Una foto che dice molto sul fotogiornalismo di oggi
La foto che ha vinto il World Press Photo è difficile da dimenticare: i colori intensi, il dinamismo, la composizione magistrale, la raffinatezza della scritta paz sparata dalla pistola dipinta sul muro.
Racconta una delle crisi più grosse del 2017, quella del Venezuela, e poteva farla solo qualcuno con tutte le doti richieste a un fotografo di news: l’intuizione del colpo d’occhio e la precisione nel gesto che si prende l’attimo giusto. Ti fa cercare subito cos’è successo a quel ragazzo dalla corsa in fiamme, mentre il rosso e il nero del fuoco e dei mattoni si fissano nella testa tra i ricordi; e insieme trasforma anche quel ragazzo, anonimo per la maschera a gas che indossa, nell’«intero Venezuela in fiamme». Quella maschera lo fa assomigliare anche a un supereroe sovversivo dal mantello di fuoco, come il terrorista ritratto nella fotografia vincitrice dello scorso WPP ricordava Superman.
È una combinazione perfetta di tutto quel che è richiesto a una fotografia di news: è l’immagine simbolo di una storia enorme, è visivamente intensa ed è lo scatto miracoloso in mezzo al casino degli eventi. Meriti la vittoria, sembra una scelta quasi inevitabile.
C’è un’altra foto finalista che pur avendo un impatto visivo inferiore alla vincitrice e soddisfacendo forse meno requisiti merita comunque, a mio avviso, di essere ricordata, per come fa riflettere sul fotogiornalismo di oggi. L’ha scattata Toby Melville dell’agenzia Reuters il giorno dell’attentato sul ponte di Westminster a Londra, il 22 marzo del 2017.
I corpi sovrapposti e incrociati di due donne calpestano l’immagine infranta di Londra serena nelle cartoline; le mani di ognuna sul corpo dell’altra, le teste vicine nell’angolo con la borsa nera e la base gialla, che accompagna la vista sulla striscia di sangue, ordinata come la croce rossa della bandierina inglese lì accanto. Ma soprattutto la schiena scura e non conoscibile di chi soccorre concentrata su chi ha bisogno, e gli occhi di chi è soccorsa non su di lei ma sul fotografo, su di noi. In quello sguardo non so cosa trovarci: fastidio, indifferenza, urgenza di essere mostrata, amarezza per quello che sta succedendo al nostro mondo. È un’immagine al centro del dilemma nato insieme alla prima foto di news: quanto sia lecito, quanto sia giusto testimoniare il dolore degli altri, quello sguardo fa martellare questa domanda ma mi sembra dare anche qualche risposta. È uno sguardo sul nostro nuovo mondo dove a terra a soffrire siamo noi, non più bambini, donne e uomini dai tratti lontani: mi fa soffrire di più, mi fa vergognare per questo, mi fa paura che succeda di nuovo, mi resta ancora nella testa.