Due riflessioni sui modi e sui temi della politica
Alla vigilia delle elezioni ero a Bruxelles, ad un evento organizzato dei Verdi europei. Non saprei dire come io sia finito lì; ad esser sincero quando mi hanno invitato non avevo neanche ben capito che fosse una iniziativa dei Verdi, perché da noi, in Italia, i Verdi di fatto non esistono più.
C’era gente da tutti i paesi d’Europa: i Parlamentari europei del Green Party e gli attivisti di quel movimento volevano ascoltare idee e progetti di quelli che loro chiamano change-makers.
C’era ad esempio un ragazzo di 24 anni di non so quale paese dell’est che viveva in un paesino di montagna e aveva messo su una piattaforma di e-commerce di prodotti artigianali di lana merino dando lavoro a tutte le donne del suo villaggio; dei tipi del nord che volevano organizzare una gara tra le scuole europee per il risparmio energetico con una App e una ragazza che voleva fare una Toys Library in Romania (o Bulgaria non ricordo); c’era gente strana, piena di buoni sentimenti, di buoni propositi e di idee anche strampalate, e c’erano tante femministe che ti facevano fare la foto con un cartello con scritto “Proud Feminist”: io non l’ho fatta, ma solo per timidezza, perché sono stato affetto da una sorta di sindrome dell’impostore per tutti i due giorni.
Ancora adesso non so dire perché io sia stato invitato, immagino perché mi occupo di diritti digitali fondamentali, di copyright e di protezione dei dati, o almeno è di quello che ho parlato. Ma quale che fosse la ragione per cui sono finito lì, quando sono tornato domenica pomeriggio in Italia e sono andato a votare (scoprendo che un timido simbolino dei Verdi era appiccicato ad una lista presente nella coalizione del centrosinistra che ha preso lo zerovirgolapoco), ho iniziato a riflettere sulla politica e sulla distanza che ho percepito tra quel mondo lì e questo paese.
Provo a sintetizzarne due e a condividerle per come mi son venute in mente, in questo momento post-elettorale, in cui tutti parlano di politica.
La prima cosa che mi ha colpito è stata l’organizzazione stessa dell’evento.
Non ho esperienza di eventi organizzati da partiti politici in Italia (non sono mai stato invitato alla Leopolda, per dire), ma ho partecipato in questi anni a decine di convegni e incontri in Italia su argomenti latamente “politici”, sui temi del digitale, in cui erano presenti parlamentari italiani. Lì non ho mai incontrato un politico italiano, di destra o di sinistra, che apparisse curioso e davvero interessato alle idee altrui. Normalmente arrivano, fanno il loro immancabile intervento più o meno stimolante, salutano chi per i loro standard merita di esser salutato, si scusano e se ne vanno. L’ascolto non è parte del protocollo. Vale la partecipazione.
A Bruxelles sono stati due giorni pieni di incontri in cui non c’era di fatto nessun relatore programmato (solo un keynote speech iniziale di Bertrand Piccard); nessuno che salisse in cattedra a far bella mostra, ma una macchina perfetta che ha coordinato con precisione cronometrica (per noi impensabile) oltre 300 persone in decine di incontri, tavoli di lavoro, work-cafè e semplici chiacchierate che producevano report condivisi in sessioni plenarie molto informali. I MEP stavano ad ascoltare, erano curiosi, facevano domande. Magari poi era solo marketing politico, ma ho avuto la sensazione di esser in un altro mondo, a contatto con una politica aperta, fatta di idee e non di slogan.
La seconda considerazione riguarda i temi della politica.
Immancabilmente in molti mi hanno chiesto delle elezioni e del movimento 5 stelle, che loro, i Verdi europei, ricordavano in origine molto sensibile ai temi dell’ambiente, delle energie rinnovabili e in generale portatore di una visione della vita più ecologica e eco-compatibile. All’estero M5S appare ancora oggi un movimento molto legato alla rete, a internet come vettore di democrazia.
Non ho saputo rispondere.
Che cosa racconti ad un danese o a un lettone del M5S, dell’attuale Movimento 5 Stelle, ed in generale di queste elezioni?
Puoi raccontare che i temi politici che necessitano di visioni di ampio respiro non sono parte dell’orizzonte della politica italiana.
Che esattamente come per i temi legati al digitale ed alla rivoluzione dell’informazione, anche per l’ambiente ci si limita a generiche formule buone per tutti gli schieramenti.
Parlare di cambiamento climatico è come parlare di privacy o di sorveglianza di massa: non sono temi utili per prender voti. L’interlocutore ti guarda, ascolta affascinato, ma intuisci che non gliene frega nulla.
Capire che un grado in più di temperatura genererà in futuro nuovi migranti che non potremo “aiutare a casa loro”(sic!) è complesso, come è complesso spiegare che sul presupposto errato di non aver nulla da nascondere stiamo rinunciando senza accorgercene a diritti fondamentali e ci stiamo inesorabilmente avviando verso un modello di società meno libera e più ingiusta.
L’ambiente -la terra- e il mondo digitale -l’infosfera- sono l’habitat in cui viviamo, ma non ce ne occupiamo noi come cittadini e non se ne occupa la politica, se non per sfruttare ogni risorsa (i nostri dati come il petrolio è il nuovo mantra) incuranti delle conseguenze. E la piccola politica italiana si occupa solo di quelle, delle conseguenze: immigrazione, sicurezza, lavoro, sono complesse ricadute di modelli di sviluppo privi di una visione coerente con la mutata realtà globale.
A Bruxelles nei giorni scorsi ho avuto un barlume di speranza che possa esistere una politica più alta. Poi sono tornato in Italia. Per andare a votare.