L’area di tolleranza della libertà d’espressione
Provo a spiegare perché, al di là delle criticità già rilevate da molti, ritengo necessario cercar di fermare il DDL Diffamazione, e lo faccio adesso perché penso che considerazioni simili possano valere per la stretta sul web annunciata dal Ministro Alfano nel prossimo decreto antiterrorismo. La proposta di legge che vorrebbe ridurre le pene per la diffamazione e che modifica dopo 66 anni la Legge Stampa del 1948 rappresenta infatti un esempio perfetto dell’insipienza e dell’ipocrisia del nostro legislatore su di un tema fondamentale quale la libertà di espressione e di informazione.
Parto da lontano.
Il glorioso passato della Legge Stampa
La Legge Stampa rappresenta uno dei pilastri su cui si regge nel nostro paese dal 1948 la libertà di informazione. I padri costituenti, dopo aver sancito all’art.21 la libertà d’espressione, ritennero per reazione ai disastri del ventennio di dover disciplinare direttamente in Costituzione quello che in allora era il mezzo dominante per la diffusione della libera informazione: la stampa tipografica periodica. L’art. 21 della Costituzione detta una minuziosa disciplina per tale mezzo e richiama espressamente la coeva legge stampa, la n°47/1948, che assume così indirettamente rilievo costituzionale.
Si è creata quella che la giurisprudenza definisce «l’area di tolleranza costituzionalmente imposta dalla libertà di espressione». Per la stampa tipografica, e solo per quel mezzo di diffusione, si genera una zona franca da interferenze, controlli e censure. Una notizia, vera o falsa che sia, violenta insultante o diffamante, sui giornali non si può vietare, non si può bloccare e neppure si può sequestrare la riproduzione che la veicola. Chi ne è vittima, non può pretender di fermare l’infamia. I diritti del singolo sono recessivi rispetto alla libertà d’espressione.
Libertà e responsabilità: le sanzioni
Ovviamente libertà di stampa non poteva (e non può) significare impunità per chi supera i limiti che in ogni tempo (ma con geometrie variabili) sono tracciati a difesa della dignità della persona, di un gruppo o di un popolo. Anzi, proprio come contraltare di quell’area di libertà, franca da interferenze e controlli preventivi, furono previste per la stampa elevate sanzioni in tema di diffamazione. Nei casi di più grave e plateale lesione alla reputazione, commessi abusando proprio di quella libertà concessa alla carta stampata, si può arrivare a sanzionare con il carcere.
E’ lecito, e forse doveroso, discutere oggi della proporzionalità di tali sanzioni, ma è necessario compiere prima un’operazione più complessa, perché dal 1948, tutto è cambiato.
Internet e la nuova libertà d’espressione
Per ragioni storiche e di mercato, radio e televisione hanno inciso poco su quell’impostazione, ma internet ha travolto e sottratto senso all’intero impianto costituzionale. Oggi l’art. 21 della nostra Carta fondamentale è forse quanto di più inadatto ed obsoleto sia offerto al giurista per difender la libera manifestazione del pensiero. Grazie alle reti di comunicazione elettronica il concetto stesso di libertà d’espressione è cambiato. Non è più solo «il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione» (art.21 Cost), ma è diventato il diritto di ciascuno di noi di ricercare e accedere all’informazione, di informare ed esser informato; che poi, in concreto, vuol dire il diritto di accesso ad internet. La libertà d’espressione è oggi il diritto di fruire, a parità di condizioni, di ogni servizio sia reso disponibile per veicolare e condividere contenuti. Ed a ben guardare, su internet, la libertà di espressione trascina con sé la tutela della neutralità della rete. Perché come più volte affermato dalla Corte di Giustizia Europea, ogni nuovo servizio della società dell’informazione (un aggregatore, un motore di ricerca, una piattaforma di condivisione o una qualsiasi nuova modalità di fruizione dei contenuti) è esso stesso esercizio di libertà di espressione, e come tale va tutelato da discriminazioni, filtri, blocchi e oscuramenti vari: va difeso dalle ingerenze dello Stato e del potere. Sono necessarie modalità nuove rispetto alle riproduzioni tipografiche, ma le ragioni che generarono la libertà di stampa nel secolo scorso valgono oggi per il web.
Quell’area di tolleranza costituzionalmente imposta dalla libertà di espressione, creata nel lontano 1948, non può più esser confinata alla stampa tipografica: bisogna ricostruirne il perimetro, ritracciarne i confini. Solo dopo aver ridisegnato le tutele e le garanzie della libera manifestazione del pensiero nel nostro tempo, distinguendo le diverse forme di comunicazione, in rete e non, si potrà valutare con cognizione di causa come allocare le responsabilità, quali sanzioni siano efficaci e proporzionate, e quali misure di prevenzione e “censura” siano ammissibili in una società democratica. Anche, ma non solo, per la diffamazione.
Il DDL Diffamazione e la stretta sul web
Il DDL Diffamazione persegue un disegno opposto. Non rispetta (o non coglie) la finalità originaria della Legge che si propone di modificare, e tenta (senza coraggio) di estendere al web non le garanzie e le tutele previste per la stampa, ma solo vecchie e nuove forme di responsabilità e controllo. Quel provvedimento rivela l’abissale distanza del nostro legislatore dalle questioni che oggi solleva la libertà di espressione. Ed è la stessa distanza (e la stessa ipocrisia) che avverto quando, sotto le insegne proprio della libertà di stampa stuprata in Francia, sento invocare provvedimenti antiterrorismo finalizzati al controllo, filtraggio e blocco dei contenuti sulla rete.
Anche la semplice modifica delle pene edittali previste per la diffamazione è operazione inutile e pericolosa se sganciata da una reale valutazione dei ruoli e dei beni giuridici in gioco. Partire da lì, dalle sanzioni, per modificare la legge stampa vuol dire unicamente cercar consenso tra giornalisti ed editori, strumentalizzando la libertà d’espressione per perseguire antitetici obiettivi. Tant’è che le nuove sanzioni pecuniarie sono comunque oggetto di identica critica da parte dei giornalisti. Ed a ragione, perché per stabilire quanto vale una diffamazione “a mezzo stampa” (che stampa non è più) è necessario prima ri-disegnare la libertà d’informazione (che non è più la libertà di stampa). Come posso estendere il concetto di stampa alle (sole) testate registrate online, senza ridefinire garanzie e tutele all’interno dei nuovi media e sul web? Che senso ha accollare al “direttore” di un sito di informazione responsabilità para-oggettive e aggravate, sulla base unicamente di una registrazione volontaria della “testata”, a cui non consegue alcun beneficio in termini di tutele e garanzie?
Davvero sul web posso sequestrare –rectius oscurare- informazioni e contenuti su ordine di autorità amministrative pseudo-indipendenti o su richiesta di un Ministero, o fin anche su provvedimento di un P.M., senza definire prima, a livello Costituzionale, come si declina sulle reti di comunicazione quel diritto che la stessa Corte Costituzionale definì tra tutti i diritti fondamentali «la pietra angolare della democrazia»?
E che la finalità del DDL Diffamazione non sia affatto tutelare la libertà di stampa o di informazione, ma creare inedite sanzioni, rettifiche e rimozioni applicabili ai nuovi media per agevolarne il controllo disconoscendone tutela, lo si comprende poi dalla scellerata introduzione di quella specie di diritto all’oblio che consente l’oscuramento dei contenuti sul web per trattamento illecito dei dati. Un diritto incerto, che nessuno ha ancora capito e di cui non son chiari presupposti e confini, viene introdotto nella legge stampa (sic!) al solo fine di conferire un diritto di rimozione ad personam, su contenuti web.
E questo è il DdL Diffamazione. Cosa farà il Governo sull’antiterrorismo è presto per dirlo,(siamo alla fase degli annunci) ma le premesse per inquietarsi ci son tutte.
Soluzioni?
Bisognerebbe riscrivere l’art. 21 della Costituzione, abrogare la Legge Stampa del 1948 e ricostituire da capo «l’area di tolleranza costituzionalmente imposta dalla libertà di espressione nel XXI secolo».
Per ora, con questi legislatori, è più realistico limitarsi a far ciò che si può per evitare l’approvazione del DDL Diffamazione, e vigilare sulle proposte che si preannunciano in nome della sicurezza nazionale.
Forse si può sperare che nel tanto parlare di diritti fondamentali di Internet, qualcuno si accorga, ad esempio nella Commissione voluta dalla Boldrini, che una buona attuazione del solo diritto fondamentale della libertà d’espressione consentirebbe di tutelare Internet più di cento Bill of Right. Purtroppo nella bozza della Dichiarazione dei Diritti in Internet, tra i tanti, troppi, buoni principi enunciati ne manca uno: la libertà d’espressione.