I tre libri che regalo ai giovani avvocati
La letteratura è piena di virtù e miserie dell’avvocatura. D’altra parte l’avvocato è il protagonista perfetto per un romanzo: costantemente in bilico tra verità e menzogna, lo si può dipingere più di ogni altro personaggio come leale al cliente e alla giustizia e per questo facilmente ambiguo. Egli poi, per mestiere, deve andare al cuore delle vicende umane, districare nei meandri della legge i vissuti e le storie personali dei protagonisti, per rendere i fatti oggettivi e così presentarli al suo alter ego, il giudice, affinché ne dica il vero, col verdetto. È dunque un personaggio utile al romanziere, a tratti quasi un espediente narrativo. L’elenco degli avvocati in letteratura è sterminato.
Ho letto da poco Il buio oltre la siepe (la citazione iniziale è affascinante: anche gli avvocati sono stati bambini, immagino) e mi sono dilettato nei romanzi di Scott Turrow e nella bravura del suo Sandy Stern (uno degli avvocati che vorrei a mia difesa). Ho anche disprezzato Herr Huld, l’avvocato di K. ne Il processo di Kafka (e lo rivedo spesso in alcuni colleghi).
Ci sono però tre libri che negli ultimi anni regalo spesso ai praticanti o ai giovani avvocati che incrocio nella mia vita professionale.
Il primo “Elogio dei giudici scritto da un avvocato” di Piero Calamandrei lo imporrei per legge come materia d’esame, quanto meno all’esame d’abilitazione.
Non lo si può leggere d’un fiato. Sono piccoli racconti, brevi scorci di vita giudiziaria e riflessioni fulminanti sulla giustizia e sugli uomini, scritti tra il 1935 e il 1956. Quando, come talvolta accade, le prove dell’accusa sono schiaccianti e dopo aver scandagliato ogni atto e ogni deposizione mi pare di non avere argomenti per “ammollire sotto la fiamma del sentimento il duro metallo delle leggi, per meglio formarle sulla viva realtà umana”, insomma per dirla in breve, quando difendo l’indifendibile, apro il libro e inizio a legger a caso, magari nel capitolo “Della fede nei giudici, primo requisito dell’avvocato” o in quello “Di certe aberrazioni dei clienti, che i giudici debbono ricordare a scusa degli avvocati”. E ogni volta trovo una traccia, uno spunto. Poi nelle discussioni in aula non lo cito quasi mai, per non svilire quegli scritti in un banale artificio d’eloquenza e non apparir trombone agli occhi del giudice: ma in quel libro vi è l’essenza dell’avvocatura e della giustizia.
Il secondo è Non avevo capito niente di Diego De Silva. Nulla a che vedere con Calamandrei: l’avvocato Malinconico è uno degli oltre 230.000 avvocati d’Italia, e De Silva descrive con ironia e leggerezza la realtà della professione oggi. Lo studio dell’avvocato è una stanza condivisa, arredata con i mobili di IKEA e alla fine del mese, dopo aver pagato la Cassa Previdenza, l’IVA e le tasse, ti ritrovi con meno soldi del cassiere del tuo supermercato. Ma va bene lo stesso, perché è una professione bellissima e nel libro un po’ si capisce, e ci si diverte molto. A legger il libro.
Il terzo è Avventure di un avvocato di John Mortimer. L’avvocato Rumpole è un ronzino del Tribunale, un avvocato che deve necessariamente battagliare in aula, non star seduto in ufficio a perdersi in sofismi. Tra gli avvocati si direbbe: “è uno che fa carcerario”, che poi è il penale vero, quello dove i delinquenti sono quel che sono, e molto spesso scopri che sono di gran lunga migliori di coloro che, per il loro colletto bianco, mai sospetteresti esser delinquenti. Nei paesi anglofoni le avventure di Rumpole sono famosissime, e negli anni Ottanta fu realizzata anche una fortunata serie televisiva “Rumpole of the Bailey”. È una lettura ricca di umorismo molto british, che regalo per due ragioni: 1) è un piccolo gioiello poco noto, che tocca temi essenziali della professione di avvocato; 2) è un buon modo per capire il complesso sistema giudiziario anglosassone, cosa che non fa male per un giovane avvocato.
Poi lo so che di libri sugli avvocati ce ne sono molti, a cominciare dalle storie dell’Avvocato Guerrieri di Carofiglio, ma io questi regalo.