Run for your life
Quando il sole è già tramontato da un po’, ma i commenti agli show in prima serata non fioccano ancora, nelle timeline meno impregnate appaiono messaggi che, pur nella loro stringatezza, tradiscono enormi sforzi e sovrumani silenzi.
Di solito in queste forme: «I crushed a 7.4 km run with a pace of 6’29” with Nike+ SportWatch GPS» oppure «Just completed a 4.23 km run with @RunKeeper. Check it out!».
Capisco bene che quando finisce una corsa, affluisca poco sangue al cervello e se l’apparecchio domanda «vuoi condividere quanto hai corso?» uno può perdere un po’ di lucidità e rispondere, sì, lo voglio, guarda come sono sudato, stremato, ansimo, non riesco a parlare, ma tu restituiscimi voce e di’ a tutti che ho corso cinque chilometri, che si sappia che non sono solo sarcasmo su palinsesti televisivi e fini strategie elettorali, che si sappia che mens sana in corpore sano, che non posterò mai – pubblicamente – foto dei pettorali, ma sono in forma. Materiale per sexting.
D’accordo, sono soddisfazioni personali, non si pretende mica di andare in tv a raccontarle, giusto ai proprio amici, dopotutto una cosa che fa bene, come correre, lo dicono tutti, può valere una piccola frivolezza o vanità. Dà davvero più fastidio di un altro commento sulla febbre dei propri figli o sulle negligenze di autobus o treni? No, certo, niente affatto. Ma dirgli cosa, di grazia? Ecco, che almeno esista un for dummies in grado di spiegare anche a chi non corre, o a chi non usa app e cronometri, quanto sta correndo il proprio amico. Così che uno possa comparare con le tabelle e verificare che un “pace” di oltre 7 minuti vuol dire camminare, mica correre. E le passeggiate, quelle almeno, possiamo pretendere non siano notizie. Allo stesso tempo anche le app facciano la propria parte filtrando la possibilità di condivisione per chi fa meno di 5 chilometri o 30 minuti, che almeno sudare sia un requisito minimo alla pubblicazione.
Eppure tra le cose, pochissime, che si ricordano meglio della campagna alla vicepresidenza di Paul Ryan c’è di sicuro la balla che raccontò sulla maratona che aveva corsa in poco meno di tre ore. E che poi si scoprirono essere quattro. E anche lui se la scampò – da una bugia enorme, di quelle che dovrebbero darti la patente di manuelfantoni a vita – per la stessa ragione per cui i 3 chilometri e mezzo corsi dai nostri amici in 46 minuti non significano niente per noi: perché non tutti sono obbligati a conoscere le tabelle di marcia della maratona. (Non tutti sono obbligati neanche a conoscere i voti sulle riforme elettorali, ma è un’altra storia).
Forse i dati sulle corse vengono pubblicati a prescindere da tempi e velocità, perché raccontano qualcosa della propria determinazione. E allora sono perfino più personali delle informazioni su cos’hai appena ascoltato – ed è per questo che altri non li pubblicano. Sono lì tutto il giorno a raccontare quanto conti la costanza, la risolutezza, il coraggio, lo stay hungry, la forza di volontà e poi dopo 15 minuti ho già la caviglia in disordine, l’ipod scarico, una maglia in meno del necessario, più scuse di un tennista italiano.
O forse, molto più semplicemente, c’è Occam. Io, una volta, trovandomi in autostrada, ho dato il via a runkeeper e l’ho lasciato scorrere per una trentina di chilometri. Poi ho postato quelle cifre, iperboliche, e non se n’è accorto nessuno. O era uno scherzo troppo idiota perfino per i bassi standard di certi pomeriggi sui social network o è che proprio quei dati, non li guardano, basta sapere che corri. Ed è semplicemente la versione sociopatica di quando andavamo in palestra solo per bighellonare qua e là prima di farsi sauna e doccia.