Tim Cook, Apple e seguire i propri valori
Nei giorni scorsi Tim Cook è venuto in Italia per ricevere la laurea honoris causa dall’Università Federico II di Napoli. Già che c’era ovviamente ha fatto anche altri passaggi, tra Napoli e Milano. È tutto documentato peraltro sul suo account Twitter.
Ho seguito la diretta della laurea e scritto il mio articolo, ho letto quel che ho visto in giro, e mi è rimasta una strana sensazione. L’idea è che in generale Tim Cook venga seguito dalla stampa in quanto ceo di Apple perché ci si aspettano notizie su nuovi prodotti o dichiarazioni su cause legali, scontri con altri big del tech o potenziali conflitti (come l’Unione europea che vuole che Apple utilizzi uno specifico tipo di cavetto per la carica dei suoi telefoni o la politica internazionale con la Cina). Tutto perfettamente giusto e corretto, per carità. Solo che a me sembra che ci sia anche altro che poi è il motivo per cui voglio fermare qui alcune cose che mi ronzano in testa da un po’ di tempo. Ecco cosa mi sono appuntato.
Il viaggio pubblico di Tim Cook in Italia è cominciato a Napoli: la prima visita è stata allo scultore Jago, che è un artista che lavora ai Vergini, alla chiesa di Sant’Aspreno ai Crociferi. Nel borgo che comprende anche la zona di Sanità Jago, che è di Frosinone, porta avanti volontariamente un discorso che non è solo con il mondo dell’arte ma anche con lo sviluppo di un’area conosciuta per la criminalità e il degrado ma che invece potrebbe e può essere valorizzata e orientata verso la cultura e il turismo. È un discorso che a Jago non conviene portare avanti, ma che ha scelto di fare per convinzione. Un piccolo sasso gettato in un grande stagno che cerca di smuovere le acque e contribuire a un cambiamento non facile ma non impossibile.
Ancora, dopo la laurea alla Federico II e la visita alla Apple Developer Academy che si trova nella città partenopea, Cook è andato a trovare Vio Bebe, medaglia d’oro paraolimpica, che lavora a un progetto in cui gli schermidori con o senza limitazioni, difficoltà o disabilità, incrociano le lame in uno spirito di normalità. L’accessibilità a uno sport è un tema di rispetto, dignità e diritti umani ma anche un fattore di potere. Nel senso di ridare il controllo sulle proprie azioni a persone con differenti abilità. Il potere che deriva dal recuperare la dignità di poter soddisfare in maniera autonoma il maggior numero possibile dei propri bisogni e desideri è enorme.
Infine, a Milano, prima di “andare in ufficio” e nel negozio di Piazza Liberty (il flagship store italiano), Cook è andato in Triennale dove ha incontrato degli artisti il cui lavoro è stato completamente centratosull’emergenza (e la tragedia) della pandemia e del lockdown: l’arte come strumento per lenire l’anima e allontanare un po’ la paura.
Tim Cook riconosce questi valori, impiega il suo tempo per testimoniare questo tipo di riconoscimento (se pensate che un’ora o due di tempo di Tim Cook vengano via a poco prezzo provate a immaginare quanto fattura Apple e quanto costa la “distrazione” dalle attività operative del suo ceo) e sostanzialmente dice una cosa molto semplice: sta alle persone di buona volontà e dotate di valori perseguirli e cercare di fare la differenza.
Qui entra la parte più spinosa del ragionamento. Apple da tempo ha una strategia in cui il ruolo dei valori è centrale. Lo ha ribadito senza nessuna ambiguità Tim Cook: i valori sono la cosa più importante. Noi, dice, cerchiamo i nostri valori più profondi e poi agiamo in modo coerente seguendo quello che pensiamo sia giusto fare. Lo ha detto il Rettore della Federico II di Napoli dandogli la laurea honoris causa: i valori di Apple e quelli della nostra università, che ha 800 anni di storia, sono gli stessi: “Accessibilità, educazione, diversità, inclusione e sicurezza. Gli stessi valori che vediamo nell’azienda guidata da Tim Cook, geniale innovatore i cui meriti nel sostegno della crescita dell’umanità nella giusta direzione di libertà e opportunità per tutti, vogliamo oggi riconoscere”.
È facile fraintendere il racconto di una leadership con un’agiografia. Uomini potenti che si pavoneggiano riempiendosi la bocca di parole “giuste”. Questo caso secondo me è diverso.
È difficile, però, parlare al cuore delle persone soprattutto se l’obiettivo non è l’empatia o la seduzione, come invece è stato per quel geniale innovatore e creatore che è stato Steve Jobs. Jobs aveva un modo di comunicare “caldo”, una capacità di convincere (il “reality distortion field”) enorme ma anche una enorme onestà intellettuale e visione di quel che è importante per le persone e le aziende. La sua capacità di affascinare e persuadere è documentata ad esempio con un discorso famosissimo: Stay Hungry Stay Foolish. Un discorso bello, emotivo, appassionato, e anche molto personale. Rispondendo alla domanda posta (vieni a parlare alle lauree di una università) Jobs ha messo il cuore in quello che per lui era importante dire a una giovane persona, partendo dalla sua esperienza.
Tim Cook è più astratto, meno personale e più sintetico: passa per essere un comunicatore freddo ma, se avete ascoltato ad esempio il suo discorso a Napoli, non solo non lo è, ma offre molti più profondità e significati da cogliere. Cook è un leader che si pone come un adulto davanti ad altre persone senza cercare di sedurle, e parla in maniera diretta, il più semplice possibile, spiegando quali sono secondo lui le cose importanti. E mamma mia se è chiaro quello le dice.
Innanzitutto è al vertice di una azienda che ha una grandissima responsabilità data dalle sue dimensioni: la scelta esplicita è agire per il bene collettivo oltre che per quello dell’azienda e dare l’esempio. Poi quello che propone è la ricerca di valori e l’impegno nel raggiungere gli obiettivi ispirati da questi valori (privacy, inclusività, ambiente). E infine la consapevolezza del momento cruciale in cui ci troviamo, e dell’importanza che hanno le scelte di tutti. Tim Cook propone la scelta che ha fatto e che porta avanti con Apple, cioè essere convinto che la tecnologia non sia buona né cattiva ma che stia a noi considerarla buona e fare in modo che lo sia. E portare avanti una visione positiva e fiduciosa nel futuro e nella natura degli esseri umani come esseri “buoni” e non intrinsecamente “cattivi”. Ricordate i filosofi dei secoli passati che dibattevano su temi come quello se “homo homini lupus”?
Adesso, che il ceo di una delle più grandi, importanti e potenti aziende al mondo abbia questo tipo di atteggiamento e visione secondo me è molto importante. Attenzione, è chiaro che Tim Cook non è un santo da venerare, ma neanche un losco individuo che fa finta di essere un bravo ragazzo mentre in realtà compie efferati crimini di nascosto. Non è l’unico al mondo, ma forse andrebbe riconosciuto che appartiene a un club molto particolare e importante.
Abbiamo infatti conosciuto dirigenti e imprenditori che hanno avuto visioni anche rivoluzionarie, in parte legate anche ai tempi in cui sono vissute: Adriano Olivetti è l’esempio che viene sempre citato in Italia ma nei libri di management ce ne sono molti altri. L’ultimo caso è forse Yves Chouinard, che ha scelti di conferire le quote sue e della sua famiglia di Patagonia (l’azienda che ha fondato e che guida) a una fondazione, che di fatto è l’azionista unico dell’azienda, e devolvere così gli utili per la salvaguardia e la cura del nostro pianeta.
Tim Cook è un leader che, se ascoltate i suoi discorsi o guardate cosa fa con l’azienda che guida, sta cercando di reagire in tempi molto difficili e fare la differenza. Ritiene che la tecnologia abbia un ruolo cruciale ma che questo non sia niente senza la relazione con lo spirito delle arti, vuole dare più potere possibile alle singole persone anziché sifonare valore dalla loro vita, e cerca di proporre la sua visione anche agli altri uomini e donne di buona volontà. Certo, forse annoia il fatto che ci sia inclusività, diversità, privacy, obiettivi estremamente ambiziosi per l’ambiente, anziché effetti speciali, wow, litigi in diretta e scene da operetta. Però questa è la vita vera, non quella messa in scena sui social o nei reality.
Diamo tutti in generale fin troppa attenzione a quanto sarà spessa la videocamera posteriore del prossimo iPhone o se Cook darà finalmente una risposta piccata al concorrente di turno (no, non lo fa). La domanda invece è un’altra: davvero non sappiamo riconoscere un uomo di buona volontà neanche quando è in piena luce su uno dei piedistalli più visibili del mondo?
Certamente non bisogna prendere per buono quel che viene detto dal primo che passa. Ma come giornalista seguo Apple da più di venti anni e Cook dall’inizio: secondo me, dopo tutto quel che ha detto e fatto, siamo davvero di fronte a un uomo di buona volontà che sta cercando di fare la differenza. E penso che sia importante esserne consapevoli.