«Chiama le cose col loro nome e ‘fanculo il resto»

Sono seduta davanti al Mac con le cuffie, una bozza aperta completamente bianca, la ricopro di poche parole, le cancello sbuffando, mi sposto su Facebook, su Instagram, su Google, ritorno sulla bozza, sbuffo di nuovo, cambio canzone, cambio sedia, mi faccio un caffè. C’è un libro sulla scrivania, vicino al Mac, ha una copertina bella e bianca con dei quadrati pastello, lo prendo in mano, lo sfoglio e dentro di me apro un ventaglio di ammirazione, invidia, scocciato scoramento, non saprò mai iniziare un pezzo così bene. È uscito da poco, due anni fa ma è lì sempre a portata di mano, per mettermi di cattivo umore quando voglio ricordarmi come si fa bene il mio lavoro: è una raccolta di scritti di Lillian Ross, si intitola Reporting always, già dice tutto. Ross è morta qualche giorno fa, il 20 settembre; aveva 99 anni, più di 70 passati al New Yorker. 

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In Italia Lillian Ross non è così famosa ma è una giornalista leggendaria, per usare una parola cara al mio giornale, una di quelli che hanno inventato il New Journalism, il giornalismo narrativo e letterario che qui associamo più familiarmente a Tom Wolfe, Gay Talese e Joan Didion. Quando il direttore e fondatore del New Yorker, Harold Ross, la assunse aveva 26 anni, era il 1945 e con lei arrivarono altre due giornaliste. A Ross non importava niente che fossero donne, tranne che le pagava un po’ meno degli uomini: aveva semplicemente bisogno di qualcuno che gli scrivesse il giornale visto che mezza redazione si trovava sul fronte in Giappone e in Europa. Ross e le altre venivano mandate a seguire gli eventi, poi dovevano raccontarli in articoli che venivano riscritti o sistemati dai giornalisti maschi – «in un pezzo che avevo scritto su Coco Chanel la mia finta mascolinità arrivò al punto di accendere una sigaretta alla signorina Chanel», raccontò Ross. Le riscritture vennero abbandonate quando nel 1952 l’allora numero due del giornale William Shawn ne divenne direttore. Shawn e Ross lavorarono per anni fianco a fianco; lui morì nel 1992, quattro anni dopo lei pubblicò una biografia in cui raccontava che avevano avuto una relazione per quasi quarant’anni, e che la moglie di lui sapeva. Ross non si sposò mai ma adottò un bambino.

Lillian Ross Lillian Ross a Central Park, nel 1997, a quasi 79 anni (AP Photo/Joe Tabacca)

Per qualità e quantità di pezzi – più di 500 – Ross è tra le persone che hanno definito il New Journalism e plasmato il New Yorker, che senza di lei non sarebbe quello che è. Per tutta la carriera ha curato la sezione Goings on About Town, cioè la selezione degli eventi culturali e di intrattenimento di New York, e The Talk of the Town, pezzi leggeri divertenti, scenette della città, racconti di quello che era sulla bocca di tutti: se succedeva qualcosa di stuzzicante a New York lei era lì a raccontarla. E poi ci sono i memorabili lunghi reportage dove scrisse di tutto, saltando spericolatamente, con arguzia e incisiva precisione da una storia all’altra: un torero di Brooklyn in Messico per una corrida, la visita di Charles de Gaulle a New York, la storia di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, un concorso di bellezza nello stato di New York, Al Pacino che parla di Shakespeare e uno spettacolo improvvisato di Robin Williams.

Tutto iniziò con due articoli che hanno fatto la storia del giornalismo, ammirati, copiati, letti e riletti. Picture uscì in cinque puntate sul New Yorker  nel 1952 e raccontava il tentativo del regista John Huston di fare un film a partire dal libro The Red Badge of Courage di Stephen Crane: secondo Norman Mailer è il pezzo che ha inventato il romanzo di non fiction e ha aperto la strada a In Cold Blood (A sangue freddo) di Truman Capote. L’altro, uscito nel 1950, è uno spassosissimo ritratto di Ernest Hemingway, di cui Ross era amica: si limitò a raccontare un suo breve soggiorno a New York dove lui si lamentava dell’hotel, mangiava caviale e beveva champagne, incontrava la sua vecchia amica “The Kraut”, cioè Marlene Dietrich, faceva shopping da Abercrombie e gironzolava al Metropolitan Museum. Molti si indignarono pensando che Ross avesse ridicolizzato un venerabile maestro, lei e Hemingway si stupirono, lui era semplicemente così: «Chiama i fatti coi loro nomi e ‘fanculo tutto il resto», le scrisse lui.

Lillian Ross
Lillian Ross e Anjelica Huston a un festival cinematografico di Las Vegas nel 2008 (Kevin Winter/Getty Images for CineVegas)

Oltre che un amico, Hemingway era anche un modello di scrittura, così come J.D. Salinger. Se la parola giornalismo letterario vi fa pensare a premesse infinite, “io” sbrodolati sulle pagine, metafore attorcigliate, non c’è niente di più lontano dallo stile di Ross, che era asciutto, ficcante, spiritoso e cinematografico. «Ha una fiducia inscalfibile nelle magiche proprietà dei fatti. Ha in antipatia l’analisi, gli svolazzi e l’esibizionismo», scrive di Ross il direttore del New Yorker David Remnick. I suoi articoli sono costruiti come cortometraggi, con scene assemblate tra loro e disegnate solo su dialogo, descrizione e azione, senza interferenze nella mente dei personaggi: «solo una persona, il soggetto, sa cosa pensa e sente», diceva. I lettori, raccontava con orgoglio, le dicevano spesso che leggere i suoi pezzi li faceva sentire «come fossero lì». L’ho già tirata per le lunghe quando volevo semplicemente farvi passare un pomeriggio seduti con Hemingway a mangiare caviale, a bere un caffè nell’atmosfera beat del Village o sul set dei Tenenbaum. Potete farlo iniziando con questa selezione di Remnick, ma nell’archivio del New Yorker trovate molti altri articoli, molti altri viaggi.

NO. 1512 – 1, 1952: La prima parte di Picture
How do you like it now, Gentleman?, 1950: il profilo su Ernest Hemingway,
The shit-kickers of Madison Avenue, 1995: un pomeriggio con un gruppo di 15enni newyorkesi negli anni Novanta
Come In, Lassie!, 1948: Hollywood alle prese col Maccartismo
Symbol of all we posses, 1949, il racconto di Miss Arizona
Workouts, 1987: uno spettacolo dal vivo di Robin Williams

«Do what you and only you can do», Fai quello che soltanto tu sai fare, diceva Bill Shawn ai suoi giornalisti. Lillian Ross riuscì a fare anche questo.

  • Per chi volesse leggere Ross in italiano, minimum fax ha pubblicato l’articolo su Hemingway, Ritratto su Hemingway, e Picture. Processo a Hollywood.
Arianna Cavallo

Libri, moda, fotografia, ma soprattutto Cit. Editor al Post. Twitter: @ariannacavallo