Ciao, sono la fidanzata di papà
Da bambina immaginavo che entro i 30 anni avrei avuto dei figli. Poi i 20 anni sono arrivati e ai figli, se ci pensavo, era col terrore dell’inadeguatezza e della fatica che si incarna nelle donne della mia generazione; il famoso orologio biologico ha iniziato a ticchettare con intensità irregolare e ricorrente passati i trenta. Ora ho 34 anni, niente figli e un fidanzato con due figli. Avendo genitori che stanno insieme dall’adolescenza e pochi amici separati o figli di separati, non era qualcosa che mettevo in conto e a cui ero preparata.
In Italia i divorzi e le separazioni sono in aumento: secondo gli ultimi dati disponibili, nel 2015 i divorzi sono stati 82.469, le separazioni 91.706, e basta mettere il naso fuori casa, ascoltare le lamentele al bar, frequentare una scuola, avere amici, per saperlo. Eppure non abbiamo le parole per raccontare la nuova realtà in cui viviamo: alle famiglie allargate manca il linguaggio per esistere più che a realtà recenti e contrastate come le famiglie omosessuali, che si accomodano perfettamente nei termini tradizionali. Anche se conosco i piatti preferiti dei figli del mio ragazzo e ho i loro disegni appesi in casa, non merito un nome più gentile di “matrigna“; da grandi, se avremo un bel rapporto, mi chiameranno la “compagna di mio padre”, come se dopo anni a unirci fosse ancora solo lui, e non qualcosa che c’è tra noi. E se avessi un figlio, lo chiamerebbero fratellastro? E se anche la loro mamma ne avesse uno, questi bambini con due fratelli in comune, cosa sarebbero tra loro?
Le parole che mancano sono il sintomo di qualcos’altro che manca, e queste “famiglie allargate” che si allargano ogni giorno sono ignorate e trasparenti. In Italia quasi non ci sono film, libri, serie tv che le raccontano per quel che sono realmente, e a cercare storie in cui riconoscersi su internet si finisce in articoli striminziti e ridicoli su come presentare ai figli la-fidanzata-di-papà. Sembra che i genitori divorziati non abbiano voce, se non una voce allarmata e rancorosa, quasi sempre femminile. I padri separati che parlano di sé sono pochissimi, e sono spesso casi di uomini rovinati economicamente dalle ex compagne.
Per le nuove compagne è ancora peggio, sono figure vaghe, viste da fuori quasi sempre con strisciante sospetto e riprovazione: già l’espressione fidanzata-di-papà fa pensare a una bambolina vuota e inconsistente per cui il maschio perde la testa o con cui si consola, incapace di reggere la complessità di una donna adulta e di una relazione matura. Quando queste nuove compagne tirano fuori una voce, è quella degli sfoghi dei momenti bui o delle situazioni impossibili sui forum e nelle lettere del cuore, perché come succede spesso, chi parla lo fa per lamentarsi. Sono poche quelle che sgocciolano egoismo e piccineria, ma sono invece tanti i commenti ingenerosi di chi non ha provato la stanchezza di essere messi in secondo piano, di rinunciare – a una serata insieme, alle vacanze, a condividere la stessa casa, a un figlio – di sopportare bambini che fanno leva – e ce ne sono, con grosse responsabilità di chi li ha cresciuti – sui sensi di colpa dei genitori. «Potevi pensarci prima di metterti con uno coi figli» è la sentenza che non manca mai, crudele equivalente di «potevi pensarci prima di fare figli con la persona sbagliata».
Tranne poche eccezioni, sembrano tutte storie catastrofiche che condannano in modo ineluttabile figli, ex e nuovi compagni a sacrifici, prevaricazioni e sguardi in cagnesco. Non è affatto così, come si scopre cercando le storie nel mondo reale e in porzioni di mondo dove le famiglie allargate esistono da più tempo e sono passate dall’essere stranezze, tabù, stereotipi, a qualcosa di normale, in cui sopravvivere ridendoci su come in tutte le cose della vita.
Frequentare un padre separato non è un dramma, anzi, ha parecchi vantaggi e può essere la relazione ideale in alcune fasi della vita e per alcune persone. Dana Hamilton ha raccontato su The Cut di voler uscire solo con padri separati da poco perché sono«di gran lunga più risolti degli uomini senza figli e mai sposati. […] Forse un ragazzo che ha un po’ più di responsabilità nella vita sarà meno, bè, cretino anche nell’uscire con qualcuno. […] I PS (padri separati) nel periodo che va dai sei mesi ai tre anni dopo la separazione sono l’ideale per le persone indipendenti come me. Impegnati a cucinare pranzetti per i figli, preparare regalini per gli amichetti ai compleanni e a piegare montagne di mutandine con sopra Sesame Street, i PS non staranno lì a messaggiarti tutto il tempo. Le incombenze della loro vita ti permettono di respirare perché non hanno tempo per altro. Una volta ero il tipo che si annullava quando stava in coppia. Ora sono più furba e saggia, ho giurato a me stessa che non sarebbe accaduto di nuovo: se c’è una distanza a priori nella relazione, è meno difficile».
Un’altra virtù delle storie coi PS è che «è più facile capire cosa sei per loro. Danno peso al loro tempo libero perché ne hanno poco. Non lo sprecano (anche perché devono pagare una babysitter per uscire con te). Si sono fatti in quattro per essere lì con te ed è lì con te che vogliono essere, cosa già di per sé lusinghiera. Se hai superato il primo appuntamento e ci sei uscita insieme di nuovo, puoi star certa che gli piaci davvero». Per finire: «sono più gentili, più empatici, più pazienti, tutte caratteristiche che hanno imparato o sviluppato avendo dei figli».
Se nel tempo le cose andranno bene ci sono mille modi per farle funzionare e per integrarsi con un po’ di pazienza e molta fiducia. Un’altra storia raccontata da The Cut è il manuale perfetto per costruire un lieto fine. Emily è una ventenne che inizia a uscire con un padre separato che ha otto anni più di lei e un bambino di sei; condivide la gestione con la madre, con cui si è lasciato due anni prima, al 50 per cento del tempo. Emily incontra il bambino per la prima volta davanti a un gelato, presentata come un’amica; all’inizio si vedono per qualche sparuto pranzo, poi sempre più spesso e più a lungo e finiscono a passare i weekend tutti insieme. Emily presenta il bambino alla sua famiglia e conosce la sua mamma, con cui i rapporti sono buoni, al di là delle inevitabili tensioni di ogni famiglia allargata e accomunata dallo stesso interesse: far stare bene il bambino e renderlo felice. Sono passati cinque anni, Emily e il suo compagno sono sposati e stanno pensando se avere un figlio insieme.
Oltre a tutto questo, i padri separati hanno un’ultima arma vincente: i loro figli. I fattori in ballo sono tantissimi – l’influenza della madre, la bravura del padre nel gestire la situazione, l’età del bambino, il suo carattere – ma avere a che fare con figli non tuoi fino a crescerli non è solo un sacrificio o una scocciatura, è un privilegio il cui esito dipende da te. Devi faticare dieci volte per avere un decimo di quello che ai genitori è dato per scontato, ma puoi farlo con la leggerezza che un genitore non avrà mai. «Sono una figura autorevole – racconta sempre Emily – Ma ci troviamo bene, usciamo insieme, guardiamo i film. Lo incoraggio in questo e quest’altro. Penso che se ne avessi uno mio sarebbe diverso». Hai l’illusione di farti un’idea di come sarà il tuo compagno da padre e di metterti alla prova su come sarai tu da madre, ma non è così. Devi essere educativo ma sei soprattutto un compagno di giochi, sei un punto di riferimento che può permettersi di essere comprensivo, quando il padre e la madre devono insegnare e proteggere, proibire e lasciarsi sfidare. A volte mi sembra che permetta – alleggeriti dal fardello di preoccupazione, responsabilità e amore dei genitori – di comportarti come il genitore che vorresti essere e che per tuo figlio non sarai mai.