soli abbonamenti alle edizioni digitali – che dovrebbero essere “la direzione del futuro”, non essendolo ancora del presente – l’ordine delle testate è questo (sono qui esclusi gli abbonamenti venduti a meno del 30% del prezzo ufficiale, che per molte testate raggiungono numeri equivalenti o persino maggiori: il Corriere ne dichiara quasi 47mila, il Sole 24 Ore più di 33mila, il Fatto più di 27mila, Repubblica quasi 14mila). Le percentuali sono la variazione rispetto a un anno fa.
Corriere della Sera 45.676 +2,8%
Sole 24 Ore 21.901 -4,3%
Repubblica 21.862 -9,3%
Manifesto 7.024 +8,3%
Stampa 6.687 -21,2%
Fatto 6.184 -4,5%
Gazzettino 5.634 -9,6%
Messaggero 5.436 -9,4%

I dati mensili sono molto alterni per ogni testata, crescono o calano discontinuamente, suggerendo una grande volatilità degli abbonamenti di durata mensile, spesso comprati in prova e poi non confermati. Ma come si vede i progressi annuali degli abbonamenti digitali non sono rassicuranti per nessuno salvo che per il Manifesto e per il Corriere della Sera (che però non compensa lontanamente le perdite delle copie cartacee). Però bisogna ricordare che le stesse testate hanno anche quote cospicue di abbonati che pagano abbonamenti scontati, qui non compresi.
Ricordiamo che si parla qui degli abbonamenti alle copie digitali dei quotidiani, non di quelli – solitamente molto più economici – ai contenuti dei loro siti web.

Tornando alle vendite individuali complessive – carta e digitale – tra gli altri quotidiani locali maggiori le perdite sopra la media rispetto a un anno fa questo mese sono per la prima volta dell’ Eco di Bergamo (-13,2%), poi ancora del Tirreno di Livorno (-12,4%), del Giorno di Milano (-12,3%), del Piccolo di Trieste (-12,1%) e della Nuova Sardegna di Sassari (-11.9%).

(AvvenireManifestoLibero, Dolomiten ItaliaOggi sono tra i quotidiani che ricevono contributi pubblici diretti, i quali costituiscono naturalmente un vantaggio rispetto alle altre testate concorrenti)

Come ogni mese, quelli che selezioniamo e aggreghiamo, tra le varie voci, sono i dati più significativi e più paragonabili, piuttosto che la generica “diffusione” totale: quindi escludiamo i dati sulle copie distribuite gratuitamente, su quelle vendute a un prezzo scontato oltre il 70% e su quelle acquistate da “terzi” (aziende, istituzioni, alberghi, eccetera). Il dato è così meno “dopato” e più indicativo della scelta attiva dei singoli lettori di acquistare e di pagare il giornale, cartaceo o digitale (anche se questi dati possono comunque comprendere le copie acquistate insieme ai quotidiani locali con cui alcune testate nazionali fanno accordi, e che ADS non indica come distinte).

Quanto invece al risultato totale della “diffusione”, ricordiamo che è un dato (fornito anche questo dalle testate e verificato a campione da ADS) che aggrega le copie dei giornali che raggiungono i lettori in modi molto diversi, grossomodo divisibili in queste categorie:
– copie pagate, o scontate, o gratuite;
– copie in abbonamento, o in vendita singola;
– copie cartacee, o digitali;
– copie acquistate da singoli lettori, o da “terzi” (aziende, istituzioni, organizzazioni) in quantità maggiori.

Il totale di questi numeri di diversa natura dà delle cifre complessive di valore un po’ grossolano, e usate soprattutto come promozione presso gli inserzionisti pubblicitari, mostrate nei pratici e chiari schemi di sintesi che pubblica il sito Prima Comunicazione, e che trovate qui.


domenica 16 Marzo 2025

La sopravvivenza dei cookie

Il quotidiano britannico Guardian ha comunicato ai propri lettori che si aggiungerà alla maggioranza delle testate maggiori nel permettere ai propri lettori di rinunciare a essere profilati dai “cookie” solo attraverso un abbonamento, ma creando un abbonamento economico dedicato specificamente a questo. L’abbonamento costa 5 sterline al mese, rispetto a quello che ne costa 12 e offre maggiori servizi (il Guardian non ha paywall sui propri articoli online, che restano accessibili e gratuiti anche senza abbonamento).

La questione era nata rapidamente più di due anni fa – anche in Italia – con l’introduzione di nuove procedure imposte da alcuni browser che obbligano i siti a permettere ai propri lettori di rifiutare i cookie: ovvero i file che vengono scaricati sui computer degli utenti e che aiutano a tracciarne la navigazione per consentire agli inserzionisti pubblicitari di conoscerli e raggiungerli meglio secondo i loro interessi.
Il fatto che una quota cospicua di lettori scelga di rifiutare fa perdere valore pubblicitario ai siti, e quindi ricavi. Ma quasi subito si era diffusa una soluzione discussa ma ormai consolidata su tanti siti di news (vi sarà familiare), di trasformare la richiesta in una specie di paywall: se non accettate i cookie di profilazione, non potete accedere a quelle pagine, a meno di abbonarvi e quindi generare un ricavo alternativo per il giornale (anche maggiore e più prezioso).

Ormai è pratica diffusa, il Guardian si è adeguato ma rendendola più esplicita: l’abbonamento “lite” serve soltanto a non essere profilati.


domenica 16 Marzo 2025

La crisi di questa settimana al Washington Post

L’episodio di questa settimana al Washington Post – travolto da cinque mesi dalle nuove ingerenze nel giornale del suo editore Jeff Bezos – sono state le dimissioni di una sua “columnist” (ovvero l’autrice di articoli di opinione) dopo che un suo commento sull’ultima di queste ingerenze di Bezos era stato rifiutato da parte del capo dell’azienda, il CEO Will Lewis.

Due settimane fa Bezos aveva promulgato una nuova “linea” per la sezione delle opinioni del giornale: tra i molti dissensi c’era stato quello di Ruth Marcus, al giornale da più di quarant’anni, già vicedirettrice della sezione stessa, e ora autrice fissa, la quale la settimana scorsa ha scritto un articolo di dissenso (molto prudente e rispettoso, spiega lei) che appunto non è stato pubblicato per intervento di Lewis. Marcus si è quindi dimessa e ha spiegato la storia di questi anni di rapporto con Bezos in un articolo sul New Yorker, che descrive l’evoluzione da un grande rispetto per l’autonomia del giornale a una presenza e una censura divenute a suo dire inaccettabili.


domenica 16 Marzo 2025

Charlie

Trovare il modo giusto per rivolgersi ai lettori, capire con che idea considerarli, è un lavoro che i giornali dovrebbero fare con molto impegno e studio. Non per ragioni demagogiche o per le retoriche sui “lettori unici padroni del giornale”: chi fa i giornali deve prendersi la responsabilità di decidere – a partire dal proprio ruolo – cosa raccontare e come, e sapere che “quello che i lettori vogliono” non è sempre coincidente con le priorità supreme dell’informazione e del giornalismo per il bene delle comunità. Ma questo non significa che lettori e lettrici non vadano compresi, ascoltati, e immaginati: e spesso si ha l’impressione che nelle loro comunicazioni alcuni giornali si rivolgano a chi li legge con condiscendenza, paternalismo, artificiosità strumentali, poco sincere. Che chi cura queste comunicazioni immagini i lettori diversi da sé, e non si rivolga a loro come farebbe coi propri vicini di scrivania.
Negli ultimi anni però progressi in questo senso se ne sono fatti, e un esempio di dieci giorni fa sul 
New York Times permette di isolare un approccio forse sensato, che suona sincero nel rivendicare la propria autonomia senza essere scostante rispetto alle richieste di chi legge il giornale. L’esempio è un articolo composto rispondendo a una serie di domande su come il New York Times si stia comportando nel riferire della nuova ed eccezionale amministrazione Trump: che quindi dà assoluta dignità alle domande e alle curiosità in questione, e risponde aggiungendo informazioni che chi è al di fuori della redazione inevitabilmente non conosce e condividendo alcune delle riflessioni che vengono fatte all’interno della redazione.
Chi è dentro i giornali è nella posizione di saperla più lunga rispetto al proprio lavoro, come accade in ogni lavoro: chi è fuori può essere portato a giudizi frettolosi e incompleti dovuti appunto alla sua inevitabile ignoranza di quello che succede a monte di ciò che viene pubblicato. I modi peggiori di reagire sono offendersi quando questi giudizi diventano offensivi, o all’opposto far credere che i lettori abbiano sempre ragione. In mezzo c’è spiegarsi, il modo migliore.

Fine di questo prologo.


domenica 9 Marzo 2025

Luglio

Il Post ha presentato la terza edizione di uno dei suoi eventi destinati soprattutto agli abbonati e alle abbonate, ma non solo: il weekend di concerti a Peccioli, in Toscana, nato dal seguito della newsletter Le Canzoni e che dall’anno scorso ha arricchito il suo programma con una serie di incontri intorno alla musica e alle news con la redazione. I due concerti del 2025 saranno della band scozzese/irlandese dei Waterboys e del cantautore italiano Vasco Brondi, mentre il programma completo degli incontri sarà annunciato nelle prossime settimane.


domenica 9 Marzo 2025

Chiedilo ad Amato

Dopo qualche mese di assenza, Repubblica è tornata a ospitare il suo anomalo format di ben due pagine in cui destina una sua giornalista a intervistare l’ex presidente del Consiglio Giuliano Amato su qualunque argomento dell’attualità.


domenica 9 Marzo 2025

Come si sostiene Artribune

Artribune è un giornale online di arte e cultura fondato nel 2011 da Massimiliano Tonelli, che ne è direttore. Il giornale è edito da Artribune srl, di proprietà di Paolo Cuccia, presidente di Gambero Rosso ed ex direttore dell’EUR.
Artribune ha sempre affiancato alla sua attività online la pubblicazione di un giornale freepress bimestrale, distribuito con una tiratura di decine di migliaia di copie in oltre 700 punti in tutta Italia (musei, librerie indipendenti o fiere d’arte, soprattutto). Tonelli ha detto a Charlie che “una rivista lascia degli spazi per articolare un contenuto in maniera diversa rispetto al web, con mappe, approfondimenti, infografiche e illustrazioni che funzionano meglio sulla carta”. La freepress di Artribune rappresenta all’incirca il 15% del fatturato del giornale (che si avvicina al milione e mezzo di euro) ed è sostenuto da pubblicità e collaborazioni con grandi uffici internazionali turistici o culturali. Proprio rispetto a queste collaborazioni, Tonelli ritiene il giornale uno strumento più elastico: “il web è talmente complesso e costoso dal punto di vista tecnico che fare un progetto editoriale su carta è molto più veloce ed economico. Se poi vediamo che su un numero abbiamo meno pubblicità e rischia di andare in perdita, possiamo optare per una foliazione più bassa”.

La principale fonte di costi e di ricavi di Artribune è però il sito web, che è stato recentemente rinnovato con un investimento di 110mila euro, parzialmente finanziato tramite fondi europei. Pur essendo convinto che il futuro del giornalismo sia rappresentato dagli abbonamenti, Tonelli ha detto che a livello economico gli abbonati (poco più di mille) rimangono qualcosa di molto marginale per Artribune, anche perché finora un abbonamento permette solamente di ricevere a casa il giornale e non dà accesso a nessun contenuto digitale dedicato. Anche il sito, quindi, si sostiene principalmente grazie agli inserzionisti, che sono per metà i grandi clienti di Artribune, come la banca Intesa Sanpaolo o alcuni brand di moda, e per l’altra metà un gruppo numeroso di piccole associazioni culturali e università.

Negli ultimi anni, Artribune ha puntato anche su altre fonti di ricavo, come la formazione, emulando altri giornali che se ne occupano da tempo, e la consulenza per i grandi sviluppatori immobiliari che vogliono riqualificare edifici abbandonati attraverso l’arte pubblica.


domenica 9 Marzo 2025

Chora Media va bene, tutto sommato

Chora Media è la società italiana che possiede la società di podcast Chora e il progetto di news che opera soprattutto su Instagram che si chiama Will, che ha ottenuto negli scorsi anni grandi visibilità e attenzioni soprattutto da parte di un pubblico giovane. Will è nato nel 2019 e nel 2022 è stato acquisito da Chora, che è stata creata nel 2020 ed è la maggiore produttrice di podcast in Italia. Mentre Will era riuscito a ottenere una sostenibilità economica piuttosto presto, grazie alla produzione di contenuti sponsorizzati (nel 2023 ha aggiunto un progetto di abbonamenti), le maggiori lentezze di Chora a generare profitti sono state molto osservate e commentate in questi anni, perché il business dei podcast non ha ancora rivelato un modello di ricavo convincente. Anche Chora deve i suoi ricavi soprattutto ai prodotti creati per aziende e brand, e l’intenzione iniziale di vendere i diritti a progetti televisivi più remunerativi non si è ancora concretizzata quanto sperato.
Questa settimana Mario Calabresi, direttore di Chora Media (ed ex direttore dei quotidiani Stampa Repubblica), ha annunciato al Corriere della Sera che la società “è uscita dalla fase di startup”, aggregando i risultati dei due brand in un dato positivo: ma a Charlie ha spiegato che entrambi hanno concluso l’anno in attivo. E ha citato alcune produzioni televisive in lavorazione come un’ulteriore direzione promettente.

“A influire sui ricavi di Chora Media, per il 70% sono i contenuti social & podcast branded. Solo il 7% arriva dalla pubblicità che, secondo Calabresi, «non dà ancora la giusta considerazione a un settore in crescita a fronte di un calo di quello radiofonico. Nel 2025 lavoreremo molto su questo». Le stime prevedono che il mercato della pubblicità podcast in Italia raggiungerà i 42,16 milioni di euro nel 2025 contro gli oltre 2 miliardi di dollari negli Stati Uniti.
C’è poi la New Media Academy, con corsi podcast e giornalismo digitale che nel 2024 ha visto la nascita della versione inglese, Academy europea We Pod grazie alla vittoria di un bando Ue: sono state 236 le candidature ricevute di cui 35 dall’Ucraina”.