Quello che non sa parlare italiano
Nel momento in cui Masterchef ha preso il testimone da X-factor come talent del momento, Joe Bastianich ha preso da Mika quello di giudice più autorevole. Gli altri colleghi sono simpatici, competenti, litigiosi, sanno fare spettacolo. Ma lo spessore, la prova che lì le cose sono serie la danno loro. Questo perché, da Don Lurio in poi, sulla tv italiana non parlare italiano è considerata un’espressione di grande autorevolezza. La massima. Vuol dire, d’altra parte, non essere italiani. E non essere italiani quando con l’argomento “facciamo come in quei paesi dove le cose funzionano” si vincono il novanta per cento delle discussioni, è già più che sufficiente a conferire autorevolezza.
All’inizio c’è stato Don Lurio che ha insegnato a ballare negli spettacoli del sabato sera. Poi Heather Parisi ha fatto altrettanto e ha trovato qui l’America, come ci piace dirci. Abbiamo avuto Mal che col solo accento aggiungeva fascino a liriche oltremodo deboli e persino Alan Friedman che spiegò al risparmiatore come tenersi al riparo dalle insidie del mercato, e ci potevamo fidare di lui perché parlava inglese – “loro non ce l’hanno neanche nel vocabolario una parola per dire tangente!” – era perfetto per parlare di economia a un pubblico tormentato da Tangentopoli e dal prelievo forzoso notturno. Abbiamo avuto perfino una giudice, Taiye Selasi, che non parlava italiano nel talent che doveva premiare uno scrittore italiano esordiente. Premiava i migliori congiuntivi e le migliori scelte lessicali una scrittrice che non poteva apprezzare a pieno i congiuntivi e le scelte lessicali (non è comunque una colpa non conoscere una lingua secondaria, non fraintendiamo).
Oltre all’autorevolezza, non parlare italiano sulla tv italiana è ben accetto perché dimostra amore per il nostro paese. Per la stessa forma di vanità per cui si vuole sapere cosa dicono di noi all’estero, ma non della società italiana, proprio degli italiani, della cucina italiana, dell’arte italiana, delle donne, dei ladri, della vita, della furbizia. Cosa dicono di noi, eh? Allora l’inglese o l’americano che, nonostante tutto, vengono a vivere in Italia piacciono perché ci fanno ritrovare un po’ d’orgoglio. Mika e Bastianich sono i Goethe e lord Byron di oggi, vengono in Italia per il loro grand tour e ci dicono di cosa dobbiamo andare fieri.
Ma la cosa più importante del tizio che parla italianish è che ci costringe ad ascoltarlo. Perché usa i calchi, perché ci stupisce con costruzioni ardite, con espressioni insolite, anche con quei buffi errori che fanno ridere e, però, allo stesso tempo notare che l’italiano è difficile e beffardo. Non solo parlano italiano con l’accento inglese, allora, ma sono obbligati a farlo. Sono obbligati a non impararlo mai bene. Se lo imparassero, anzi, sarebbero meno efficaci. Addirittura, temo, sono obbligati a fingere di non averlo mai imparato del tutto. Per esempio Dan Peterson che ha costruito la sua fortuna di commentatore sull’accento, io lo immagino a casa che parla perfettamente brianzolo con moglie e figli e poi, quando viene chiamato in tv, metta la maschera. Gli dico i soliti calchi, qualche errore di grammatica, qualcosa tipo “mamma, butta la pasta” e li faccio contenti.