Quattro chiacchiere con il sottosegretario all’Agricoltura
Il modello (molto semplificato) dovrebbe essere questo: noi abbiamo delle opinioni, i politici le leggono e le trasformano in leggi. Quindi, al primo posto ci dovrebbero essere le opinioni (con particolari attenzione al tema: come si formano le opinioni?). In agricoltura le opinioni sono molto polarizzate, o molto ideali o molto tecniche (che peccato!), comunque la polarizzazione rimanda a un immaginario statico (che peccato!): il settore è in forte movimento (è cambiato tutto, gli agrofarmaci, le macchine e gli strumenti vari), metti poi la burocrazia. Insomma, ho fatto quattro chiacchiere con un politico, Giuseppe L’Abbate, Sottosegretario di Stato alle politiche agricole, alimentari e forestali, per capire come legge le opinioni e come intende trasformale.
Ciao, si presenta?
Giuseppe L’Abbate, laureato in informatica e tecnologia per la produzione del software, all’Università di Bari. La mia prima esperienza politica è datata 2012: candidato sindaco per il Movimento 5 Stelle nel mio comune, Polignano a Mare, non sono entrato in consiglio per una manciata di voti. Poi, l’anno dopo, candidato alle politiche, sono entrato in Parlamento per la prima volta.
Bene, ora riveste la carica di?
Sono Sottosegretario di Stato alle politiche agricole, alimentari e forestali.
Senta, che impatto ha avuto al Mipaaf [ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, ndr]? Questa Agricoltura, che immaginario ha?
Avendo passato 5 anni (come opposizione) in Commissione Agricoltura avevo già avuto modo di approfondire… diciamo che sono arrivato con grande entusiasmo, volevo fare subito delle cose…
E invece?
Non è così semplice, ci sono tutta una serie di meccanismi burocratici difficili da superare. Diciamo, per restare in tema agricolo: lanci un seme ma poi la raccolta è difficile.
Esempi?
Proponi un intervento normativo. Lavori per trovare la maggioranza che la sostenga e la approvi in una norma. Se si tratta di una proposta di legge, l’iter tra Camera e Senato praticamente si raddoppia, se sei fortunato. Provi attraverso l’inserimento della tua proposta in un decreto, da convertire in legge entro 60 giorni dall’emanazione, ma poi ci sono i successivi decreti attuativi, la Conferenza Stato-Regioni, la Ragioneria Generale dello Stato e la Corte dei Conti sino alla sua effettiva pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Poi si passa all’operatività che vede coinvolgere e dialogare i diversi enti e apparati dello Stato: non sempre con successo. In qualsiasi punto di questo lungo iter la proposta normativa si può arenare e non divenire effettiva. Insomma, quando la norma è approvata e prima che diventi operativa (cioè che riesci a spendere quei soldi) capita, e sempre per restare in tema agricolo, che il terreno sia cambiato, pure la stagione è diversa.
Senta, a proposito di lentezza, Lei crede che ci sia un deficit di conoscenza sull’agricoltura italiana? Voglio dire, un’altra forma di pesantezza, qualcosa che blocca l’innovazione e dunque la possibilità di immaginare un’agricoltura diversa?
Mi rifaccio alla legge delle produttività. Produttività è uguale al rapporto tra valore aggiunto e ore lavorate. Il valore aggiunto non è il prezzo al consumo di un bene ma la differenza tra il prezzo di vendita ed i costi intermedi alla produzione. Ora, come si fa per aumentare la produttività? Bisogna lavorare di più sforzandosi di più? Per rispondere a questa domanda ci viene in soccorso l’economista austriaco Schumpeter: “né con lo sforzo né con l’astinenza si raggiunge la felicità”. Quindi la produttività aumenta se c’è un continuo cambio tecnologico: se si fa innovazione continua. Ovviamente fanno parte dell’innovazione tante cose, la formazione dei lavoratori e degli imprenditori, l’utilizzo di macchine innovative, ecc.
Esempio?
Dobbiamo fare in modo che le imprese agricole siano capaci di innovare.
Ok, come?
Semi performanti, macchinari innovativi, digital farming…
Che poi è l’agricoltura di precisione…
Un modo concreto per innovare. Si riduce, ad esempio, l’utilizzo di prodotti fitosanitari: invece di usare gli agrofarmaci a tutto campo e con interventi a calendario, si utilizzano solo in quei punti del campo dove sono necessari e solamente se le condizioni lo richiedono. Senza trascurare l’indipendenza energetica, col biogas o biometano, per esempio, tra l’altro dobbiamo raggiungere degli obiettivi stabiliti dall’Unione Europea.
Insomma, chiudere il cerchio…
Chiudere il cerchio sì, considerando poi tutto il sistema al di fuori della singola impresa ma che consente all’impresa stessa di essere produttiva: le infrastrutture per esempio. Oggi, sei competitivo se riesci a raggiungere i mercati con tempi più rapidi e a costi minori. O ancora, sembra strano, essere connessi…
E’ ancora un problema, vero?
Ho fatto la mia prima audizione, nel 2013. Sono sedute nelle quali si ascolta il mondo agricolo. Ebbene tutti coloro che sono venuti, al primo punto delle loro richieste, hanno messo: internet nelle campagne! Richiesta fatta da tutte le associazioni agricole.
E internet nelle campagne…
Ancora non c’è! E’ uno di quei problemi che vanno risolti. Senza internet l’agricoltura di precisione non si sviluppa, ma nemmeno puoi creare un market space…
Senta, a proposito di produttività, infrastrutture e sistema globale, Lei è appassionato di filiera agricola.
Dobbiamo strutturare le filiere in maniera verticale.
Cioè?
Partendo dal produttore, passando per il trasformatore sino alla distribuzione, la filiera deve essere unita. Non ci deve essere più la logica, ad esempio, del produttore che fa la guerra al trasformatore. Questa strada porta solo a una riduzione dei prezzi, quindi allo schiacciamento della parte più debole: la parte agricola.
Se invece strutturiamo la filiera?
Se si organizza la filiera, si riescono ad abbattere i costi ed evitiamo la volatilità del mercato. Se i produttori non si organizzano, rimangono in balìa delle onde del libero mercato, con i suoi alti e bassi e dove ci sarà sempre qualcuno nel mondo che produrrà a prezzi più convenienti. Meglio, molto meglio, strutturare la filiera per coglierne potenzialità e vantaggi.
Lei lo sa: ogni volta che si partecipa a un convegno, gli agricoltori ti dicono: siamo schiacciati dalla Grande Distruzione Organizzata (GDO)… È un problema che va affrontato. Anche se ci sono sfumature importanti. In alcune aree ti rendi conto che lo stesso agricoltore è restio ad associarsi con altri agricoltori, per fare squadra ed essere più forti (magari le famiglie non si parlano da anni per vecchie beghe), altre volte i buyer della grossa distribuzione non fanno alcuna differenza tra le aziende e impongono contratti poco vantaggiosi… Quindi, Lei come se la immagina questa filiera verticale dove tutti fanno lo stesso lavoro e collaborano?
Se la GDO ha di fronte a sé una miriade di aziende polverizzate (altro problema italiano) è ovviamente scontato che riesca a schiacciare il produttore. Cioè, semplicemente, fa una sorta di asta: chi offre meno? Se la produzione riuscisse invece ad associarsi – e tutti gli strumenti della PAC [Politica Agricola Comune, ndr] danno queste indicazioni e offrono strumenti utili per aggregarsi – allora quei produttori hanno un peso dal punto di vista contrattuale nei confronti della GDO… Ah non dobbiamo sottovalutare una cosa…
Cosa?
A sua volta, la GDO rischia di venire travolta dai grandi player del digitale. Il lockdown lo ha dimostrato: lo shopping online gli ha tolto fette di mercato. Pertanto, anche per la GDO, vale la regola madre dell’innovazione. Il nostro Paese in vent’anni non ha innovato per niente.
Cosa ne pensa, a proposito di innovazione, delle biotecnologie sostenibili?
Penso che se perdiamo anche questo treno i nostri produttori nel futuro non riusciranno ad essere competitivi: bisogna finanziare la ricerca, fare sperimentazione in campo, mettere sul mercato piante con resistenze ai patogeni e agli stress biotici e con qualità nutrizionali maggiori. Se non lo facciamo noi, lo faranno gli altri.
Avrei due ultime domande. La prima: nella sostanza, torniamo all’inizio, ci sono allo studio norme che possono mettere le aziende agricole di innovare? Cioè, detta papale papale, i soldi, il credito alle imprese agricole, necessario ad innovare, quello chi glielo dà?
Stiamo dando grande importanza all’innovazione, attraverso diverse misure che gli imprenditori agricoli possono utilizzare: dal bando Isi-Inail al credito d’imposta per investimenti in agricoltura 4.0. Poi in Italia abbiamo da anni un problema di accesso al credito…
In effetti, e allora?
Fino a quando le banche ospitavano il famoso sportello agricolo allora il credito era garantito, poi non più. Le imprese agricole sono differenti dalle altre imprese. Mancanza di credito vuol dire mancanza di investimenti (magari gli unici soldi che ricevono vengono dalla PAC o dai piani di Sviluppo Rurale). Ci sono tre ordini di problemi.
Vediamo…
Il primo: le imprese non hanno una garanzia pubblica. Ora nel decreto rilancio, nel Cura Italia, abbiamo stanziato 350 milioni per le garanzie gratuite ISMEA [Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo e Alimentare, ndr]. Secondo problema connesso al primo: la durata dei mutui. Non avendo una garanzia pubblica le banche erogano mutui a tempi brevi (10, massimo 15 anni): si avrebbe bisogno di tempi molto più lunghi, altrimenti non riesci a ripagarlo. Terzo problema: il rating. Le banche non riescono ad assegnare un rating alle imprese agricole e dunque non possono erogare (diciamo che le banche non leggono le potenzialità di alcuni investimenti).
Ok, come si può fare?
Cosa abbiamo fatto…
Cosa avete fatto?
Io ho fortemente spinto per dare la possibilità alle imprese agricole di accedere direttamente al Fondo per le piccole imprese, quello gestito dal Mediocredito Centrale. Allora, se prendiamo il settore più vicino a quello agricolo, cioè quello agroalimentare, vediamo che solo nel 2019 il Fondo di Garanzia ha erogato circa un miliardo di euro di credito.
Bè, un’enorme possibilità per le imprese agricole, no?
Infatti, nel Cura Italia sono riuscito a far passare una norma che consente di accedere in maniera diretta al Fondo. Questa è una rivoluzione nel settore agricolo.
Perché?
Perché ora le imprese agricole potranno accedere al Fondo con le norme previste per la pandemia (è partito, abbiamo fatto tutti quei passaggi burocratici di cui sopra), quindi nella sostanza le imprese agricole possono andare in banca e utilizzare il Fondo di Garanzia di Mediocredito Centrale come garanzia, per chiedere un finanziamento. Quindi già oggi si potranno avere finanziamenti. Ma successivamente quando passerà l’emergenza Covid…
Che succederà?
Stiamo lavorando per andare in deroga al de minimis (gli aiuti di piccola entità che possono essere concessi alle imprese senza violare le norme sulla concorrenza).
In effetti gli agricoltori non entrano nemmeno in banca, dicono: quelli non capiscono cosa voglio fare…
Invece lo posso dire, perché su questo aspetto mi sono impegnato: le banche hanno voglia di finanziare, anche perché dai dati statistici che loro hanno elaborato, risulta che le imprese agricole sono quelle che maggiormente ripagano il proprio debito rispetto alle altre imprese di altri settori. Solo che hanno un problema di lungo periodo, insomma le vacche il latte devono farlo, la vite deve produrre, quindi tutto sta a leggere questo tipo di investimento. Noi vogliamo che da ora si possa fare facilmente questa lettura.
Finiamo con cosa simbolica? Le cose simboliche hanno il loro peso, sempre a proposito di innovazione, non trovate che questo Ministero sia poco simbolico? Cioè, metterei le serre sul tetto, le bouganville alle finestre, le edere rampicanti alle pareti, farei un bosco verticale… direi ai cittadini: “venite a vedere quante cose questo Ministero nuove produce”.
L’ho detto al Gabinetto… di sostituire almeno le foto dei corridoi, raccontano un’agricoltura troppo vecchia, almeno facciamo vedere l’avanzamento, l’innovazione: insomma, dobbiamo fare passare il messaggio che l’agricoltore si chiama imprenditore agricolo. Im-pren-di-to-re!