Onida e il test di Katz
Nei nostri Tribunali non si usa quello che nel diritto statunitense è noto come il “test di Katz”.
Nel 1967 la Corte Suprema degli Stati Uniti emise una storica sentenza nel caso Katz vs United States declinando in maniera innovativa il diritto alla riservatezza in relazione alle interferenze immateriali che la tecnologia iniziava allora a consentire.
La Suprema Corte stabilì il principio della “ragionevole aspettativa di privacy” affermando che una conversazione, per quanto fatta da una cabina telefonica e dunque in un luogo pubblico, merita comunque tutela ai sensi del quarto emendamento.
Chi parla nella cornetta del telefono ha sicuramente il diritto di pensare che le sue parole non saranno trasmesse al mondo. Così la Suprema Corte statunitense.
Ancora oggi, oltre oceano, per valutare se vi è una violazione della privacy – in generale, e non solo in tema di comunicazioni, pensiamo alle videoriprese – è necessario verificare la ragionevole aspettativa di riservatezza del soggetto leso: si fa il test di Katz appunto.
Qua da noi metterebbe male. Tipo: «Signor Giudice, deve fare il test di Katz per assolvere il mio cliente». Non va bene, più che altro per una questione fonetica.
La vicenda che ha coinvolto il Saggio Prof. Onida è ovviamente diversa e non è necessario scomodare il test di Katz, che potrebbe esser pertinente nel caso solo appunto per l’assonanza, declinata al plurale.
Confesso che spesso sento il noto programma condotto da Cruciani, con un misto di fastidio, sofferenza, ammirazione (per il solo Cruciani) e talvolta di divertimento.
Mi stupisce sempre che vi sia gente che telefona ad una radio, in diretta, per farsi ingiuriare e diffamare dai due conduttori, ma si sa, l’onore e la reputazione sono beni disponibili, e oggi siam disposti a cederli con grande facilità su Facebook o su qualche media pur di dar segno della nostra esistenza al mondo.
Nella vicenda Onida però i due hanno passato il segno. Non è la prima volta, e non è proprio una robetta da poco.
A parte il reato di sostituzione di persona, per il nostro Codice Privacy: «l’utente informa l’altro utente quando, nel corso della conversazione, sono utilizzati dispositivi che consentono l’ascolto della conversazione stessa da parte di altri soggetti». La norma detta un principio di buon senso, ma non è sanzionata.
La sanzione, severa, arriva dopo, se la conversazione viene diffusa.
«Non è illecito registrare una conversazione [da parte di chi partecipa alla stessa, chè per i terzi è reato] perchè chi conversa accetta il rischio che la conversazione sia documentata mediante registrazione, ma è violata la privacy se si diffonde la conversazione per scopi diversi dalla tutela di un diritto proprio o altrui».
Così la Corte di Cassazione. E il reato, il trattamento illecito di dati personali, va fino a due anni di galera.
Resta da chiedersi se i due conduttori, nel diffondere una conversazione che l’interlocutore credeva esser privata esercitassero un qualche diritto. Qui potrebbe annidarsi una stentata difesa. Ardua, alla Ghedini.
Il diritto di cronaca non consente ovviamente di generare artificialmente (o peggio illegittimamente) il fatto poi suscettibile di lecita diffusione. Non è che provoco la stupidaggine per poi poterne parlare “in cronaca”. Anche l’animus jocandi potrebbe esser un tentativo di difesa, potrebbe elidere il dolo. E però «non è lecito divertirsi o far divertire altri con nocumento dell’onore e della reputazione altrui» dicono ancora i nostri giudici; figuriamoci un nocumento alla riservatezza.
Insomma, i saggi saranno anche “inutili”, cosa che avevamo capito già tutti, ma la vicenda evidenzia come certa “informazione” più che inutile, sia dannosa, prima di tutto a se stessa. Forse ci si può ancora divertire senza commettere reati. Spero.