Aaron Swartz e i fratelli Zen
Un commerciante, navigatore e marinaio militare veneziano raggiunge alcune isole ignote nel nord dell’Atlantico e arriva fino in Nord America sopravvivendo al mare e agli attacchi degli indigeni. Quando ritorna in terraferma disegna la prima mappa di quel mondo sconosciuto. Duecento anni dopo, un suo pronipote e omonimo ridisegna quelle mappe e ricostruisce un importante diario di viaggio grazie ai frammenti delle lettere del suo avo e di suo fratello più giovane che lo segue nell’avventura nei mari del Nord. Le mappe degli Zen con le isole di Frislandia, Estotilandia, Drogeo, Icaria e Engronelant diventano importanti per i navigatori durante alcuni secoli.
È una storia che inizia verso la fine del 1300, prosegue nel Rinascimento, viene smentita nell’800, riabilitata qualche decennio dopo e che adesso Andrea di Robilant ha raccontato nel suo “Irresistibile Nord” (Corbaccio).
Amo Jack London e riesco a farmi irretire dalle Saghe dell’Islanda, quindi per me è stato facile lasciarmi sedurre da questa caccia al tesoro tra fiordi e i traghetti vichinghi che sfidano il roost, la spaventosa corrente atlantica di quel mare aperto: un’indagine che però va anche a spulciare tra le pergamene della Biblioteca Marciana e nei castelli scozzesi, o quel che ne resta.
A parte il fascino che esercita la ricerca storica e il lasciarsi divertire dal fatto che, come diceva W.G. Sebald, “scrivere biografie al giorno d’oggi significa che devi parlare di come trovi le tue fonti, di com’era chiacchierare con quella signora a Beverly Hills e dei tuoi guai all’aeroporto”, a parte questo, si aggiunge anche una riflessione sul coraggio dei fratelli Nicolò e Antonio Zen (oltre a Carlo Zen, eroe che sconfisse i genovesi nell’Adriatico).
Mi chiedo chi siano gli esploratori, oggi, che affrontano un viaggio pericoloso e disagevole in acque imprevedibili, spinti non solo dalla curiosità, ma anche da uno spirito imprenditoriale e commerciale.
La realtà si è trasformata. L’esploratore del mondo fisico di allora non è paragonabile a chi oggi va sull’Himalaya, ai navigatori solitari e nemmeno agli astronauti. Quello non è il paragone giusto.
Ora gli unici “fratelli Zen” che vengono in mente sono coloro i quali guardano alla realtà, a quel mare monstrum, come se fosse, sì, un mare, ma un mare di dati.
La forza dei nuovi esploratori sta nel riuscire a combinare quei dati, ricomporre un’esperienza in evoluzione per creare il nuovo, per inventare i nuovi strumenti e sistemi che entrano a far parte della nostra realtà, che ci consentono di alterare la nostra vita quotidiana, proprio come la scoperta delle Americhe ha alterato la storia dell’Europa e dell’Asia e non solo grazie al pomodoro.
Così adesso, quando per andare in Islanda basta prendere un volo low-cost, i nuovi fratelli Zen, i Caboto, i Marco Polo, i grandi esploratori veneziani di oggi, li riesco a vedere solo nei Steve Jobs, nei Bill Gates, nei Mark Zuckerberg per citare celebrità già vecchie, già note, alcune già scomparse e già in odore di tech-santità e biopic.
Ma certamente chi è oggi là fuori in un veliero di byte tra gli ice-berg taglienti è conosciuto da molte meno persone.
Per questo mi viene da pensare che Aaron Swartz abbia forse solo urtato un brutto imprevisto ostacolo nella sua esplorazione.
Cercando di trasformare la realtà con le sue battaglie e ricerche, così come Nicolò e Antonio Zen cercavano un passaggio a Nord-Ovest per le Indie, Swartz ha forse visto la realtà trasformasi attorno a sé.
Ha ceduto all’orrore del roost generato da quella realtà, da chi gli voleva impedire di forzarne i confini.
Ed è annegato.
(Al Festival della Letteratura di Jaipur, in Rajasthan, alle 18 di domenica 27 gennaio, presenterò con Andrea di Robilant il viaggio nella storia del suo “Irresistibile Nord: da Venezia alla Groenlandia sulle tracce dei fratelli Zen”).