I pesticidi fanno meno male di quanto pensiamo

Il sempre maggiore uso di pesticidi, uso massiccio di pesticidi, e li chiamano agrofarmaci ma sono in realtà pesticidi, ecc. ecc., non c’è puntata sull’agricoltura che non focalizzi attenzione sui pesticidi. Ma nel bio si usano pesticidi? Sì, certo. E allora, qual è la differenza? Fanno bene alla pianta e male a noi? Bene a noi (perché mangiamo) e male all’ambiente? Realisticamente si potrebbero abolire? Di che parliamo quando parliamo di pesticidi? Ho fatto due chiacchiere con Donatello Sandroni. Cioè, non due chiacchiere, di più, è un’intervista lunga: ma è un argomento delicato e complesso, sono importanti i distinguo. Ringrazio Donatello e i gentili lettori per la pazienza.

Ciao, presentati…
Genovese classe 1964, mi sono laureato in Scienze Agrarie presso l’Università degli Studi di Milano con una tesi sperimentale sul fenomeno dell’eutrofizzazione delle acque.

Ok, su questo fenomeno poi ci torniamo…
Dopo la laurea ho svolto per cinque anni attività di ricerca presso il gruppo di ecotossicologia della medesima università, conseguendo anche un dottorato in “Chimica, biochimica ed ecologia degli antiparassitari”. In seguito ho coperto differenti mansioni per alcune società del settore agrochimico divenendo infine libero professionista nel 2010.

E mo’?
Oggi opero esclusivamente come giornalista e divulgatore scientifico, occupandomi soprattutto dei rapporti fra agricoltura, salute e ambiente. Su questi temi, oltre a numerosi articoli pubblicati, ho anche mandato in stampa due libri, entrambi ormai esauriti: “Ki ti paga?”, del 2014, disamina dei più comuni preconcetti che gravano sull’agricoltura, seguito poi nel 2018 da “Orco Glifosato – storia di lobby, denaro, cancri e avvocati”, incentrato sul caso dell’erbicida glifosate a seguito del suo discutibile inserimento fra i “probabili cancerogeni” da parte dell’Agenzia per la ricerca sul cancro.

Allora a proposito di pesticidi in senso lato, andiamo subito al punto? Negli anni, l’uso di questi benedetti agrofarmaci è aumentato o diminuito? Che dicono i dati?
Hai presente i rilanci ossessivi sugli “usi sempre più massicci di pesticidi”, oppure sugli “abusi di pesticidi”?

Certo, se ne parla un giorno sì e un giorno no
Ecco, dimenticali.

Perché?
Perché sono più falsi di una moneta da tre euro. In realtà, con buona pace degli allarmisti che stanno terrorizzando da anni la popolazione, l’uso dei cosiddetti “pesticidi” qui in Italia è in forte contrazione dal 1990.

Mi spieghi com’è possibile?
Grazie allo sviluppo di nuove tecniche e tecnologie, disciplinari di produzione, investimenti in ricerca, soprattutto privati, e una revisione fin troppo severa di ciò che usavamo negli anni del boom agrochimico, ovvero i ’70 e gli ’80.

Lo sai che quando negli anni ’80 cominciai a lavorare in campagna di agrofarmaci se ne buttavano a iosa?
Certo, ma oggi con venti grammi di una solfonilurea si può diserbare un campo che prima necessitava di alcuni litri dei precedenti prodotti. Stessa cosa per insetticidi e fungicidi. E per giunta le nuove molecole sono migliori dal punto di vista tossicologico e ambientale.

Ma scusami, a minor quantità corrisponde anche migliore efficacia?
Non sempre… la difesa delle colture sta infatti divenendo sempre più fallata e complessa. Indipendentemente però dai crescenti problemi che patiscono agronomi e agricoltori, ai cittadini dovrebbe fare piacere apprendere come negli ultimi trent’anni l’uso degli agrofarmaci sia calato.

Un po’ di dati, dai…
Le tonnellate dei formulati commerciali sono calate del 38,5% e del 43,7% quelle delle sostanze attive impiegate, cioè quelle che di fatto combattono patogeni, malerbe e parassiti. I soli insetticidi sono calati del 57%, un’enormità, ma nonostante ciò continuano a vedersi accusare di ogni tipo di nefandezza, vuoi sull’ambiente, vuoi sulle persone.

Tu dici che stride un po’?
A fronte di questi numeri anche a un profano dovrebbe suonare un po’ strano che le accuse ai “pesticidi” siano cresciute proprio mentre i loro stessi usi si mostravano in calo: siamo infatti scesi dalle circa 100mila tonnellate di sostanze fitosanitarie utilizzate nel 1990 a poco più di 55mila.

Fammi esempio…
Tradotto in usi pro-capite, per dare da mangiare a un italiano per un anno intero, tutti gli agricoltori del Belpaese messi insieme, da Vipiteno a Ragusa, utilizzano poco più di 900 grammi di sostanze attive, senza le quali, peraltro, è impossibile proteggere le colture agrarie dalle avversità.

Aspe’, ma 900 grammi sono quelli ingeriti?
Ingeriti no di certo: sono quelli spruzzati nei campi, che è ben diverso.

Ah, ok
Quelli ingeriti pro-capite si possono stimare oggi, mediamente, in alcune decine di milligrammi l’anno, pari a circa un centinaio di microgrammi al giorno. A titolo di paragone, come ricorda Bruce Ames, uno dei padri della tossicologia moderna, nel caffè è stato individuato circa un migliaio di sostanze chimiche differenti. Di queste, al 1994, solo 22 erano state testate su cavie per la cancerogenesi: ben 17 sono poi risultate cancerogene. In una sola tazza di caffè, ricorda sempre Ames, ci sono almeno dieci milligrammi di molecole cancerogene naturali. In una sola (si ripete: una sola) tazzina di caffè.

Sì, mi ricordo di questa spiegazione di Ames.. mi ha rovinato un po’ il caffè.
Diciamo che sono un’enormità se comparati all’assunzione annua di tutti i possibili residui di “pesticidi” sui cibi, anche perché i livelli di sicurezza sono oggi altissimi e quello che resta sui frutti alla raccolta è spesso decine o centinaia di volte al di sotto dei limiti di Legge, già di per sé cautelativi. Poi l’ortofrutta la laviamo, l’asciughiamo, la sbucciamo, la cuociamo… e così resta davvero un niente di quanto usato in campagna dagli agricoltori, ovvero i 900 grammi a testa di cui stiamo parlando.

Va bene, ma 900 grammi a testa in un anno, sono tanti o pochi?
Per comprendere poi se i 900 grammi usati nei campi sono tanti o sono pochi, basti pensare ai litri di prodotti per l’igiene domestica o per la cura della persona che vengono riversati dai cittadini nelle acque, oppure ai reflui industriali contenenti metalli pesanti e idrocarburi, agli scarichi inquinanti delle nostre automobili e dei nostri riscaldamenti, nonché ai farmaci che usciti dal nostro corpo finiscono proprio in quelle acque di cui poi si parla spesso a sproposito sempre e solo in tema di pesticidi. Altro tema che meriterebbe un approfondimento a sé, visto che nei gamberi di fiume inglesi nove molecole su dieci rinvenute all’analisi era di origine farmacologica o comunque non agricola. Ma a parte questo, non è solo la quantità ad essere scesa drasticamente, bensì – come accennato – è anche la qualità di questi prodotti ad essere molto migliorata.

Questo è interessante, come si è lavorato su queste nuove molecole?
Vi sono oggi agrofarmaci meno tossici di gran parte dei prodotti usati in casa per lavare e igienizzare, come pure meno tossici di quello che mettiamo nell’insalata o ci versiamo nei bicchieri per accompagnare in letizia i nostri pasti. Questo perché rispetto al 1990, nel volgere di pochi anni, il 67% delle molecole impiegate è uscito dal mercato, in quanto obsoleto e non più in linea con i nuovi criteri autorizzativi, molto più stringenti rispetto ai precedenti.

Ok…
Solo il 26% di ciò che usavamo in passato ha infatti meritato di sopravvivere al vaglio normativo, con in più un’ulteriore lista di 77 molecole in attesa di sostituzione. Mi spiego meglio…

Vai…
Mentre le quasi 300 molecole su oltre mille che hanno superato la Revisione europea possono continuare a esistere anche se ne arrivano di simili, quelle in lista di sostituzione no. Qualora dovessero arrivare molecole ad azione simile, ma migliori dal punto di vista tossicologico e ambientale, queste verrebbero revocate e non si potrebbero usare più. E fra queste 77 molecole nel “braccio della morte”, per così dire, c’è anche il rame, cioè il pilastro portante dell’agricoltura biologica, la quale senza questo metallo non riuscirebbe più a contenere le patologie contro le quali ne fa oggi ampio uso.

Aspe’, che questo è una parte importante, l’energia vitale del rame, mi disse un agronomo tempo addietro.
Stranamente, il rame viene considerato pulito e innocuo, quando è invece fra i “pesticidi” meno amichevoli che vi siano fra quelli disponibili, vuoi per l’ambiente, vuoi per l’uomo.

È un metallo pesante, no?
Trattasi proprio di metallo pesante, praticamente eterno nell’ambiente, di fatto indegradabile. Per giunta è molto tossico per gli organismi acquatici. Verso l’uomo, beh, se si leggono i report Istisan, dell’Istituto superiore di Sanità, l’unico agricoltore morto per intossicazione accidentale durante un trattamento è stato a causa del solfato di rame.

Parliamone un po’, dai…
Il rame di per sé è un microelemento utile all’organismo, vegetale o animale, se assunto a piccolissime dosi. Questo fa sì che venga percepito erroneamente come innocuo anche quando usato a chili. A conferma, se provaste ad assumere un’overdose di vitamina A i vostri eredi capirebbero il concetto. Tale condizione di microelemento ha però reso possibile vendere sali di rame persino come fertilizzanti anche se, di fatto, con tutto il rame che usiamo come antiperonosporico non ve ne sarebbe affatto bisogno nella quasi totalità dei casi.

Cioè?
Cioè, hai voglia di mettere il limite normativo di 4 kg/anno di rame all’ettaro, come agrofarmaco, se poi un viticoltore può andarsi a comprare zitto zitto un concime rameico, non tracciabile commercialmente quanto gli agrofarmaci, usandolo al suo posto e aggirando in tal modo le regole… E mentre un agricoltore non-bio può usare altri fungicidi diversi dal rame – quindi tale limite annuo lo patisce poco – un agricoltore bio non ha questa libertà e può quindi avere seri problemi a starci dentro nella maggior parte degli anni. Ognuno tiri quindi le proprie conclusioni sulle possibili differenze che potrebbero esserci in certi “registri dei trattamenti”, oggi e in futuro, fra quanto dichiarato e quanto applicato davvero.

In effetti, il rame è il principe dell’agricoltura bio…però è usato anche nel convenzionale
Infatti: per tutta l’agricoltura è un prodotto indispensabile e il suo profilo eco-tossicologico non significa ovviamente che debba essere guardato come un mostro a sette teste, visto che se usato correttamente (ripeto: usato correttamente!) crea ben pochi problemi. Come pure farebbe bene ricordare che dal rame derivano produzioni agricole indispensabili al nostro stesso mantenimento agroalimentare. Fa però specie che altre molecole, molto meno critiche del rame, vengano oggi perseguitate da media, politica e associazionismo eco-bio come fossero perfidi satanassi, quando di fatto hanno profili ambientali e tossicologici ben più leggeri. Miracoli della disinformazione.

Senti ma torniamo ai 900 grammi all’anno a testa. Perché, sai, questo numero me ne ricorda un altro: 200mila morti all’anno nel mondo a causa dei pesticidi. Sai, poi i distinguo, le puntualizzazioni, nell’informazione generalista non funzionano
Guarda, questa cifra circola da anni e viene rilanciata ogni tanto anche da testate giornalistiche in sempiterna ricerca di clamore, tipo Le Monde, quotidiano francese da sempre caldo nell’attaccare i prodotti fitosanitari.

Facciamo riassunto, dai
Il 20 febbraio 2020 ha pubblicato un pezzo dal titolo “Les chiffres noirs des ventes de pesticides ‘extrêmement dangereux”. Tradotto, le cifre nere della vendita di pesticidi estremamente pericolosi. In effetti, se uno pensa ai numeri che circolano si spaventa davvero: 25 milioni di intossicazioni e 200mila morti l’anno a livello globale. Peccato che il diavolo si nasconda nei dettagli.

Allora, andiamo con i dettagli
Le intossicazioni sono causate per la quasi totalità da usi scriteriati fatti dagli agricoltori stessi, i quali operano sovente in barba persino a quanto prevedono le Leggi sulla sicurezza. Ho visto fotografie di agricoltori indiani che trattavano il cotone con delle pompe a spalla stando uno di qua e uno di là della fila: uno di fronte all’altro. In pratica si spruzzavano in faccia i prodotti. Se mentre guidi ti fai selfie con lo smartphone anziché guardare dove vai, poi non è mica colpa del telefonino se ti schianti contro un muro.

C’è un protocollo di sicurezza, no?
Così come un operaio edile deve proteggersi tramite un vestiario concepito per la sua sicurezza, stessa cosa vale per gli agricoltori quando utilizzano prodotti fitosanitari: quando li usi devi adottare il vestiario adeguato e seguire le buone pratiche di campo, cosa peraltro facile e semplice tutto sommato. E così, come un carrozziere indossa tuta, maschere, guanti e occhiali mentre vernicia un’automobile, altrettanto deve fare un agricoltore che tratta le proprie colture contro le malattie e i parassiti. Se invece gioca a fare il macho che lui coi pesticidi ci si fa i gargarismi, poi non è che la colpa se la debbano prendere i pesticidi eh?

Va bene, ma restano i 200mila morti…
Circa i 200mila morti, la storia ha del surreale. Tutto nasce da uno studio statistico effettuato nel 1979, indagando su mille decessi avvenuti nello Sri Lanka a seguito dell’uso di antiparassitari. Quindi, il numero rilanciato per l’ennesima volta da Le Monde è figlio di un’estrapolazione a livello mondiale di un dato stravecchio relativo al solo Sri Lanka.

Campione statistico non rappresentativo?
Assolutamente! Sarebbe come guardare i consumi di cannoli siciliani a Palermo e poi esportare il dato a livello europeo… Praticamente, verrebbe fuori che i cannoli siciliani sono i dolci più venduti nel Vecchio Continente. Peraltro, la maggioranza di quei morti era di origine volontaria, soprattutto suicidi. Solo una minoranza di quei mille casi era dovuta a intossicazioni accidentali e involontarie. Lo scopo dell’indagine del 1979 era perciò solo quella di sensibilizzare gli agricoltori locali sull’uso corretto degli agrofarmaci. All’epoca, peraltro, i prodotti utilizzati avevano quasi tutti un’elevata tossicità.

A proposito, visto che si sei, quali sostanze erano allora usate?
Si parla di insetticidi carbammati, esteri fosforici e clorurati ormai banditi da decenni in Europa, usati per giunta in modo eccessivo e irrazionale. Come visto sopra, il Mondo sta cambiando e accusare gli agrofarmaci di oggi usando i dati di 40 anni fa è come puntare il dito contro i treni ad alta velocità mostrando i dati sui fumi inquinanti emessi dalle locomotive a carbone del 1800.

Ok, ma perché decontestualizzare questi dati?
Per terrorizzare e muovere all’indignazione un cittadino europeo con informazioni che oltre a essere attempate e fuorvianti sono pure relative ad aree del pianeta molto diverse dall’Europa quanto a normative e attenzione per la salute e per l’ambiente. Qui di agricoltori ne muoiono quasi zero a causa dei “pesticidi”. E si badi: per quanto ogni morte sia di per sé una tragedia, lo zero è impossibile da raggiungere indipendentemente dalla professione.

Tu dici per causa infortuni sul lavoro?
Sì, per esempio ne muoiono purtroppo molti di più straziati dagli organi in movimento delle macchine agricole, oppure schiacciati dai trattori o ancora vittime di incidenti in azienda, per cadute, soffocamenti in cisterna o urti accidentali. Nessuno aizza però la popolazione contro trattori od organi in movimento. Te lo immagini un comitato “No giunti cardanici”? Farebbe ridere anche le telline. Pensa che in America, grande com’è, fra il 2006 e il 2010 sono solo cinque gli agricoltori deceduti per intossicazioni accidentali. Provate a fare una ricerca su Google per “elettricisti incidenti mortali” e comprenderete come nessun lavoro sia avulso da rischi.

Però anche qui, save yourself…
La sicurezza è un obiettivo cui tendere col massimo sforzo, ma demonizzare uno strumento, come per esempio gli agrofarmaci, è alquanto scorretto: dovremmo allora abolire le scale perché c’è pieno di gente che si rompe l’osso del collo mentre cambia banalmente una lampadina? La prudenza è d’obbligo, ma se questa diventa ossessione paranoica è un danno per tutti, perché quegli strumenti, gli agrofarmaci, non li usiamo per capriccio: ci servono a sfamare miliardi di persone…

Ok, ti ricordi L’ex Ministro Martina? Aveva lanciato comunque la campagna pesticidi zero, secondo te, applicandosi, visto le nuove tecniche (agricoltura di precisione, biotecnologie ecc.) sarà mai possibile? Se la risposta è no (diciamo che mi butto a indovinare) fin dove possiamo spingere la ricerca per trovare molecole nocive per insetti e patogeni e innocue per l’uomo?
Eccome se me lo ricordo. Quando a ridosso delle elezioni i sondaggi buttano male e non si sa più come attrarre voti, si può anche fare promesse insostenibili, come appunto quella dell’ex-Ministro Martina. Un perito agrario che sa perfettamente che senza “pesticidi” l’agricoltura va a ramengo. A proposito di Martina e “pesticidi”: ti ricordi del febbraio 2018?

No, ho difficoltà con la memoria a lungo termine…
Nel febbraio 2018 firmò un decreto che rendeva obbligatoria la lotta all’insetto vettore della Xylella degli ulivi, il batterio che in Puglia sta facendo seccare milioni di piante: è incurabile (gli antibiotici in agricoltura sono proibiti) e l’unico modo per arginarla è quindi uccidere la cosiddetta “Sputacchina”, cioè l’insetto che la porta da un albero all’altro così come le zanzare anofele veicolano la malaria.

Quando ci vuole ci vuole…
Esatto. Quindi Martina sa perfettamente come stanno le cose e in quel caso agì razionalmente di conseguenza, anche se con il suo decreto sollevò una questione non da poco nel mondo bio, storicamente povero d’insetticidi. Al momento risulterebbe infatti in commercio un unico prodotto ammesso nel biologico e utilizzabile contro la Sputacchina. Un prodotto a base di olio essenziale di arancio dolce. Vista la drammatica situazione pugliese, con un altro decreto quell’unico prodotto è stato autorizzato in via eccezionale per “emergenza fitosanitaria” dal 7 aprile al 4 agosto 2020.

Ora ricordo…poi ci lavoro al Mipaf…
Cioè l’autorizzazione temporanea è appena scaduta e per averne un’altra si dovrà rifare tutta la trafila normativa l’anno prossimo. A meno che nel frattempo la società che lo vende non ottenga la registrazione definitiva. Superando però le promesse acchiappavoti di Martina nonché i guai del bio, che quando il gioco in campagna si fa duro pare aver ben pochi santi cui votarsi, insomma, chiariamo subito un punto…

Vai…
Quando si parla di “pesticidi” spesso ci si riferisce solo a quelli di sintesi. Cioè quelli inventati dall’uomo nei laboratori. Le forme di agricoltura biologica, per esempio, hanno preferito scegliere molecole di origine naturale. Magari non sempre, visto che i feromoni utilizzati nella confusione sessuale degli insetti sono di fatto analoghi di sintesi delle molecole naturali.

Aspe’, spiega
Cioè li produciamo noi nelle fabbriche, mica mungiamo a mano le farfalline femmine per estrarre i feromoni che fanno impazzire i maschi… Inoltre tale scelta bio non implica affatto che le sostanze “naturali” siano meno pericolose di quelle di sintesi.

In effetti…di questi tempi ci sono delle belle ombrellifere nei campi, come la cicuta, che tra l’altro per anni è stata usata come antispastico e analgesico. Ora non sono in uso, comunque si sconsiglia fortemente la tisana naturale alla cicuta
Infatti, a meno di chiamarsi Socrate e di voler uscire di scena in modo plateale per sottrarsi a un ingiusto arresto. Ogni molecola ha infatti un suo specifico profilo tossicologico e ambientale, come visto per il rame. Le piretrine naturali, per esempio, sono letali per gli organismi acquatici, per le api e per gli anfibi. Spinosad, estratto da dei batteri del suolo, ha anch’esso un’etichetta tutt’altro che amichevole su diversi organismi. E il medesimo discorso vale per tutti gli agrofarmaci usati nel bio.

Si dovrebbero allegare le etichette, no, quando si parla di prodotti naturali…
Un giorno ti manderò l’elenco delle frasi H (Hazard) riportate sulle etichette dei prodotti autorizzati in biologico: ti divertirai…

Perché?
Ciò che fa più arrabbiare, non a caso, è che quelle frasi di pericolo sono usate dagli allarmisti di professione per terrorizzare la popolazione nel corso delle infinite conferenze farlocche anti-pesticidi che organizzano su tutto il territorio nazionale. Le etichette dei prodotti bio, però, mica le fanno vedere… Ed è giusto così, solo non dovrebbero fare vedere nemmeno le altre, perché quelle frasi sono relative al prodotto tal quale: se te lo bevi, lo usi come shampoo o lo versi nell’acquario dei pesci, potrebbero succedere le cose riportate in quell’etichetta. Se lo usi in un frutteto, diluito in acqua uno a mille, seguendo le indicazioni di etichetta, anche no.

Va bene, corretto uso e problema risolto…
Nei campi si abbandona infatti il concetto di “pericolo intrinseco”, relativo al prodotto tal quale, e si deve adottare quello di “rischio reale”. Quelle frasi H per la popolazione non hanno cioè alcun significato di per sé, ma la gente non lo sa e quando un ciarlatano gli sventola sotto il naso un’etichetta piena di frasi H corre a firmare qualsiasi petizione demenziale le venga proposta. Il discorso, però, se si è davvero onesti dovrebbe essere uguale per tutti: naturale o di sintesi tu sia, è sempre la dose che fa il veleno. Quindi, se l’esposizione a una molecola è irrisoria, nessun effetto si può verificare. Per tali ragioni i distinguo fra “sintesi” e “naturale” sono del tutto privi di senso. Le molecole più tossiche al mondo sono infatti di origine naturale e sono molto ma molto più letali di tante sostanze inventate dall’uomo, anche di quelle peggiori.

Va bene, ma torniamo ai pesticidi, alternative concrete per eliminarli del tutto?
Alternative ai pesticidi? Certo che ce ne sono, ma dubito che possano eliminare del tutto la chimica fitosanitaria. Con la genetica, per esempio, fronte in cui credo molto, si possono sviluppare resistenze a patogeni e parassiti. Ma anche queste resistenze prima o poi vanno naturalmente a cadere: ci sarà sempre un insetto o un fungo patogeno che muterà divenendo insensibile ai meccanismi di resistenza messi a punto dai genetisti. È solo questione di tempo. Quindi la lotta deve in tal caso ricominciare da capo, in un eterno inseguimento fra ricerca che difende e natura che contrattacca.

Mi fai un esempio pratico?
Se in un vigneto i patogeni trovano il modo di aggirare le resistenze messe a punto dai ricercatori, per esempio, bisogna tornare a trattare con gli agrofarmaci fino all’arrivo delle nuove genetiche, le quali possono impiegare molti anni per essere sviluppate. Stessa cosa per qualsiasi altra coltura. Inoltre, vi sono parassiti e patogeni al momento secondari che vengono controllati dai trattamenti effettuati contro quelli primari.

Già, la complessità del campo…
Se una pianta di vite diviene resistente alla peronospora e allo oidio e si smette di trattare con gli agrofarmaci specifici, salteranno fuori escoriosi e blak rot (il marciume nero), due patologie controllate proprio dai medesimi fungicidi fin lì utilizzati. E non si può pensare a una pianta resistente a tutto. Stessa cosa per gli insetti.

E senti, per le malerbe, sappiamo che competono per le risorse, insomma un campo di grano pieno di papaveri è suggestivo, però poi o mangiamo le cariossidi o ci fumiamo i semi di papavero
Le malerbe vanno proprio eliminate fisicamente, vuoi con i diserbanti, vuoi con trattamenti alternativi. Nei casi più gravi possono addirittura rendere impossibile o comunque inutile la trebbiatura dei pochi raccolti rimasti.

Porca miseria sì, ne so qualcosa…
Al momento si stanno sviluppando barre da diserbo intelligenti, atte a riconoscere le piantine delle infestanti e a spruzzare quelle e solo quelle. Si arriva a risparmi di prodotto fino al 90%. In alternativa ai diserbanti, però, sono allo stadio prototipale alcuni modelli di macchinari che stecchiscono le erbe infestanti con una scossa elettrica. Analogamente a quanto fanno le barre di cui sopra, riconoscono le malerbe grazie a un software e a una banca dati immagini in continuo aggiornamento e zac… le ammazzano senza toccare la coltura.

E funzionano?
Vedremo in futuro gli sviluppi su vasta scala. Personalmente non credo invece ai diserbi meccanici come soluzione alternativa eco-sostenibile: richiedono fiumi di gasolio e quindi producono alte emissioni di gas serra. Un chilo di gasolio ne produce tre di anidride carbonica e per diserbare un vigneto con le macchine invece che con un erbicida ci può volere anche il triplo del carburante. E non mi pare sia un buon affare immettere chili di gas serra in atmosfera pur di non trovare qualche nanogrammo di pesticidi nelle acque.

Poi c’è il problema della eccessiva lavorazione del terreno
Lavorare spesso il terreno mica gli fa poi tanto bene: si forzano i processi ossidativi della sostanza organica presente nel suolo – e via con altra anidride carbonica in aria – come pure si espone maggiormente il terreno stesso ai fenomeni erosivi. Né godono particolarmente gli organismi che in quei primi centimetri ci vivono. Insomma, la via dell’inferno pare proprio lastricata di buone intenzioni…

Si stanno sviluppando anche altri metodi…
Mi lasciano perplesso e abbastanza scettico anche i nuovi orientamenti verso i microrganismi e gli insetti utili usati al posto della chimica. Le principali multinazionali si stanno orientando tutte verso questa frontiera, anche perché il business economico pare davvero importante e le grandi compagnie seguono sempre il mercato nuovo se questo promette meglio del vecchio. E poi, se vendi un fungo antagonista di un patogeno, mica rischi di trovarti in tribunale come successo a Monsanto prima e a Bayer poi per via di glifosate.

Cioè?
Sono prodotti “naturali”: conoscendo le teste pseudo-ecologiste con cui abbiamo a che fare, quei prodotti potrebbero anche estinguere la vita sul pianeta che continuerebbero a raccogliere consensi politici e mediatici. Peccato poi che gli antagonisti naturali dei parassiti e dei patogeni abbiano dei limiti anche in termini di efficacia, dato che non eliminano a fondo le avversità bensì le ostacolano e basta. Magari anche benino, ma se fossi un agricoltore non mi affiderei mai a dei programmi di difesa basati solo su microrganismi o insetti utili.

Esempio?
Basti pensare al Cinipede del castagno, contro il quale si sono lanciati milioni di vespette predatrici delle sue larve. Del resto, nei boschi mica puoi passare con gli aerei e bombardare con gli insetticidi, quindi va bene così. Peccato che i risultati siano stati tutt’altro che risolutivi: il Cinipede è ancora lì e di danni continua a farne tanti. E temo che per le medesime ragioni anche la famosa vespa samurai lanciata contro la Cimice asiatica produrrà solo risultati parziali. Gli organismi tendono infatti sempre all’equilibrio fra loro: avete mai visto un branco di gazzelle ridotto quasi a zero da uno di leoni? La chimica invece no: elimina le avversità con percentuali di efficacia altissime. Poi l’anno dopo la lotta ricomincia, ma questo è un altro discorso. E per fortuna: pensa che disastro sarebbe trovare un insetticida che basta usarlo una volta per estinguere un tipo di insetti… Sarebbe un disastro planetario.

Temo che sia questo il punto…(anche a sfavore, dico)
In un ambiente tutt’altro che naturale come un frutteto, per esempio, mai si può contare troppo su degli equilibri particolari, visto che il frutteto stesso è tutto tranne che naturale. Ecco perché i parassiti si moltiplicano esponenzialmente nei campi coltivati e per controllarli bisogna usare spesso le maniere forti. Oppure vincono loro e noi saltiamo i pasti.

Oppure?
Oppure dobbiamo importare quelle merci che ci siamo fatti sbranare impunemente dai parassiti qui da noi.

Aspe’, qua ti volevo
Ogni chilo di raccolto in meno qui in Italia diventa un chilo in più importato dall’estero. Se agli italiani va bene così… A me no. Credo quindi che il futuro sarà caratterizzato da impieghi di molecole sempre più selettive, integrate possibilmente da genetiche resistenti (se gli ambientalisti la smettono di remare contro al biotech…) e nuove tecnologie degne dell’Agricoltura 4.0, ove l’elettronica e la meccanica possono giocare un ruolo importante nel ridurre o eliminare i “pesticidi” a parità di efficacia.

Ok…
E questa è condizione irrinunciabile: se le nuove soluzioni sono meno efficaci delle precedenti, addio prodotti nostrani… Nessuna di queste armi basta però da sola. Solo la loro oculata integrazione può garantire il successo contro l’esercito di malerbe, parassiti e patogeni che assediano minacciosi i nostri pasti. L’ideologia no: quella se sta fuori dai campi coltivati è meglio.

Senti ultime cose, la tua tesi: eutrofizzazione delle acque. Vorrei che mi parlassi un po’ del ciclo delle acque, che significa per esempio sprecare acqua e poi di questo problema, eutrofizzazione, appunto, a che punto siamo?
Diciamo subito che l’acqua non si consuma, bensì si trasforma. Piove, quindi le piante utilizzano quell’acqua per via diretta. Ma non piove solo sui campi coltivati, quindi si gonfiano laghi e fiumi, o si coprono di neve le montagne. Quell’acqua scorrerà poi verso il mare e se noi ne intercettiamo una parte per irrigare le colture nei momenti di maggior bisogno, quando cioè piove poco, non è mica che quell’acqua “sparisce”: evaporerà di nuovo e poi ripioverà a terra in seguito, magari a mille chilometri di distanza.

Quindi sbagliamo i conti…
I conti vanno fatti fra usi diversi: se allevo vacche da latte a Cremona, dove ho tanta acqua che non so dove metterla, va tutto bene. Se voglio mettere lo stesso allevamento nello Yemen, magari anche no, perché lì di acqua ce n’è già poca per la popolazione. Altro che vacche da latte. Poi ci sono gli aspetti legati alla qualità dell’acqua: se la inquino al punto di non poterla più utilizzare per altri scopi, quell’acqua è praticamente persa.

E sì, soluzione?
Per tali ragioni io parlerei di meno di allevamenti e pesticidi e investirei di più in depuratori delle acque. Sempre che non si metta di traverso qualche comitato “No depuratore” come avviene talvolta in questo pazzo paese in cui oltre 200 cittadine con più di 2.000 abitanti non hanno il depuratore. Cosa per la quale la UE ha aperto perfino delle specifiche procedure di infrazione.

Quindi la priorità è riutilizzare le acque reflue?
Se l’acqua reflua, urbana o meno che sia, non viene depurata adeguatamente finisce infatti nei fiumi e di lì nei mari, con tutto il suo carico di sostanze inquinanti fra cui i nutrienti per le alghe che causano appunto eutrofizzazione. Questo fenomeno crebbe per attenzione negli anni ’80 e ’90, con l’agricoltura accusata di contribuire con i concimi fosfatici. Peccato, o per fortuna, che questi siano praticamente immobili nel terreno. Poi si scoprì che era il fosforo dei detersivi, i quali videro cambiare quindi i tensioattivi che li rendevano efficaci. Della serie: l’agricoltura sempre di mezzo nelle accuse, ma quasi mai colpevole nei fatti. O per lo meno, se è “colpevole” lo è molto meno di quanto venga accusata di essere.

Antonio Pascale

Antonio Pascale fa il giornalista e lo scrittore, vive a Roma. Scrive per il teatro e la radio. Collabora con il Mattino, lo Straniero e Limes. I suoi libri su IBS.