Un pezzetto della nuova cucina peruviana, a Milano
Negli ultimi anni sempre più cucine considerate a lungo periferiche e poco pregiate hanno abbandonato il modello dominante della cucina francese e hanno riscoperto i propri ingredienti e le proprie ricette, aggiornandole al gusto e alle tecniche contemporanee, reinventandosi. Una di quelle che si è fatta più strada è la cucina peruviana, che grazie al lavoro di alcuni chef e agli investimenti del governo è riuscita a costruirsi un’identità variegata ma definita, a conquistare i primi posti delle classifiche dei migliori ristoranti al mondo e ad esportare alcuni piatti e sapori all’estero, compresa l’Italia.
Si parla di una “rivoluzione gastronomica peruviana”, che si è accompagnata alla ripresa del Paese negli anni Novanta dopo la fine del terrorismo di Sendero Luminoso e di una grossa crisi economica. Negli ultimi dieci anni Lima è diventata una capitale stimolante e vitale, con la conseguente nascita di ristoranti e locali che hanno trasportato il cibo dalla dimensione domestica a quella pubblica e commerciale, rendendo necessaria la formazione di cuochi professionisti: la rivalutazione della figura del cuoco, che nell’Europa degli anni Settanta e Ottanta si era trasformato in un temuto e venerato chef, arrivò anche in Perù. Così si aprì una riflessione sulla cucina nazionale e sui suoi ingredienti che fece emergere alcune figure decisive, anche grazie al sistema ormai collaudato all’estero che prevede la stesura di ricettari, la partecipazione a programmi di cucina, l’apertura di accademie, fino ai social network, ai blog e ai documentari celebrativi come Chef’s table di Netflix.
Bernardo Roca Rey inventò nel 1986 la cosiddetta cocina novoandina, che recupera ingredienti tradizionali e piatti antichi della cucina peruviana, li mescola tra loro in modi originali e li prepara con tecniche contemporanee e risultati inediti. A farla diventare un fenomeno nazionale e mondiale fu però Gastón Acurio, che ne è considerato l’esponente più importante. Nato nel 1967 a Lima, andò come tutti a studiare a Parigi, poi nel 1994 tornò a Lima e aprì il ristorante di cucina francese Astrid y Gastón; e a un certo punto, anche se era sempre affollato, pensò che non avesse più senso. Finì per studiare le tremila varietà di patate che crescono in Perù, arricchì i piatti di mais e patate dolci, mise al centro del menu il quinotto, il risotto di quinoa (se la trovate al supermercato sotto casa è in buona parte responsabilità sua), accostò alpaca brasato con erbe andine e salsa di maca, sfornò i blinis di achira, e arrostì il cavolo con il tucupi, la salsa estratta dalla yucca.
Si mise a studiare il ceviche – il piatto più famoso del Perù, semplice pesce crudo marinato in succo di agrumi, di solito limone o lime, reso piccante dall’aji amarillo, il peperoncino tipico di Lima, e insaporito con cipolle, sale e coriandolo – e lo perfezionò in varianti inaspettate (qui un po’ di consigli su come farlo).
Acurio definì la cocina novoandina anche intrecciandola a quella nikkei e chifa, rispettivamente la cucina nippoperuviana e quella sinoperuviana, nate dall’incrocio (la famosa fusion) tra i piatti degli immigrati giapponesi e cinesi arrivati in Perù a fine Ottocento. I piatti nikkei combinano pesce crudo, molluschi e limone a wasabi, saké, miso e prugne umeboshi, prevedono sushi piccante o ceviche insaporito dalle alghe; tra i principali esponenti di questa cucina ci sono Toshiro Konishi, Nobuyuki Matsuhisa e Mitsuharu Tsumura. La cucina chifa è tra le più popolari del Perù ed è sconfinata anche nei paesi vicini, come l’Ecuador, il Cile e la Bolivia. I primi ristoranti aprirono nella Chinatown di Lima negli anni Venti, mescolando la cucina peruviana con quella cantonese: il risultato piacque moltissimo alla borghesia della città, che andava matta per il riso, le zuppe e le salse agrodolci. Tra i piatti più famosi ci sono l’arroz chaufa, cioè il riso saltato peruviano (a volte sostituito dalla quinoa) con cipolle, uova, verdure, pollo e soia, e il lomo saltado, manzo con cipolle e pomodoro e servito con patatine fritte.
Virgilio Martínez è l’altro esponente della cucina peruviana, più giovane di Acurio (è nato sempre a Lima nel 1977), affilato e carismatico, protagonista di una puntata di Chef’s Table su Netflix. Anche lui fece la solita trafila, studiò la cucina francese all’estero, tornò a Lima nel 2008 e aprì il Central, che in pochi anni si impose come il ristorante più interessante del Perù: nel 2014, 2015 e 2016 fu scelto come miglior ristorante dell’America Latina della classifica 50 Best mentre nel 2015 e 2016 arrivò quarto in quella generale (ora è sesto). Martínez parte dalle idee di Acurio ma le supera mettendo insieme ingredienti indigeni e difficili da trovare (patate cresciute a 5000 metri di altitudine, cianobatteri, formiche) e tecniche all’avanguardia raffinatissime. Il menu degustazione è un affresco degli ecosistemi del Perù, lo racchiude e condensa in una ventina di portate attraverso un viaggio che si snoda sull’altitudine, e che parte da un tipo di alghe che si coglie a 5 metri sotto il livello del mare fino a un piattino di radici cresciute sulle Ande a duemila metri.
Acurio e Martínez sono probabilmente gli chef più celebri e rappresentativi della nuova scena gastronomica peruviana dalle oltre 80 scuole di cucina del Paese escono in continuazione giovani cuochi promettenti. Tra loro c’è Francesca Ferreyros: nata nel 1989, iniziò a lavorare nel ristorante IK dello chef peruviano Iván Kisic – un altro esponente della cocina novoandina, morto a 35 anni in un incidente stradale nel 2012 – poi si trasferì negli Stati Uniti e quindi in Europa nel famoso ristorante El Celler de Can Roca di Girona, in Spagna. La cucina di Ferreyros è naturalmente contaminata da influenze asiatiche perché i suoi nonni lavorarono come diplomatici e vissero a lungo a Seul, Tokyo e Hong Kong. Così, affascinata dall’Asia fin da bambina, andò a lavorare a Bangkok da Gaggan, il celebre ristorante dello chef indiano Gaggan Anand (chiuso lo scorso agosto), al settimo posto della classifica dei 50 migliori ristoranti al mondo e con due stelle Michelin. Nel 2018 è ritornata nel ristorante IK, stavolta come chef, dove propone una cucina influenzata da quella nikkei e chifa. In questi giorni si trova a Milano, ospite del ristorante Torre della Fondazione Prada nell’ambito di CARE’s Chef Under 30, un’iniziativa che propone dei menu degustazione appositamente realizzati da chef internazionali sotto i trent’anni, selezionati dallo chef Norbert Niederkofler e da Paolo Ferretti. Prima di Ferreyros c’erano stati il peruviano Aldo Yaranga, l’irlandese Killian Crowley e il sudafricano Vusumuzi Ndlovu.
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Ferreyros ha messo a punto un menu che parte dagli ingredienti italiani disponibili in questo periodo dell’anno e che cucina, condisce e accosta secondo il suo gusto personale, servendosi delle spezie, delle salse e dei sapori tipici dei suoi piatti a IK: è una buona occasione per assaggiare un pezzetto della cucina del suo Paese e insieme farsi un’idea del tocco e delle predilezioni di una chef che potrebbe fare – ancora più – carriera. Prevede cinque piatti, tra cui un ceviche di capesante, la portata principale a base d’anatra e un dolce, accompagnati da vini italiani; costa 70 euro e sarà disponibile fino al 5 ottobre.