In carcere per un “mi piace”
Arrestano due ragazze. Le portano in prigione. Le incriminano per aver istigato la «lotta di classe», aver seminato zizzania e innescato disordini «con messaggi minatori». A causa di questo crimine, lo zio di una delle due viene aggredito da una folla rabbiosa che saccheggia la sua clinica di ortopedia, prendendola a sassate, spaccando i vetri delle finestre, ribaltando i letti dei pazienti.
Sapete qual è il crimine? Per la ragazza più giovane si tratta di aver cliccato “mi piace” sul post dell’altra. E cosa diceva questo post criminale? Che bloccare un’intera metropoli, abitata da milioni di persone, per la morte di un leader religioso e politico è forse un po’ esagerato.
«Con tutto il rispetto – aveva scritto Shaheen Dhada, 21 anni, su Facebook – migliaia di persone muoiono ogni giorno, non per questo bisogna bloccare un’intera città».
È bastato questo. Non ha nemmeno menzionato il nome di Bal Thackeray «l’imperatore dei cuori indù», storica guida carismatica del movimento induista Shiv Sena, la cui scomparsa nei giorni scorsi ha bloccato interamente Mumbai, in India, impedendo a tutti, religiosi o meno, di andare a lavorare.
Ma quel post e quel “mi piace” sono stati sufficienti a far finire le due ventenni in carcere per una notte, liberate il giorno dopo su cauzione, ma minacciate adesso dalla vendetta di centinaia di estremisti indù un po’ confusi: perché Shiva è il Dio distruttore dell’illusione e della falsa realtà, non della libertà d’espressione.
Qui c’è la storia sul quotidiano The Hindu, e qui la petizione in loro difesa e in difesa di chi crede che un “mi piace” possa essere una carezza all’ego, una scelta politica, o religiosa, un lazzo, un buffetto, una goccia d’acqua in un mondo liquido e impalpabile. Ma, in quanto opinione, in una democrazia non può essere un crimine.
Chi contro il “mi piace” si accanisce, di “mi piace” perisce.