Cose difficili da dire, adesso, su Parigi

La settimana scorsa parlavo con un amico, un artista i cui genitori sono emigrati negli anni ’50 dalla Birmania per andare a vivere a Leeds nel Regno Unito. Sta preparando un progetto affascinante. Traccia le rotte migratorie seguite dai suoi nonni e genitori quando partirono dalla capitale birmana per arrivare nel Regno Unito. E le trasforma in opere.

“Quando, nel luglio di 10 anni fa, Londra fu devastata da quell’attacco terroristico che uccise 56 persone,” mi diceva il mio amico Desmond Lazaro, cattolico praticante, “pensai subito ai ragazzi stranieri di Leeds. Fu per questo che non mi sorpresi quando venne fuori che quei ragazzi musulmani erano proprio del mio quartiere, della mia scuola. Li conoscevo? Sì, di vista. E, non condividendone la scelta, capivo però la loro rabbia nata dalla difficoltà di avere la pelle marrone, di essere trattati male dappertutto, in un luogo dove sei nato e cresciuto.”

Penso poi all’amico Amir Issaa, rapper e ora anche produttore musicale. Figlio di un emigrato egiziano, nato e cresciuto in Italia, più romano di Roma, come canta nei suoi testi che anche solo a ricordarli (“Questa è Roma”) fanno venire la pelle d’oca per quanto sono ficcanti. Da anni gira a spiegare cos’è. Cos’è lui. Che non è uno straniero. Che è nato e cresciuto in Italia, canta in italiano, è noi. E continua a farsi dare dell’immigrato. 

Penso al boia dell’Isis ucciso a quanto pare da un attacco aereo. Nato e cresciuto nel Regno Unito. Penso al rapper tedesco Deso Dogg, arruolatosi nel Califfato e, a quanto sembra, ucciso anche lui in un attacco.

Perché questo preambolo per parlare del venerdì 13 di Parigi? Per ricordare, nel momento in cui si cominciano ad affilare i coltelli con la bava verde alla bocca contro “lo straniero,” chiunque egli sia, che non è certo colpa del razzismo se succedono gli attacchi in Europa. Ripeto, non è colpa del razzismo. Le responsabilità sono più ampie e complesse. Battaglie storiche che sono anche economiche. Disparità che nutrono disperazione. Folle fondamentalismo religioso che opera per sfruttare tutto ciò, nell’ambito di ere di civiltà vissute da diverse culture in diversi momenti.

Tra le cose che dimostrano i fuochi nelle banlieue degli ultimi anni, gli attacchi di 10 anni fa dei terroristi britannici e musulmani di Leeds, o quest’orrenda guerriglia “santa” nelle strade, teatri e stadi di Parigi è che l’ostinazione di un primordiale e ignorante razzismo fornisce soldati facilmente manipolabili a chi sceglie un’interpretazione violenta del Corano. Cedere adesso all’alimentazione della discriminazione razziale significa cadere nella trappola. Continuare il circolo vizioso dopo che ci si è tolti la momentanea soddisfazione di una possibile vendetta.

Sarebbe l’equivalente di inviare subito truppe francesi in Siria, che è quello che le menti del Califfato con tutta probabilità vogliono ottenere, per attuare quella che dicono sia la profezia della guerra contro l’Occidente. Non è che strategicamente questa sia la scelta più intelligente da parte dell’Europa.

In questo, il gesto di Angela Merkel verso l’immigrazione dimostra una saggezza che pur messa ora, letteralmente, alla prova del fuoco, è la strada da seguire. Difficile dire queste parole in questo momento, quando si può immaginare un’Europa che manifesta, e manifesterà, ma soprattutto un’Europa che si chiude, e si chiuderà.

Carlo Pizzati

Scrittore, giornalista e docente universitario. Scrive per "Repubblica" e "La Stampa" dall'Asia. Il romanzo più recente è "Una linea lampeggiante all'orizzonte" (Baldini+Castoldi 2022). È stato a lungo inviato da New York, Città del Messico, Buenos Aires, Madrid e Chennai. Già autore di Report con Milena Gabanelli su Rai 3, ha condotto Omnibus su La7. Ha pubblicato dieci opere, tra romanzi, saggi, raccolte di racconti brevi e reportage scritti in italiano e in inglese. carlopizzati.com @carlopizzati - Pagina autore su Facebook - Il saggio più recente è "La Tigre e il Drone" (Marsilio 2020),