UFO Robot Grendizer (UFOロボ グレンダイザ)

Nel nostro corso tematico di lingua giapponese prima o poi dovevamo passare da qua, quindi meglio prima che poi.

UFO Robot Grendizer (Yūfō Robo Gurendaizā, UFOロボ グレンダイザ) è un cartone animato giapponese. In Giappone i cartoni animati si chiamano “anime” (アニメ), che è l’abbreviazione di animēshon (アニメーション), il prestito verso il giapponese della parola inglese animation, cioè “animazione”, per come si pronuncia non per come si scrive. È un neologismo nato negli anni Sessanta, perché precedentemente i cartoni animati, e qualsiasi altra forma di animazione a disegni, era chiamata dōga eiga (動画 映画), cioè “film animato”, o manga eiga (漫画 映画) cioè “film di fumetti”. I più versati (e ipermetropi) avranno riconosciuto la parola manga (漫画), cioè quelle che a partire dal Settecento giapponese erano le “immagini derisorie”, famose anche da noi per via delle “Hokusai manga” dei primi dell’Ottocento del celeberrimo Katsushika Hokusai (葛飾 北斎).

Torniamo a Yūfō Robo Gurendaizā, che è stato trasmesso dalla televisione italiana quando ero in seconda elementare, il 4 aprile 1978, con il titolo di Atlas UFO Robot, alias Goldrake. In Giappone era stato trasmesso nel 1975 da Fuji Tv ed era il terzo capitolo della saga creata da Kiyoshi Nagai, meglio conosciuto come Go Nagai (Nagai Gō, 永井 豪), che è nota in originale come saga dei Mazinger (Majingā, マジンガー) cioè i nostri Mazinga Z e Grande Mazinga.
Qui, in questo apparentemente innocente cartone di robottoni giapponesi, in questa storia delle origini di bambini dimenticati da tutti (il mio cluster demografico), c’è l’equivoco di una generazione: da noi in Italia si credeva che UFO ROBOT Grendizer fosse il primo, il più importante e soprattutto che fosse chiamato in un modo parzialmente diverso.
Infatti, il buon Yūfō Robo Gurendaizā era stato tradotto per i funzionari della Rai come “Atlas UFO Robot”, prendendo una di quelle micidiali cantonate in fase di traduzione che accompagnano i lavori fatti con lingue sconosciute o malamente frequentate. Con il giapponese è anche comprensibile, per carità. Solo che qui l’errore è stato fatto con il francese.
La serie dei cartoni infatti arrivava dalla Francia e fu una certa Nicoletta Artom, che comprò il prodotto per la Rai, che, quando ebbe tra le mani la brochure accanto alla proposta commerciale, pensò che “Atlas UFO Robot” fosse il nome del programma, anziché quello francese del volantino. Volantino che invece suonerebbe in italiano come “La brochure di UFO Robot”. Sia come sia, il “regalo” fu sostanziale perché ci sono due o meglio tre generazioni che sono poi cresciute all’ombra dei “sūpā robotto” (スーパーロボット) di Go Nagai e dei suoi epigoni. E tutti hanno pensato che Goldrake si chiamasse “Brochure del robot volante non identificato” o qualcosa del genere. Considerando che poi mangiava libri di cibernetica, insalate di matematica e a giocar su Marte va, non poteva andare molto diversamente (Dico solo: “luicifàaa”).

In Giappone il fenomeno creato da Go Nagai venne quasi subito bilanciato dall’altra corrente di robot: nel 1979 nacquero i “real robot” (riaru robotto, リアルロボット), tra cui spiccano ovviamente Gundam (Kidō Senshi Gandamu, 機動戦士ガンダム) e Macross (Chōjikū Yōsai Makurosu, 超時空要塞マクロス), che erano più “realistici” (da qui il nome) dei robottoni alla Goldrake.
Ho immagini piuttosto annebbiate ma coerenti di una sera in cui ero bollito dal jetlag e dall’eccesso di bīru (ビール, la birra) accompagnato da un mix di spiedini di pollo, pochi ma buonissimi, in un locale di un conoscente delle dimensioni del corridoio di casa mia, cinque o sei piani sotto le partenze di una stazione della JR di Tokyo.
Ricordo di aver cercato di intavolare una discussione sui robot dell’infanzia in un mix di inglese, giapponese e italiano con due amici di Tokyo della mia stessa età che condividevano la stessa base culturale (Nagai e Tomino Yoshiyuki, cioè 富野由悠季)  senza riuscire ad andare da nessuna parte. Voglio dire: “Gandamu” e “Makurosu”, ma scherziamo? E “Yūfō Robo Gurendaizā”, poi? Impossibile.
Così, il campo che avvicina maggiormente la mia generazione (perduta) al Giappone e al suo equivalente demografico ha in realtà un divario lessicale praticamente incolmabile. Peccato. Tuttavia, anche loro si sono persi le sigle di “Actarus“, il gruppo dietro al quale c’erano Vince Tempera (talento musicale enorme) e Fabio Concato, tra gli altri. Altrettanto peccato. Invece, gli yakitori (cioè i “volatili alla griglia”, やきとり) erano buonissimi.


Con questo piccolo dizionario tematico di giapponese voglio condividere non tanto una competenza linguistica, quanto una esplorazione intellettuale di un altro modo di pensare e rappresentare le idee con le parole. Non sono un parlante giapponese e quindi è possibile che ci siano micro e macro imprecisioni: se le notate e le segnalate le correggo volentieri e mi considero arricchito dal vostro aiuto.

Nota ulteriore per gli appassionati del genere, e gli impazienti: nella mia newsletter gratuita Mostly Weekly pubblico ogni domenica, fra le altre cose, anche un’altra parola giapponese nella sezione chiamata in modo appropriato “Yamatologica” di cui queste sono versioni ulteriori arricchite.


(Nota per gli appassionati del genere e gli impazienti: nella mia newsletter gratuita Mostly Weekly pubblico ogni domenica, fra le altre cose, anche un’altra parola giapponese nella sezione chiamata in modo appropriato “Yamatologica”)

Antonio Dini

Giornalista e saggista, è nato a Firenze e ora vive a Milano. Scrive di tecnologia e ama volare, se deve anche in economica. Ha un blog dal 2002: Il Posto di Antonio