Donne (spirituali) meridionali 2.0
Vabbè, dovevo andare io a vedere Shame, per le Invasioni Barbariche dico, e c’è di più, la produzione mi aveva assicurato che con me sarebbe venuta un’attrice. E chi è? avevo chiesto. Risposta: sorpresa. Comunque, fidati: una bellissima. Poi non s’è fatto niente, all’ultimo momento è cambiato il programma, insomma, niente film, niente attrice (ma chi era? Ho chiesto. E ormai è fatta), e al posto mio è andato Matteo Bordone (senza attrice al seguito…) – al quale, poi, ho visto, nemmeno è piaciuto Shame (a me invece tanto). Che vuoi fare? Meglio così, dai: sarei dovuto andare a Milano, un freddo, io sono pigro e le attrici, del resto, non sono il mio forte.
(Divisi su Shame, Matteo Bordone e Natalia Aspesi discutono del film alle Invasioni Barbariche, in rappresentanza delle due opposte fazioni)
Però gli echi di Shame mi sono rimasti nella mente, le suggestioni, alcune scene, quella splendida versione di New York New York in chiave blues, cose così. E quindi, al film ho continuato a pensarci, ma vagamente, almeno due notti, da mercoledì fino a venerdì mattina, quando sono partito per Palermo: corso di scrittura intensivo, tre giorni chiuso in un laboratorio. Fino a venerdì mattina, dicevo, perché quando devo partire non penso a niente, tanto sto concentrato sull’aereo. L’idea di perdere il volo… o peggio di correre per prendere il volo, mi infastidisce molto: tutte quelle persone che si tirano dietro trolley, borse, imbacuccate, sudate. Io sono di altro genere: web check 24 ore prima, e partenza da casa 4 ore prima, calma e ordine. Ordine mentale, dico. Ma allora, mi chiedono, a che ti serve il web check in? A niente, solo a calmare la mia ansia, senza ansia rifletto meglio, posso vagare con la mente. Ma non ti prendi niente? Mi chiedono. E no, rispondo, come faccio: quando seguo indicazioni mediche, tipo pillole e cose del genere, sono metodico, mi viene l’ansia, temo di non rispettare la posologia, di scordarmi, che so, che devo prendere un farmaco alle sei del pomeriggio. Quindi… zainetto (niente trolley, per principio) e vai, trenino da Trastevere ore 7:21, arrivo 7:40, il volo imbarca alla 10:45. C’è tempo. Calma e ordine, niente corse, relax, don’t do it.
Mi sono portato un libro: principi di medicina evoluzionista. Fantastico, questo lo faccio leggere – così ho pensato – al corso di scrittura. L’origine dei nostri comportamenti secondo i principi dell’evoluzione: perché amiamo, perché soffriamo, perché siamo depressi e perché siamo ansiosi. Ecco, per esempio, che cos’è l’ansia secondo la psicologia adattativa? Molte prove empiriche mostrano che l’ansia può avere valore adattativo, l’ansia ti permette di vigilare su un pericolo. Nella savana siamo guardinghi, sotto stress, in attesa del nostro predatore. Ma qui viene il bello: quando sono cambiate le condizioni ambientali? Che ne è dello stress e dell’ansia? Perché queste risposte sopravvivono? Insomma, sviluppare ansia per una tigre dai denti a sciabola è ovvio, ma per un semplice aereo da prendere, dai… fa ridere.
Tuttavia, il problema è che predatori o aereo, le risposte a vari fattori di stress sono spesso stereotipate. Ciò indica che le reazioni si sono evolute ciascuna per rispondere a un certo numero di condizioni. Dunque, in sintesi, il nostro cervello moderno è in parte ancora al Paleolitico: se io cacciatore scappo da un predatore attivo gli stessi meccanismi fisiologici che un coniglio attiva per sfuggire alla volpe – e gli stessi meccanismi si ritrovano in Usain Bolt fermo ai blocchi di partenza (troppa ansia ai mondiali di atletica). Più aumenta la consapevolezza e la conoscenza di un pericolo, che sia grande (il predatore) o piccolo (perdo il l’aereo) più l’ansia si attiva. È il principio del rivelatore di fumo: un falso allarme è meno dannoso di una mancata reazione all’incendio, per questo la selezione può avere favorito la sensibilità del meccanismo di reazione. Il mondo moderno è pieno di falsi allarmi e quindi il rivelatore di fumo si attiva troppe volte, e per ogni piccolo segnale. Lo stress richiede un alto costo energetico (sudorazione, tachicardia, rilascio di catecolamine) e tra l’altro gli stati (fisiologici) di stress cronico e quelli di ansia cronica sono simili, e questo spiega perché alcune risposte da adattative sono diventate maladattative, e ciò spiega perché una volta alla stazione di Trastevere la mia ansia è aumentata. Ritardi. Certo la neve in arrivo, poi dice che non devo essere ansioso, qui siamo in una savana, combatti contro Trenitalia, altro che tigre dai denti a sciabola. Aspetto davanti al monitor, i ritardi aumentano. Esco fuori in cerca di un taxi. Niente. Faccio un rapido calcolo: rischio di perdere l’aereo. Sudorazione, tachicardia, affanno, tra l’altro il libro pesa pure nello zainetto. Arriva un taxi, lo guida una ragazza, molto carina. Vado.
Oggi a Roma, mi dice lei, succede di tutto. A me non importa, dico, sotto stress, devo solo prendere l’aereo, poi può pure crollare la città. A che ora ha il volo? Adesso, dico, imbarco alle 10:45. Ma sono le 7:40, mi dice. Ce la facciamo. Speriamo, è tutta bloccata la bretella. Poi la strada si libera e io mi rilasso. Devo avere assunto un’espressione soddisfatta, o da morto felice, perché la tassista mi guardava (e mi sorrideva) di tanto in tanto dallo specchietto retrovisore.
Penso a Shame: i seduttori hanno una grande qualità, quella di saltare il fosso, evitare tutto il pattume verbale e andare al punto. Una parola, un colpo solo. Il seduttore non capisce, intuisce. A capire siamo buoni tutti, a forza di parlare alla fine ci capiamo, ma l’intuizione, quella, è un’altra cosa. C’è una ferita in fondo al cuore: è bellissima. Labbra blu di Federico Fiumani. Una parola e apro o chiudo la ferita, ed è fatto. Quanta è bello quanto accade? Bellissimo! Non devi passare un esame, parlare, fare le battute, ammiccare, troppe responsabilità, per l’una e l’altro, troppi giochi di potere, invece nel Paleolitico… almeno la questione era più chiara: i nostri geni devono trovare il modo di riprodursi. 35 euro.
Alle 8:30, con leggero ritardo, secondo i miei standard, sono al gate 10. Mancano meno di due ore. Seduto, solo, guardo fuori, la pioggia sta cominciando a cadere. Fa pure freddo. Leggo. A pagina 247, “il legame di coppia ha ovvie ragioni nell’assicurare risorse ai figli e la poligamia è meno frequente dove il maschio non ha risorse adeguate per supportare tutte le compagne e i figli (e però oggi come oggi, direbbe la Marzano… le risorse ci sono). Tuttavia i dati etnografici sono diversi e confusi, molte culture permettono la poligamia, mentre la monogamia è un comportamento umano comune, ma anche i rapporti al di fuori dalla coppia non sono, d’altra parte infrequenti”. Vedi, penso, se fossi andato con l’attrice al cinema a vedere Shame, potevo fare una bella citazione etnografica.
Intanto la pioggia si fa più pesante. Mi risale l’ansia. Mica perché ho paura dell’aereo, nemmeno per sogno, sto benissimo fra le nuvole – William Langewiesche racconta che il primo uomo che si staccò da terra con la mongolfiera sentì un profondo silenzio attorno a sé. Cosa strana, commenta Langewiesche, c’erano migliaia di persone intorno che di sicuro avranno accompagnato la salita con un boato. Il volo è silenzio, sei altro da te, come in certi momenti che precedono o seguono un rapporto sessuale, nel silenzio puoi sentire o rifiutare qualche suono che rimbomba nelle tue cavità. Pure questo avrei potuto dire con l’attrice, se avessi visto Shame – comunque, non sono ansioso per la pioggia e le turbolenze, al contrario sto già pensando al ritorno: io atterrerò alle 23, l’ultimo treno è alle 23:30. Viaggio con Blu panorama, una compagnia alla quale non danno mica il l’aggancio al gate, no, deve venire il pullman e di sicuro perdo il treno. Dovrò prendere un taxi, ma se nevica qui a Roma si bloccherà tutto, mica posso mai credere al piano neve di Alemanno…come faccio? Niente, mi tengo l’ansia, poi leggo una cinquantina di pagine, tutte interessantissime, e mi metto in fila. Lenta. Perché quelli di Blu panorama fanno infilare il trolley in una matrice: se non entra, se non è delle dimensioni previste, devono imbarcarlo. Con me nemmeno ci provano: il mio zaino è meno della metà delle dimensioni previste. Ritardi. Pulmino. Stessa cosa accadrà al ritorno, e ci penso e mi sale l’ansia. Poi l’ho vista. Io non ho preferenze tra bionde, rosse, brune, però mi piacciono i visi arabi. Capelli ricci, il profilo leggermente irregolare del viso, il naso non in sincrono con il setto e gli occhi neri, scuriti leggermente dalla matita: è bellissima, penso. Ma chi è? Ci guardiamo fisso, cioè la guardo io, posso provocare un notevole senso di imbarazzo nel prossimo quando decido di guardare, e non abbasso mai lo sguardo per primo. Infatti, poi, smette lei di fissarmi.
Scaletta, io ho già il mio passaporto con copia boording pass da mostrare alla hostess, entro e mi scelgo un posto vicino al finestrino. Ho tutto già in ordine, non ci metto niente, zainetto e giaccone nella cappelliera. Mi siedo. Tiro fuori dalla giacca Le Scienze (già da casa avevo scelto la posizione, tasca destra, perché mi metto sempre sul lato sinistro del vettore, quindi mi sarebbe più difficile da tirare fuori) c’è una bella foto del cervello formato da cavi elettrici. Leggo un po’ mentre gli altri si spogliano (e perdiamo tempo…) e con la coda dell’occhio la vedo. Di nuovo. Ci guardiamo, si toglie il giaccone. La mia mente comincia a lavorare: si siederà vicino a me? Che le dico? Poi sistema lo zainetto e, nella tensione, le si scopre la pancia. La mia mente ora vaga. No, perché, guardo sempre le donne che si spogliano, ma non a letto, quello è ovvio, no, quando lo fanno per accidente o costrizione, per esempio al check: devono togliersi cinta e scarpe e giacconi. I pantaloni che scendono. Il loro viso confuso, imbarazzate e smaliziate. Quell’attimo di pausa, prima si sottoporsi al controllo. In quei momenti mi sento in sintonia con l’energia dell’universo e potrei sottoscrivere un manifesto olistico stile new age. Torno in me, perché mi chiede: posso metterlo lì? Intende il giaccone, e intende metterlo sulla sedia vuota fra me e lei. Qui è perfetto le dico, e lei sorride. Adesso, sempre se fossi andato a vedere Shame, avrei potuto descrivere questa sensazione particolare, ben raccontata dal film, la battuta giusta, il sottotesto perfetto: saltare il fosso, una battuta che deresponsabilizza entrambi, non più costretti alla monogamia imposta dalla cultura ecc ecc. Perché, diciamoci la verità, che altro dovremmo dirci ora: va bene là? È perfetto. Alla Fassbender, appunto. E tutto questo mentre attorno a noi, ruota l’imperfezione: gente che spinge, che si accalca. E l’imperfezione vince, porca puttana. Il solito ritardatario, uno che aveva la valigia più grande e ha dovuto imbarcarla, accompagnato dalla hostess punta verso di noi: o no, questo ora si siede in mezzo. Infatti. Chiudo gli occhi: addio. Ma lei scala, si siede vicino a me e mi dice: così è perfetto. E penso: meno male che hanno mandato Bordone a vedere Shame, dai, sennò, dovevo partire da Milano per Palermo e mi perdevo questo spettacolo di ragazza.
Siamo vicini e il maschio meridionale che è in me comincia a lavorare: tocca a me, ma temporeggio leggendo Scienze. Anche lei caccia un libro: una guida dell’India. Ahi, penso. Questa è una che al check già trova il Nirvana. La scruto. Decolliamo. Silenzio. Turbolenza. Nuvole. Vuoi dare un’occhiata? mi dice indicando la guida. Taglio corto, ma vai in India per la Scienza o per la Spiritualità? Mi guarda, non capisco la domanda, mi fa. Matematica, dico, o ricerca spirituale. Comincia a parlare, ha la voce molto suadente, un tono dolce, da ninna nanna, calma e ordinata sul pentagramma delle note: matematica e spiritualità sono la stessa cosa, in India. Va avanti per un po’ su questo tono, io le guardo la bocca, ha denti bianchissimi. Insegna yoga a Napoli, va a Palermo, un saluto alla famiglia e via sei mesi in India. Tutto da sola, Sud dell’India. Le faccio qualche domanda sullo yoga, mi parla delle persone ansiose, e va bene, dico, se fosse solo questo, sai l’ansia è un maladattamento, una dissonanza, il paleolitico ecc. Poi mi chiede di Palermo, se la conosco, e c’è una turbolenza che ci fa tremare un po’ ma ci avvicina molto. Palermo è come Napoli le dico e, davvero vicini, sento il cuore accelerare e penso a tutti quei pomeriggi calmi e oziosi passati nella mia vita, lei magari stava lavando qualcosa, che so l’insalata, e io come risvegliato da un letargo, intontito, per un sovrappiù di energia, mi trovavo a cingerla da dietro, interrompendo il suo daffare. Per mano fino in camera da letto, dove le sbottonavo la camicetta e lei faceva lo stesso e mettevamo su, entrambi, uno sguardo di quieta fame intermittente, come dei pastori tedeschi che stanno lì pronti a godersi le coccole. L’esplorazione reciproca, la svogliatezza, la distrazione di testa: essere dimentichi di tutto, sembra essere il migliore stato di grazia, si può raggiungere spesso la perfezione. E questo che cerchiamo negli incontri? Una pausa dall’ansia e dallo stress? Staccarsi in volo, nel silenzio? E allora? Di cosa abbiamo bisogno? Di una modesta e umile e leale promessa di felicità futura da scambiarsi, come un dono, un portafortuna che ci protegga dalle disavventure a venire, quelle che accadono nell’estesa savana attorno a noi, con le tigri dai denti a sciabola? Buona fortuna amore mio è stato bello, ora siamo più forti? È questo? Il libro non ne parlava, e nemmeno Shame, insomma, non mi è sembrato quello il tema principale.
Ma no dice lei, Palermo non è come Napoli, un torinese può dire questa cosa, ci sono profonde differenze. Mica mi parla dei colori? penso, scuotendomi dal mio sogno. I colori e poi si mangia meglio a Palermo. C’è una profonda differenza antropologica, mi dice, e continua su questo piano e mi accorgo che mi sto innervosendo, anche perché ho detto una sciocchezza e allora cerco di rimediare: l’immaginario intendo. Sono entrambe vittime di un immaginario esotico. In che senso, mi chiede? Che a Napoli e Palermo abitualmente ci si sofferma su alcune caratteristiche nemmeno poi tanto specifiche e queste fondano una categoria, quella dell’eccezionalità. Eccezionalità? dice. Sì quella, sono due città che non si smuovono, vittime dello loro stesse idee bacate, delle illusioni… e mi accaloro. E lei mi dice: no, dai, poi mi parla dell’India e di alcuni templi, dei maestri sufi che ha incontrato e incontrerà, dell’esperienza estatica e delle sete e del cotone grezzo per fare i turbanti e sempre con quella voce calma e suadente (è sempre più bella, quasi trasfigurata, soprattutto quando guarda un punto lontano, una Galatea assorta), mi dice: ne ho viste di città perfette abitate da persone malate, sazie ma nutrite male, infelici e incapaci di alcunché di costruttivo e guarda, ti garantisco, che un po’ di comprensione e di amore li puoi trovare nei posti difficili, imperfetti e senza regole, anche poveri. No, dico: questa è una stronzata.
Poi guardo fuori dal finestrino: mare. Acque agitate, vento. È una stronzata, dico, la povertà e l’ignoranza non fanno felici nessuno. Tu cosa ne sai? Mi chiede. So, le dico, che la nostra civiltà fa schifo ma stiamo migliorando, lavoriamo per questo, altrimenti piangiamo solo. Non hai l’impressione di muoverti, dice lei, per stare fermo, non hai l’impressione che ruoti su te stesso e ti perdi delle cose belle? Io quando trovo qualcosa di bello ringrazio… ma chi ringrazi? La interrompo: quale dio ringrazi? ma ringrazia gli agronomi e i genetisti che producono piante buone e produttive e ti fanno mangiare, ringrazia questi di Blu panorama che fanno voli low cost, altrimenti in India a cercare i sufi non ci potevi andare… (è finita penso, ormai sono partito, sento crescere in me quello strano fermento d’ansia, di rabbia e di inquietudine, e di violenza e di arroganza, so che non mi posso più fermare). Le esperienze mistiche chiudono la mente (devo aver alzato la voce, il ritardatario si è girato verso di me), non la aprono, la chiudono in un cerchio, ripetere il nome di dio all’infinito, vorticare su se stessi per stordirsi. Adesso stai giudicando, mi dice. E certo, pure questa facoltà mi vuoi togliere? ti dirò di più: le esperienze mistiche possono essere funzionali solo se vuoi fare l’artista, un attimo d’ordine e di decenza e di decoro, di perfezione, per poi andare verso descrivere il disordine… Ma d’altra parte le esperienze mistiche possono essere sostituite da quelle sessuali, se sono fatte bene. Quindi, l’una vale l’altra. Silenzio. Attento: la passione acceca, mi dice. No, rispondo, quella è l’emozione. La passione è un orientamento nel disordine. Silenzio. Silenzio non sopportabile. Deve essere quello che provava Brandon in Shame. Il silenzio: una prerogativa dell’intimità, ci deve essere qualcosa sotto il silenzio, un sentimento, e solo una persona intima può coglierlo. Ma se quel sentimento è un sentimento di vergogna, allora, mica puoi rischiare che l’altro lo scopra? Sarà come usare un simulatore di volo e provare la caduta, toccare i fili per vedere che effetto fa la scossa, se ci rafforza o ci stende
Chi hai a Palermo, le chiedo? I tuoi? Mia madre, mi dice. Uhm, dico. Ti manca tuo padre? le chiedo? Si volta, mi guarda, poi guarda per terra. Scusa, le dico, sono un po’ stronzo. Sì, mi dice. Sì? Nel senso che sono stronzo? No, cioè sì, sei stronzo, ma sì, mi manca mio padre, e le si rompe la voce (penso, finalmente, qualcosa di rotto e di sano e vorrei prenderle la mano, ma non lo faccio) è morto sei mesi fa… ma non c’entra con lo yoga, quello lo pratico da anni, e non c’entra nemmeno con l’India. E diciamo che non c’entra, dico. Poi aggiunge una cosa sui fidanzati napoletani che ha avuto: stanno solo appresso alla mamma, mai più. Ma non ci penso: è per questo che siamo qui, mi chiedo, nella giungla d’asfalto? che parliamo, che preghiamo, che ci commuoviamo per una versione blues di New York New York? Che scopiamo? un attimo di stabilità emotiva, il nostro cervello si è formato nel paleolitico, archi e frecce nella giungla d’asfalto sono strumenti spuntati.
La credenza nel sovrannaturale è controfattuale, dicono gli psicologi evoluzionisti, e il vantaggio adattativo di questa sospensione della realtà non è del tutto chiaro. Anche la sua origine è molto controversa. Forse ha permesso agli individui di sviluppare una certa stabilità emotiva verso eventi che non si potevano comprendere (come la siccità). I riti, che spesso accompagnano le superstizioni, aiutano a rafforzare l’identità del gruppo. Un gruppo più stabile ha meno paura. E il sesso? Perché si è evoluto, questo strano istinto. Mica è così diffuso in natura. Per la necessità di tollerare i parassiti, pare. Abbiamo poche difese contro di essi (e ce ne portiamo dietro una pletora), il sistema immunitario e il cambiamento genetico. La ricombinazione sessuale può creare, nell’ambito di una singola generazione una nuova combinazione di meccanismi di difesa contro i parassiti. O forse è solo fitness, dobbiamo pur massimizzarlo, dobbiamo pure trasferire i nostri geni, e inventiamo storie per massimizzare il trasferimento. O sarà per lo scandalo della morte: un attimo di piacere, il tentativo di ricombinare i geni contro il dolore della morte? Tante forme di morte, tante ricombinazioni?
Sia come sia, prima di atterrare, lei mi mostra un punto sulla costa. M’avrebbe fatto piacere portarti lì. Dove? Lì, guarda, è un posto fantastico. Vento di coda, un po’ di sballottamenti e siamo a terra. Sulle scale mobili le dico: va bene, ora ci separiamo, tu vai in India, io al corso… E lei, prima di sparire (l’aspettava il fratellone) mi dice: sai cosa mi piace in te? L’unica cosa? Di’, dico. La barba, mi dice. Non è poco. E sai cosa non mi piace? Di’, dico, coraggio. Che sei troppo indiretto. Per i miei gusti fai troppi giochetti, troppi giochetti di potere, dovevi essere più diretto. Si tratta di chimica, non chiacchiere.
Ah! dico. Ma penso: mah?
C’è l’arte concettuale, ho detto al corso, mentre parlavo di letteratura e critica pieno di pathos, molto bella e intelligente, mette in moto il nostro cervello, lo accende, lo eccita, lo apre, ci fa conoscere nuovi mondi e diverse potenzialità, tutte interessanti. E ci sono le bottiglie di Morandi. Sempre uguali. Che tentano disperatamente di differenziarsi dallo sfondo inorganico, di vivere di vita propria e non certo per sempre. La tensione della separazione, di certo, commuove, concentra la mente in un punto preciso. Deve essere un punto di dolore che arriva dal paleolitico, o che ci riguarda e non si può dire, che è meglio cogliere da soli, in silenzio. Un punto che fa scattare l’ansia, qualcosa ti insegue e devi scappare, rifugiarti in una caverna, in una buca, in una poesia, insomma tra braccia accoglienti, fosse anche per un secondo, prima che la fuga riprenda. Tra l’arte concettuale e le bottiglie di Morandi, c’è pure, in mezzo, il sesso, ne sono sicuro, ma adesso non riesco ad argomentare bene la questione.
Ps: poi la sera ho visto Bordone alle Invasioni. Ho pensato: eh, eh, va bene, non ti è piaciuto, se andavi con l’attrice bellissima, forse sarebbe stato diverso.
Pps: naturalmente, domenica sera a Roma, tutto come previsto, fino alle due ad aspettare un taxi. Solo, cioè circondato da indiani appena sbarcati.