Primavera, sentimenti e Sanremo
È chiaro, non si dovrebbe parlare così, per grandi linee. I sentimenti esigono precisione narrativa. È necessario, poi, personalizzare la drammaturgia, insomma una minima forma artistica che tenga conto del carattere, dello stato d’animo e dei vari accidenti capitati alla persona che ti è davanti (nonché del soggetto addetto alla descrizione) – l’arte è o non è tutto quello che sfugge alla statistica?
Però, d’altra parte, so’ feste, cene primaverili. A primavera riecco i fiori che, si sa, sono testardi e non si rassegnano all’inorganico, e con i fiori i sentimenti, gli amori, i turbamenti, le decisioni e le indecisioni, che faccio che non faccio? Poi c’è rumore di sottofondo, brusio festoso, le finestre aperte, l’aria umida, atlantica, ma le mimose già in fiore, i prunus pure, c’è anche qualcuno che parla di mare: «domani ci vado, vuoi venire?» Macché, stai infossato su un divano, ti limiti a chiedere al tuo vicino: «dimmi dimmi che è successo?» E presti attenzione, finché qualcuno non ti richiama con altra e cogente questione da esaminare seduta stante, tipo Littizzetto e monologo sanremese, e tutto si confonde, metti il vino, l’aria umida e le mimose, i prunus, per questo non si dovrebbe fare: parlare di sentimenti a grandi linee. Ma tant’è, so feste.
E infatti mi capita di andare alle feste (sempre di meno), prendo la moto e mi avvio, in genere attraverso ponte Garibaldi, cerco anche di individuare la fascia di passaggio, dal vespro alla notte, perché è tutto più bello, calmo e pacifico, la luce gialla di Roma è piacevole, l’aria che si abbruna, la chioma dei platani che sparisce, e poi arrivo: busso, salgo, tolgo giacca consegno vino o dolci o gelato alla gentile padrona di casa, non c’è ancora nessuno, sgranocchio qualcosa, poi mi giro, è un attimo: è la stanza è tutta piena di gente. E da dove sono usciti? È quello il problema, il vortice, il risucchio, sei già sul divano, a parlare di sentimenti.
Tra parentesi, almeno nella mia testa, il discorso è iniziato prima. La prof. di italiano di mio figlio, secondo ginnasio, dice alla classe: era meglio quando le donne non lavoravano, badavano alla casa, tante lotte e per far cosa? Per ritrovarsi la sera a chattare? ognuno per conto suo? Vuoi mettere quando si raccontavano storie davanti al camino. Aggiunge altre cose sulla stessa lunghezza d’onda. E voi che dite? Chiedo a mio figlio. Ma che vuoi che diciamo, qualcuno dice di sì, ma per convenienza, altri nemmeno l’ascoltano, perché appunto chattano in classe (è certo, penso, ben le sta).
Quindi arrivo alla festa e sono influenzato dalla scenetta che mio figlio m’ha raccontato, e allora, spingo la discussione verso un’orbita sentimentale.
I dati sull’alfabetizzazione femminile sono entusiasmanti. Ne parla, e argomentando bene Charles Kenny, nel suo Va già meglio (Bollati Boringhieri), un’analisi costi e benefici della modernità.
«A livello globale, durante gli 80 anni compresi fra il 1870 e il 1950, la percentuale mondiale della popolazione in grado di leggere e scrivere è cresciuta da un quarto a metà. Dal 1950 al 2000 è arrivata a quattro quinti. Il progresso è stato particolarmente incoraggiante per le donne. Fra il 1970 e il 2000 il rapporto medio globale tra l’alfabetizzazione femminile e quella maschile si è spostato dal 59% all’80%. Tanto per dire, i tassi di alfabetizzazione nella regione sub-sahariana sono passati infatti dal 28% al 61% soltanto fra il 1970 e la fine del secolo. Uno dei fattori principali alla base della crescita del livello di alfabetizzazione globale è da ricercare in una più ampia diffusione dell’accesso all’istruzione».
Tutto fa pensare che la prossima esplosione creativa, dunque, sarà femminile, e tutto fa pensare che i sentimenti femminili, quelli, appunto, soggiacenti alla suddetta creatività, si scontreranno con quelli maschili. Per uno scrittore un invito a nozze.
Spesso, durante le discussioni o presentazioni, conferenze, cito la teoria della magic washing machine di Hans Rosling – in verità la faccio mia (cioè la copio) e la integro – tanto in Italia nessuno controlla le fonti. È bravo Rosling, molto divertente. In sostanza la lavatrice ha fornito tempo libero alle donne e così, mentre la nonna di Rosling lavava i panni per tre giorni (anche mia nonna) al fiume, sua madre grazie alla lavatrice ha guadagnato tempo e cosa ha detto al giovane Rosling? Leggiamo un libro. Dunque dalla lavatrice non escono solo i panni puliti ma anche i libri, e Rosling – racconta – è diventato un intellettuale grazie all’amore per i libri, usciti appunto dal cestello. È interessante notare, in chiosa, che sì, anche mia mamma ha usufruito dello stesso effetto lavatrice e mi ha comprato I quindici (i libri del come e perché: che fantastico sottotitolo) e l’Enciclopedia vita meravigliosa, tuttavia i primi modelli di lavatrice non funzionano benissimo, alcune funzioni erano scadenti (la centrifuga) e dunque mia mamma e mia nonna si dedicavano a rifinire il lavoro a mano, quindi trattasi di liberazione parziale (ma io sono di Caserta).
Ciò significa che quando parliamo di sentimenti dovremmo dividerli in pre/lavatrice e post lavatrice. Non mi venite a raccontare che i miei nonni e miei bisnonni (contadini) si amavano. L’amore – almeno nell’accezione comunemente oggi intesa: capacità di scelta, indipendenza, autonomia di giudizio (o meglio una loro versione in nuce) – è giovane, adolescente: ora ora si sta formando. Le mie nonne aveva sposato i miei nonni per la risicata dote, unica speranza di condurre una vita decente. Vecchia e onorata civiltà contadina. Mia nonna e le mie zie nemmeno si lamentavano. Lavoravano sempre, hanno patito la fame e subito vari lutti, nessuna fortuna le ha mai toccate. Tuttavia, nei racconti che facevano a noi nipoti dicevano che la vita era bella a quei tempi, gli bastava poco, aprire gli occhi sull’aurora, per esempio, e lavare i panni al fiume non era male.
Mi commuovo sempre, ancora adesso, a ricordare i racconti delle mie due nonne nonché il parentame contadino (svariate zie), perché non era vero, e lo si capiva, però si sforzavano di farcelo credere, che la vita era bella. Scavavi un po’ e scoprivi un sacco di cose brutte. Allora la violenza era morale, e il ventre bisognava donarlo allo Stato. L’erotismo, quello poi. Una vecchia zia, interrogata sulle vicende sessuali, raccontava di quanto era contenta quando suo marito andava al bordello, così poteva avere un po’ di tranquillità. Altre raccontavano da vecchiette – ormai tutte rughe e abiti neri, sedute ancora sulle sedie impagliate – di essersi vergognate quelle rare volte che avevano raggiunto un orgasmo, si sentivano delle puttane, delle donnacce. In effetti la cultura d’amore era chiara: con il marito solo per dovere – è così che si comporta una donna virtuosa, per il piacere c’è il bordello.
Non c’entra la civiltà contadina. I sentimenti d’amore fluttuano, sono un prodotto culturale.
Boris Cyrulnik, La vergogna (Codice edizione): «Presso gli antichi egizi, nella Grecia antica, presso i burgundi, i baruya della nuova Guinea, il ventre delle donne e l’erezione degli uomini appartengono allo Stato. Il Sentimento d’amore del matrimonio, che ora l’Occidente rivendica come prova di moralità sessuale e di rispetto degli individui, è per lungo tempo apparso assurdo. I romani deridevano l’uomo innamorato che languido con la sua amata era meno disponibile al combattimento. In numerose culture l’amore coniugale è stato considerato un’oscenità – niente è più immondo che amare la propria moglie come si ama la propria amante, secondo Arìés e Duby (La vita privata. Dall’impero all’anno mille, Laterza). Nei manuali di amore provenzali nel XIII secolo, le donne affermavano che bisognava sposare un uomo per il nome e per i beni, certamente non per amore, che era riservato all’amante. In questi contesti confessare di amare il proprio coniuge rendeva talmente ridicoli che la vergogna faceva tacere. Le sole avventure umane che potevano rendere un uomo fiero della sua esistenza erano quelle nell’esercito o nella fede, la spada o l’abito talare. Ogni relazione sentimentale, ogni amore nel matrimonio, sviliva la dignità e diventava fonte di imbarazzo».
Sentimenti post lavatrice. Donne che hanno studiato e tanto, ambizioni creative diffuse. D’accordo, non si dovrebbe parlare di queste cose in senso lato, ma sto a una festa, aria di primavera, e allora lancio la palla, per così dire: sentimenti post lavatrice, appunto. «Allora, prendi – mi dice Antonio (uno che si chiama come me) – l’attuale bibbia dei sentimenti». «E qual è?» Chiedo. «Natalia Aspesi, sul Venerdì, la posta del cuore». «Ah, cazzo, sì» dico. «Prendi ‘sta lettera: c’è una che una si presenta, “Buongiorno, mi chiamo Giovanna e ho un dottorato di ricerca”, dice così, come fosse un cognome. Te la ricordi», mi chiede? «No», rispondo. «Perché? non leggi la Aspesi?» «Sì, un po’, sono più fissato con Gramellini…» «Vabbè continua Antonio (l’altro), insomma, Giovanna racconta che è andata a casa di un ragazzo, primo giorno tutto ok, seconda notte, lui la bacia sulla fronte e va a dormire. Lei ci resta male. Il giorno dopo, per caso, lei dice, consulta la cronologia del pc del ragazzo che ti scopre? La stessa notte il ragazzo ha guardato siti porno. Domanda di Giovanna alla Aspesi: ma perché mai un ragazzo preferisce un corpo virtuale di una pornostar a una in carne e ossa? Perché?» «E perché? – faccio io – La Aspesi che dice?» «Nella sostanza, che siamo delle merde – dice Antonio (l’altro) – Ma se ci pensi bene, c’è una spiegazione semplice: il ragazzo guarda i porno perché le pornostar non hanno il dottorato di ricerca e nemmeno lo richiedono. Cioè questa, la “dottorata” avrà richiesto un impegno intellettuale fuori dal comune, e il ragazzo avrà pensato: sai che c’è? mo’ mi guardo YouPorn».
Certo, rapporti conflittuali post lavatrice, interessante, dal punto di vista di uno scrittore dico. Ma il mio cruccio, tuttavia – insisto – è Gramellini. «E perché mai?» mi chiede Antonio. «Come perché? Mi hanno detto che ha fatto una presentazione in piazza a Modena, a Mantova, non mi ricordo, c’erano migliaia di donne. Cioè, sono invidiosissimo, che c’avrà Gramellini?» «E chiediamo alle donne», dice Antonio (l’altro). E arriva Rosaria, bicchiere di vino, mise niente male, semplice, stivaletti bassi Blundstone, jeans senza cintura (ma non a vita bassa) e un maglione a V, cotone a doppio filo, raffinato, colore verde scuro, leggermente largo, tanto che si vede bene il segno della cinta della borsa, borsa evidentemente pesante, borsa che evidentemente ha trasportato tutto il giorno e lei dice: «Secondo me Gramellini piace perché noi donne soffriamo molto» – le guardo il segno della spalla e sarà la suggestione ma mi appare più rosso – «siamo sole, abbiamo casini e allora Gramellini ci sembra quel tipo d’uomo». «Come quel tipo d’uomo?» chiedo. «Quel tipo d’uomo con cui puoi uscire a cena e raccontargli tutti i problemi». «Porca puttana – dico – Non deve essere piacevole, per lui. Uno si immagina una serata romantica e tu mi racconti i problemi». «Ma i problemi fanno sesso – mi dice – Cioè, abbiamo la sensazione che qualcuno ci ascolta e se ci ascolta ci comprende e se ci comprende ci desidera».
«No vabbè, ma veramente fai?» Interviene Nicola. Tenuta sportiva, stivaletti Blundstone, jeans con cintura, camicia bianca e maglione a V, cotone doppio filo, blu. «Voi vi state trasformando – dice guardando torvo Rosaria – in persone difficili». Io intanto mi guardo intorno: quanti stivaletti Blundstone ci sono? Tanti. Del resto, anche io li indosso. «Cioè – continua Nicola – o avete problemi o fate ridere. Anzi, più avete problemi più fate ridere, ma non ridete di voi stesse, no, sfottete gli altri. Non se ne può più. Che mondo è?» «Cioè – chiedo – non ti piacciono le donne spiritose?» «Perché a te piacciono?», mi risponde. «A me sì, siccome sono stato un adolescente brutto…» «Sei stato?» si inserisce Rosaria. «Ecco qui», interviene Nicola, «Visto? Antonio dice una cosa e loro subito puntualizzano, Vabbè Antonio è brutto, e allora?» «E allora – dico io (io non l’altro) – siccome sono brutto ho cercato di far ridere le donne, e quindi, sai, ora mi fa piacere se una donna mi fa ridere, mi rilasso molto». «Ora?» chiede Rosaria, e mi fa l’occhiolino, mentre Nicola alza le spalle e dice: «Le donne che fanno ridere sono il contrario esatto dell’erotismo. Prendi la Litizzetto, che ne pensate?» «Beh», dico. «E dai – insiste Nicola: non se ne può più. Sembra Dario Cassini al femminile, quello che fa le battute sulle donne, avete presente?»
Passa intanto un altro con i Blundstone. Ma non erano stivaletti ricercati e rari, usati solo dai pompieri neozelandesi? «‘Ste parolacce – continua Nicola: Il Walter, la Iolanda, quei teatrini con Fazio: Lucianina….Dai, stiamo parlando di cazzo e figa, nella sostanza quello è, però nobilitati dalle tematiche alte, tipo il femminicidio…. Ma a San Remo? Cioè, l’avete sentita? Una che dice che i down devono fare la pubblicità della Ferrero? A parte il fatto che lei fa le pubblicità della Conad». «No! Coop – dico io – Coop, tutto bio ecc». «Ecco appunto, quindi se volesse potrebbe scegliere un down come partner. Ma a parte questo, il cattivo gusto? Quello non lo consideriamo: i down soffrono di diabete e tu gli fai mangiare cioccolata, ma che roba è? E poi i down non sono attori, questo perbenismo…. Diciamo la verità, le rughe sono un problema, la morte è un problema e ognuno l’affronta come crede. Chi con il botulino chi con altro». «In effetti – dice Rosaria – a volte meglio una maschera deturpata che il volto vero». «Ecco, lo vedi? – ribatte Nicola – E allora? Cos’è ‘sto moralismo? Affrontate la questione morte, ma senza Walter Iolanda e risatine, un po’ di serietà, vi state trasformando in mostri comici».
«Noi ci stiamo trasformando?», dice Ilaria – Woow, penso, non ha le Blundstone e che scarpe calza? – «Lasciamo perdere la Litizzetto, cioè sono d’accordo, ma voi uomini, vi siete visti? Come vi state trasformando?» «Ci stiamo trasformando in tanti Gramellini?», chiedo, ma nessuno mi sente. «Maschi in giro non ce ne sono. Spariti». «Ma maschi belli o maschi in generale», chiedo io. «O sono sposati – continua Ilaria – e vabbè, oppure sono single ma hanno un sacco di ex che ancora rimpiangono. Cioè, so’ disperati, piangono per amore. Sapete la quantità di maschi che piange per amore? Una cosa insopportabile. Vogliono essere consolati. Piangono, soffrono e la cosa terribile, si sentono impotenti. E te lo dicono subito, sai che allegria. Cioè, siccome hanno sofferto tanto sono diventati impotenti e ti usano. Ti usano come porno star. Fanno la prova con te». «Hai il dottorato di ricerca», le chiedo? «Sì, master anche, perché?» «No no niente». E Antonio mi fa segno: tutto torna. «E naturalmente, tu a darti da fare per recitare da porno star, sennò, poverino, non si eccita, e ti ci metti di impegno». «Ah sì? – chiedo – E… e?» «E niente – mi risponde – non succede niente. Allora ti trattano male, non sei capace di farmi eccitare, dicono così. Siete delle merde. Dei mostri, arrapati e impotenti. Altro che Litizzetto».
«Vogliamo parlare di quelli che per conquistarti – arriva Roberta – ti parlano d’amore?». Vestita di nero, il maglione le si allunga sul pantalone, anfibi al piede. «Una cosa che tempo fa era riservata a noi donne, noi parliamo d’amore perché vogliamo convincere il partner d’essere affidabili». «Hai il dottorato?», chiede Antonio (l’altro). «Sono biologa evolutiva – dice Roberta – perché?» E poi continua: «ora sono gli uomini a parlarne, lunghe nottate a parlare d’amore e poi finalmente si va a letto e allora…». «Allora?», chiediamo in coro. «Niente, non succede niente. Prima mi parli d’amore, promesse e promesse e io, in fondo, non so niente di lui, da dove viene, dove vuole andare, però parla d’amore e io ci sto e alla fine l’amore non lo fa. E noi ci staremmo trasformando? Dai. E quelli che ti parlano delle donne che si scopano? Ma dico che cazzo ci vuole a capirlo? Mica stiamo qui a eccitarci perché siete belli o brutti, no. No?» «Quindi ho speranz…» «Ma no, per una donna niente è più eccitante che sentirsi desiderate e uniche. Se mi dici delle altre, dai, a volte mi parlano delle mogli, ma chissene. Fammi sentire desideratissima, una mezz’ora appena, oppure menti, no? Dimmi che mi desideri, dici una cazzata, tanto siamo forti, noi, io faccio finta di crederci e tutto si risolve, portiamo a termine ‘sta partita».
«Tutta colpa delle mamme», arriva Valentina e «Vabbè – dicono le altre in coro – sempre colpa nostra, insomma». «Queste mamme – insiste Valentina – premurose e possessive. Che confondono i figli con sbaciucchiamenti continui. Li trattano come principini. A volte le vedo, al parco, i bambini se ne stanno tranquilli a giocare. Ora tu sai che la regola è semplice: i bambini giocano, tu guardi, attenta. I bambini si allontanano e ti guardano, tu fai segno che sì, può andare, il bambino si rassicura e si avvia per la sua nuova strada. Poi capita che cade, e allora corre da te e tu l’abbracci. Se cade e corre da te, tu l’abbracci, è semplice, così lui si rassicura e di nuovo ci riprova. Altrimenti no». «Sei psicologa», chiedo? «No, baby sitter, periodaccio guarda, il mio compagno non c’ha un euro. Vabbè, comunque certe mamme, così, per loro esigenza narcisistica, mentre parlano con le amiche, corrono ad abbracciare il figlio, senza una ragione, solo per far vedere quanto amano i bambini e che brave mamme sono e se lo sbaciucchiano, e tu vedi ‘sto bambino che non sa cosa è successo. Si guarda intorno: perché mamma mi bacia? Sono caduto? C’è un pericolo? Che avrò fatto di male? Li vedo e mi immagino dei futuri adulti confusi e impotenti. Che non sanno amare, perché non hanno capito la regola semplice, se cadi ti abbraccio, ma se non cadi non mi rompere i coglioni e non pretendere baci».
E qui, sulle risate sulla mamma, io che sono meridionale ho detto: «Un mio amico si è sposato con una cubana. Coppia mista, che fighi, lui di Caserta, lei cubana, d’amore e d’accordo, finché un Natale lo vedo da solo. “Beh?” “E beh – mi dice – mi sono lasciato”. “E perché”. “Perché? Boh? Lei piano piano non mi ha più seguito, un giorno mi ha detto: Ugo tu sei un uomo meridionale, cresciuto con tante donne, mamme e zie che t’hanno tanto amato e protetto e coccolato e ora cerchi questo tipo d’amore, ma io non sono la persona giusta”». Però intanto la discussione s’era riaccesa, sul sud, sul nord, sulle mamme e sugli uomini e donne e mi sono defilato. Anche perché a poco a poco il discorso dalle trasformazioni sentimentali s’era spostato su Renzi e non c’avevo voglia.
Tornando a casa, ripensando all’amore, ho avuto voglia, d’improvviso, d’essere già vecchio. A volte mi prendono desideri di questo tipo. Una volta su una spiaggia, a marzo, vidi una coppia, lui e lei che passeggiavano sulla battigia. Erano anziani, non belli, lui costume fantozziano e pancia prominente, cappello bianco, da muratore, in testa, lei un po’ gobba. Sarà stata la giornata di marzo, la luce che incominciava a crescere, ma quella coppia mi è sembrata felice, aveva fatto un percorso e, forse chissà, tutto per loro, il passato, e quello che ancora c’era da vivere, tutto gli sarà apparso chiaro, chiaro come quella giornata di marzo: il dolore scomparso, i conflitti spenti, chissà magari se ne erano dette tante, e tuttavia ora i lamenti, i richiami, le attese, tutto questo era un ricordo distante. Desiderio d’essere vecchio, con le caviglie in acqua, a mollo, e un brutto cappellino in testa. E poi mi sono ricordato di una canzone di Franco Fanigliulo, che era bravissimo, morto giovane, una canzone che parlava di due vecchi, lui si svegliava di notte e come si chiamava…
Ma all’incrocio, fermo al semaforo, ho visto una ragazza. Ma porca puttana, tacchi alti, jeans attilatissimi, culo perfetto, seno enorme, capelli lunghi neri, ma da dove esce? Eravamo tre maschi in moto e ci siamo guardati, come per dire: alla faccia del cazzo! Ma chi è questa? E siamo rimasti imbambolati, finché lei non ha attraversato l’incrocio, solo allora un tizio c’ha detto: è un uomo! Non ci mettete il pensiero. Ah! il mondo cambia e i sentimenti mutano. Siamo ripartiti tutti.
Desiderio di essere vecchio, caviglie a mollo, in una bella giornata di marzo. Chissà. Ah, sotto un prunus fiorito. Sì, poi mi sono ricordato il titolo della canzone: Marco e Giuditta. Fantastica.