Lo Sri Lanka in un mare di guai
FORT GALLE, SRI LANKA – Tira una brutta aria per lo Sri Lanka in queste settimane. La risoluzione Onu che chiede al governo di Colombo di aprire un’indagine indipendente sulle ultime fasi della guerra contro le Tigri del Tamil nel maggio del 2009 è stata votata da molti paesi occidentali e anche dalla vicina e potente India. Il video di un documentario di Channel 4 che mostra la foto del figlio del leader delle Tigri prima vivo in un bunker e poi ucciso da una pallottola nel cuore hanno causato molta rabbia: il partito DMK del Tamil Nadu si è ritirato dalla coalizione di governo in India per protesta (volevano una risoluzione Onu che citasse la parola “genocidio” per il massacro di migliaia di Tigri del Tamil nel 2009). Poi due monaci buddisti singalesi sono stati picchiati nello stato del Tamil Nadu, dove molte scuole sono chiuse da dieci giorni per agitazioni e proteste che chiedono a Delhi di fare pressione sullo Sri Lanka per ottenere giustizia. I poster con la foto del figlio del leader delle Tigri con il petto insanguinato vengono sventagliati dai manifestanti tamil e si possono vedere a molti incroci tra le strade di Chennai.
Colombo è ad appena un’ora di volo da Chennai e sono andato a vedere di persona com’è la situazione laggiù. Pur non avendo visitato il nord (le strade sono ancora in fase di ricostruzione, dice il governo) ho potuto sentire il parere sia di un ex presidente e del leader dell’opposizione che del ministro della difesa e dello sviluppo urbano, fratello dell’attuale presidente, e noto come il vero Richelieu del governo. Quel che segue è il quadro che ne emerge.
Ho avuto il piacere di cenare con un personaggio politico ormai storico, l’ex presidente Chandrika Kumaratunga Bandaranaike, al potere dal 1994 al 2005. Sua madre Sirimavo nel 1960 divenne il primo premier donna della storia. Il padre di Chandrika Bandaranaike fu assassinato quando lei era appena 14enne, suo marito Vijaya Kumaratunga, attore, star e politico, fu ucciso a sua volta (il funerale fu uno dei più grandi della recente storia politica asiatica, accompagnato da alcuni suicidi di fan disperati, a quanto dice la storiografia).
L’elegante e composta signora ormai quasi 70enne siede accanto a me, mentre sorseggia la zuppa di piselli, l’occhio destro inespressivo a causa della cecità prodotta da un attentato alla sua vita da parte delle Tigri del Tamil nel 1999. Allo stesso tavolo siede anche Ranil Wickremasinghe, ex primo ministro e attuale leader dell’opposizione.
“Il problema del paese non è la fase finale della guerra nel 2009. La corruzione è peggiorata tragicamente e va dall’alto, dal livello più alto del governo, verso il basso. Il presidente è corrotto, e così il resto del governo. Non voglio certo dire che non ci fosse corruzione prima, anche durante il mio governo c’era, questo non si può negare, dove ci sono esseri umani c’è corruzione. Ma non a questi livelli, non con così tanta sfacciataggine. L’attuale livello di corruzione danneggia l’economia, vogliono spesso più del 50 per cento del valore di un progetto come bustarella. Non è sostenibile per una democrazia”.
Wickremasinghe interviene: “Democrazia? Quale democrazia? Non siamo più una democrazia. Qui c’è una famiglia che sta prendendo il controllo dell’intero paese.” Effettivamente i Rajapaksa hanno un fratello presidente, uno ministro, un altro presidente della camera, un nipote a dirigere la Sri Lanka Air e l’elenco continua. Il problema non è solo il familismo, cui lo Sri Lanka è abituato, ma un certo nazionalismo singalese sempre più ingombrante e minaccioso.
Geoffrey Dobbs, organizzatore del Festival della Letteratura di Galle e del Serendip Coast Festival che ha reso possibile questa cena, dice che il problema per i Tamil sussiste: “A Colombo,” dice Dobbs, “ho sentito persone dire che i Tamil e i musulmani non sono Sri Lankesi…” “Ma questo è terribile,” dice l’ex presidente Bandaranaike, “per fortuna che questa forma crescente di nazionalismo è circoscritto solo ad alcune elite di potere nella capitale. Questo sentimento non è arrivato al popolo. Non ancora. Siamo ancora in tempo per fermarlo, ma bisogna agire. E l’opposizione dovrebbe farsi sentire, anche perché ci sono stati scioperi dei giudici, degli insegnanti, la situazione è matura”.
Ma i fratelli Rajapaksa, cioè il presidente Mahinda e il fratello Gotabhayasa, ex generale e ministro della Difesa, che hanno fermato gli attacchi Tamil dichiarano di aver portato la pace, non è così? “La guerra poteva finire diversamente. Saremmo riusciti a fare le cose in un altro modo se fossimo restati al potere, dando alcune concessioni ai tamil, integrandoli nella società. Ma soprattutto non eravamo disposti a pagare il costo umano di eliminare degli innocenti, visto che il leader delle Tigri si era circondato da due fasce di famiglie di civili. Avevamo tenuto degli incontri segreti con la diaspora Tamil che finanzia le Tigri del Tamil e ci avevano assicurato che in cambio di un controllo parziale del territorio, avrebbero ritirato il sostegno al leader delle Tigri, Prabhakaran, e quindi la pace sarebbe arrivata comunque”.
Wickremasinghe sbotta: “E poi di quale pace stiamo parlando? La guerra non è mica finita e il massacro del 2009 non ha sradicato i problemi che erano alla base del conflitto e cioè che i Tamil erano e sono trattati come cittadini di seconda classe”.
Ma la risoluzione Onu serve a qualcosa? Risponde l’ex presidente Bandaranaike: “Serve eccome. Sia a creare pressioni esterne, ma anche a creare pressioni interne. Siamo a conoscenza di viceministri, parlamentari e persone in posizioni non primarie, ma comunque influenti che sono disposti a togliere il loro sostegno all’attuale presidente. Non è detto che si debba aspettare fino al 2016, quando si torna a votare”.
Due giorni dopo questo incontro, sono andato ad ascoltare cosa aveva da dire l’altra campana, sentendo il punto di vista ufficiale, del governo di Rajapaksa. Anche in questo caso il contesto è regalato dal Serendip Coast Festival organizzato dal geniale ed eclettico Geoffry Dobbs, cittadino britannico di origini irlandesi-australiane proprietario di alcuni hotel come the Dutch House e the Sun House e promotore di attività culturali e di beneficenza (ad esempio una piscina per insegnare ai disabili a nuotare, dopo le molte morti causate dallo tsunami del 2004).
Siamo in una sala dell’ultimo piano dell’hotel Lighthouse con una squadra di guardie del corpo molto ridotta, considerato che anche Gotabayasa è sopravvissuto a un attacco suicida delle Tigri, quando un auto-ricksaw si è gettato contro il convoglio in cui viaggiava.
Armato di un libro appena uscito dal titolo “La guerra di Gota” e di molte diapositive, sale sul palco e snocciola dati e cifre senza guardare mai un foglio.
“L’altro giorno con mio fratello siamo andati a Jaffna,” esordisce così, “poi di notte ci siamo trasferiti per un lungo tratto di strada a visitare una centrale elettrica. E mi sono ripetuto ‘stiamo viaggiando di notte, su strada, con il presidente del paese e senza nessuna paura’. Fino a pochi anni fa sarebbe stato inconcepibile in questa zona che era sfuggita al nostro controllo. Purtroppo certa gente sembra aver dimenticato com’era la situazione prima. La gente viveva con la paura costante di essere attaccata dai terroristi, specialmente a Colombo. Decine di politici e di leader sono stati assassinati dai Tamil, presidenti del nostro paese e di altri paesi, come Rajiv Gandhi. Centrali elettriche, aeroplani, aeroporti, banche. Hanno ucciso migliaia di persone e ferito centinaia di migliaia di civili. Lo Sri Lanka viveva in uno stato di costante tensione e paura. Quelli dell’LTTE, le Tigri del Tamil, non erano una piccola banda di terroristi, ma un’ampia organizzazzione terroristica con contatti in tutto il mondo. Avevano 25mila soldati e una base di ausiliari ancora più grande. Erano armati con armi moderne e potenti ed avevano anche, cosa unica al mondo per un’associazione terroristica, una flotta marina, le Tigri del Mare. Avevano influenza su due terzi della costa del nostro paese e controllavano direttamente un’altra parte del paese. Il presidente ha annunciato il suo mandato prima di essere eletto. Poi ha invitato LTTE al dialogo, e LTTE ha reagito colpendo obiettivi militari e uccidendo civili. Quindi, dopo che le Tigri hanno bloccato una diga togliendo acqua a 15 mila persone abbiamo deciso di lanciare un’operazione militare. Adesso, grazie alla macchina di propaganda della diaspora Tamil paesi come Regno Unito, Francia e Stati Uniti cercano di fermarci e di danneggiarci. Per fortuna l’Onu non è più quello della Guerra fredda e oggi possiamo contare sull’aiuto della Russia e della Cina, e anche di altri nostri alleati regionali”.
Gota snocciola i dati dei propri ministeri e dipartimenti di statistica. Dati opinabili, ma comunque ufficiali. “Il terrorista Prabharakan ha trascinato con sé 300 mila civili che ha utilizzato come scudi umani. Noi abbiamo usato la minima entità di forza necessaria per garantire la minima entità di vittime, visto il contesto”. L’ex generale dice che LTTE ha sparato ai suoi stessi soldati che cercavano di fuggire. Ma questo non spiega certo la cifra di 40 mila vittime di cui parlano le organizzazioni Tamil nel mondo, le tombe di massa di cui viene accusato questo governo e su cui l’Onu vuole fare chiarezza. Gota allora tira fuori una tabella: “Enumerazione di eventi vitali nelle province settentrionali dello Sri Lanka per il 2009. Morti per cause non naturali: 7896”.
“Fate il paragone tra l’ieri e l’oggi. Oggi non c’è più combattimento, non c’è più violenza, tutti ci hanno guadagnato”. A parte i Tamil dello Sri Lanka, naturalmente. Ma questo non sembra disturbare il ministro. “Alle pressioni internazionali rispondiamo dicendo: questa è una democrazia, e i politici eletti come il presidente Mahinda rispondono solo al popolo del proprio paese non a interessi esterni. E se anche vogliono provare a imporre sanzioni, ricordo che abbiamo paesi come la Russia e la Cina dalla nostra parte e quindi si può creare un equilibrio di potere anche su questo tema.” La Cina infatti ha importanti interessi commerciali sull’isola, ha fornito finanziamenti e armamenti al governo singalese e tiene molto alla costruzione di un nuovo porto nella costa meridionale del paese.
La conferenza è finita, mi avvio per le scale dell’hotel, devo tornare all’aeroporto a prendere un volo per l’India. Mi ferma una signora inglese un po’ sovrappeso e molto agitata: “Mi scusi ma io devo dirlo a qualcuno, devo sfogarmi oppure non so cosa mi succede. Quello che ha detto il ministro sulla ricostruzione al nord, le case, le strade…ma è semplicemente falso. Io faccio l’educatrice e lavoro a progetti di insegnamento tra i Tamil del nord. Ci sono appena stata. Non ci sono case, ci sono quattro pareti di cartone con un tetto raffazzonato di foglie. Non ci sono strade, non ancora, le stanno forse costruendo. Ma tutta questa armonia e serenità non li ho proprio visti. Anzi, ho fatto scrivere un tema ai bambini Tamil chiedendo loro come vedono il loro futuro. E uno di loro sa cosa mi ha portato? Un foglio completamente oscurato da inchiostro nero. E mi ha detto: nel mio presente e nel mio futuro vedo solo questo”.
(versione integrale del reportage pubblicato a pag. 17 del Fatto Quotidiano il 6 aprile 2013)