Commissariati dall’Europa anche sulla rete
L’Europa, con la firma di Neelie Kroes, vice presidente della Commissione, ha chiesto all’Italia chiarimenti sul noto regolamento AgCom a tutela del copyright in rete. Quello in via di approvazione che prevede un sistema amministrativo di rimozione coattiva dei contenuti condivisi sul web in violazione del diritto d’autore.
La comunicazione era attesa, poiché ad avvisare la Commissione Europea delle velleità regolatorie italiane sul web era stata l’AgCom stessa: il regolamento infatti poteva astrattamente costituire una “regola tecnica” capace di alterare o limitare la libera circolazione dei servizi nel mercato unico dell’Unione e dunque prima della sua approvazione era necessario avvisare Bruxelles.
AgCom ha mandato alla Commissione il suo regolamento nella convinzione di ottenere il via libera. Le critiche all’iniziativa che hanno animato il web la scorsa primavera sono incentrate prevalentemente su problemi di diritto interno e poiché l’Europa valuta solo la compatibilità con il mercato, il rischio di una bocciatura da Bruxelles era basso.
La lettera giunta dalla Commissione è però per AGCom una doccia fredda. La sintetizzerei così:
“Cara Italia,
limitare alla fonte la pirateria on line è un obbiettivo anche della Commissione europea e dunque osserviamo con grande interesse lo sviluppo nazionale in tale settore.
Il problema è che non abbiamo capito cosa AGCom voglia fare. Abbiamo letto lo schema di regolamento che ci avete mandato, ma purtroppo non siamo in grado di esprimere un parere perché il testo normativo non è affatto chiaro. Vi preghiamo dunque di rispondere ad alcune domande e fornirci i dovuti chiarimenti per permetterci di dare un parere di compatibilità.”
Non è certo una lettera lusinghiera per i neo-regolatori del web: seguono una serie di osservazioni e domande, alcune oggettivamente imbarazzanti. Il problema della Commissione Europea, e dunque il problema dell’Italia, a fronte della proposta di regolamento di AgCom non è (solo) il mercato, il copyright o la libertà di espressione in internet, ma il provvedimento in sé, che è un vero e proprio pasticcio normativo.
Tecnicamente lo schema di regolamento è confuso e contorto: non è chiaro chi sono i destinatari delle norme nella complessa galassia dei fornitori dei servizi in rete; non è chiaro chi ha il diritto di far rimuovere i contenuti né quali sono le condizioni per cui vi è o non vi è violazione del copyright; non è chiaro quali poteri discrezionali abbia l’Autorità, né per quale ragione tale autorità dovrebbe avere poteri diversi da quelli assegnati dalla legge alla magistratura; non sono chiari i tempi delle procedure che sono o troppo stretti o troppo ampi, a seconda delle finalità; non si capisce perché un sito con nome a dominio registrato da un italiano debba subire diversa sorte rispetto a un sito italiano con nome a dominio registrato da un cittadino straniero; non è previsto un sistema di trasparenza nelle rimozioni. Si potrebbe continuare. Chi vuole può trovare tutte le incongruenze tecniche presenti nel regolamento rilevate dalla Commissione Europea ed altre qui, nelle osservazioni presentate dal Centro Nexa del Politecnico di Torino.
E quindi non poteva che finire così. Il punto è che il diritto è una scienza assai più esatta di quanto sia dato pensare. Una legge, un regolamento o un provvedimento hanno un senso e stanno in piedi solo se sono inserite in modo armonico e coordinato con l’intero sistema di diritto che caratterizza e regola un dato settore. Non ci si improvvisa legislatori per ragioni contingenti, senza rispettare poteri, competenze e gerarchia delle fonti normative.
Il diritto d’autore è oggi in grande sofferenza perché regolato da una legge vecchia inadatta al web, ma è disciplinato comunque da una legislazione completa, frutto di scelte (pessime) deliberate a livello internazionale, ed è sorretto da tutele forti (anche troppo), affidate alla magistratura. In Italia esistono sezioni specializzate dei tribunali dedicate esclusivamente alla tutela della proprietà intellettuale. La magistratura ha il potere di far cessare celermente e efficacemente le violazioni del copyright in rete con procedure garantite per legge.
AgCom è un’autorità amministrativa con compiti meramente attuativi, con limitati poteri regolamentari sul web e residuali competenze in tema di diritto d’autore. Inventarsi provvedimenti solo apparentemente amministrativi, ma in realtà para-legislativi, in un contesto normativo consolidato, per ragioni tutt’altro che chiare, è operazione non tanto illegittima, quanto tecnicamente difficile se non impossibile.
Se un’autorità amministrativa si arroga il diritto di fare ciò che il legislatore in Parlamento non riesce -per fortuna- a fare, ovvero regolare e controllare il web, ed utilizza la via breve del procedimento amministrativo per creare normative nuove in settori complessi come il diritto d’autore e la responsabilità in rete, inevitabilmente si creano fratture e distonie e si generano mostri normativi. È una ricaduta tecnica inevitabile là dove si forzano le regole ed i principi del diritto.
Per rispondere alla Commissione Europea, AGCom deve necessariamente chiarire alcune fondamentali questioni:
– deve spiegarci perché mai la sua procedura, confusa e piena di incertezze interpretative come dimostra la missiva della Commissione Europea, dovrebbe esser migliore di quella derivante dall’attuazione delle direttive comunitarie e contenuta nella Legge sul diritto d’autore;
– deve far capire perché ritiene di esser più efficiente di un Tribunale specializzato;
– deve in ultimo spiegare perché fa tutto questo casino a tutela di una parte, l’industria del copyright, che non è affatto un soggetto debole, e può pagarsi fior di avvocati per far valere i propri diritti in Tribunale.
Solo dopo aver chiarito questo, se ancora lo ritiene, risponda alla Commissione Europea, tenendo conto che il governo Berlusconi è caduto e l’industria del copyright italiana potrà finalmente d’ora innanzi fare liberamente opera di lobbying, presso il legislatore e presso le varie autorità indipendenti, senza sospetto di conflitti d’interesse.
Se le istanze dei titolari dei diritti saranno condivise, si potrà intervenire con una legge democraticamente discussa e deliberata in Parlamento, come avviene usualmente nel mondo occidentale. Non con un confuso regolamento emesso da un’autorità amministrativa politicamente irresponsabile.