La censura…cha cha cha…poi ti cura cha cha cha…
C’è il nuovo film d’azione bloccato dai gruppi d’interesse musulmani in Tamil Nadu. In Rajasthan c’è l’organizzatore del Festival della Letteratura di Jaipur che rischia l’arresto perché un professore, durante un dibattito, pare abbia detto che la casta degli “intoccabili” è più corrotta delle altre. C’è Facebook dove mettere un “mi piace” sbagliato porta all’arresto a Bombay.
E questa è l’India.
In Italia, pochi anni fa ho avuto anch’io il mio episodio di censura. Scrivevo un blog sul portale Virgilio (R.I.P.) che si chiamava “Vabbè”. Avevo osato recensire un documentario dal titolo “Citizen Berlusconi”. L’amministratore delegato della società proprietaria di Virgilio intervenne di notte. Chiamò un tecnico e fece togliere la mia recensione in cui mi limitavo a descrivere i fatti di quel documentario, girato tra l’altro da una collega americana, Susan Gray.
Scrissi una lettera di 5 pagine sull’articolo 21 e la libertà d’espressione e il povero (si fa per dire) amministratore mi fece le sue tardive scuse. Vabbè.
Il quel caso si trattava di auto-censura. Marco Tronchetti Provera era a capo di Telecom in quel periodo e Telecom controllava la società proprietaria di Virgilio: l’amministratore temeva che il mio commento avrebbe potuto essere visto come un gesto ostile tra gruppi di interesse. Fu troppo zelante, tutto lì.
Questo è quello che temo stia accadendo a un libro che sarebbe importante poter leggere in italiano. Si tratta di “The Pursuit of Italy: A History of a Land, Its Regions, and Their People” di David Gilmour. No, non quello dei Pink Floyd. Questo è Sir David Gilmour, baronetto. Ho avuto la fortuna di parlare con lui di questo testo di storia perché William Dalrymple mi ha invitato a partecipare a un dibattito proprio a quel Festival e proprio su questo tema.
Il libro è stato pubblicato nel 2011. Se ne è parlato (poco, male) nel 2012. Un editore italiano l’ha brevemente preso in considerazione e poi l’ha rifiutato, così ha detto Gilmour.
Qual è la tesi molto ben supportata di questo importante testo? Che l’Italia ha dato il suo meglio durante il Rinascimento. Che una concorrenza sana tra identità statali indipendenti nella penisola italiana è un beneficio per gli stessi abitanti di quest’area geografica. Che il Risorgimento è pieno di miti non comprovati da fatti reali, così come alcuni “formidabili” generali (Cadorna, ad esempio) o imbattibili eroi (i Savoia tra questi) in realtà non meritano davvero statue e piazza a loro nome. Il tutto con i fatti, non con opinioni. Dati storici.
La lettura di “The Pursuit of Italy” suggerisce che la storia d’Italia andrebbe studiata con occhi molto più lucidi per arrivare a conclusioni più utili per il futuro degli abitanti di questo territorio, fosse anche che la conclusione è quella di contemplare la fine dello Stato che ora lo gestisce (piuttosto male come pare siano d’accordo nel riconoscere quasi tutti).
Eppure questo libro così importante per la sua capacità di scardinare i miti che costruiscono questa realtà così sbagliata non è nemmeno stato tradotto in lingua italiana. Perché?
Forse perché ci si autocensura per paura di quello che può succedere se esce un libro così in Italia, non perché un libro così non abbia un mercato. Ce l’ha. Un libro che poi non fa altro che seguire le tracce di Guicciardini, Cattaneo, un po’ Gobetti, aggiornando i dati, analizzando a fondo, con la precisione e l’acume per i quali Sir David Gilmour è conosciuto nel mondo. Questo libro non lo accogliamo in Italia perché facciamo tutti parte, coscienti o ignari, di una gigantesca macchina di propaganda che inizia a colonizzare la nostra mente fin dai primi anni di vita, una mappatura della realtà che ha un movente, quello di corroborare lo status quo.
Per questo, in quel dibattito in Rajasthan, mi sono augurato che in un utopico futuro chi ha vissuto in Italia possa studiare la propria storia su libri di testo come questo che è scritto da un inglese critico della storiografia ufficiale, così come sarebbe un sogno che gli inglesi adottassero libri di testo scolastici di storia scritti da autorevoli e imparziali studiosi indiani (o irlandesi), e che gli alunni indiani studiassero la loro storia scritta magari da accademici cinesi (o pachistani) e che la Cina adottasse nelle scuole un libro di storia scritto da un equilibrato monaco tibetano oppure da un giapponese. E viceversa.
Ma questo è appunto, un sogno. La realtà è che l’editoria di questa grande macchina continua a pubblicare i libri degli spacciatori di speranze. Non i libri di storia.