Molte aquile ho visto in volo
Sono anni che mantengo un flusso di letture più o meno costante su cose che riguardano il volo. Come sa chi frequenta questo blog, sono appassionato di aerei (solo civili, non militari) e trasporto aereo. Nel tempo ne ho anche scritto e continuerò ovviamente a farlo. La cosa che mi piace di più, oltre a volare ovviamente, è leggerne. Pochi giorni fa ho incontrato un libro molto particolare. Innanzitutto è italiano: ci sono solo pochi buoni libri nostrani sul volo: non tantissimi e soprattutto raramente pubblicati da editori mainstream (una volta potrebbe valer la pena parlarne). In questo caso invece l’editore è Baldini + Castoldi e il libro si intitola Molte aquile ho visto in volo, di Filippo Nassetti.
Qui la storia diventa complicata: Filippo lavora per Alitalia, come già faceva suo fratello, Alberto, che era pilota e fu il primo in famiglia ad avere la passione per il volo. La storia di Alberto, morto nell’incidente aereo di Tolosa del 30 giugno 1994, è qualcosa di più però che non un lutto privato di Filippo e della sua famiglia. Alberto aveva quasi compiuto 28 anni e la sua storia ha lasciato una traccia nell’aviazione italiana che adesso suo fratello Filippo ha rimesso assieme, legandola a quella di altri piloti che vengono raccontati con un profilo unico, a metà tra il racconto giornalistico (il pane quotidiano di Filippo, che si rivela miglior narratore di molti giornalisti con i quali negli anni ha collaborato) e il memoriale intimo.
Molte aquile è questo: il racconto della vita di Alberto Nassetti e quella di un pugno di piloti che sono il sale dell’aviazione: quegli uomini (e quelle donne) che quasi non vediamo più perché ormai siamo di fretta, abituati all’idea che gli aerei partano con millimetrica precisione, pronti a protestare per qualsiasi ritardo o contrattempo. Assolutamente disinteressati ai piloti, i tecnici che attraversano in divisa i corridoi degli aeroporti, con la loro valigetta o il loro trolley, che stanno chiusi davanti, nella cabina di pilotaggio, con le loro camicie bianche a maniche corte, i cappelli così demodé: ancora vestiti con quello stile inventato da Pan Am prima della guerra per dare dignità e immagine a un mestiere in realtà complesso, frutto di una passione assoluta, di una dedizione completa, di tecnica e di mestiere. Le divise dei piloti e i loro gradi echeggiano volutamente, da quasi cento anni, quelle degli ufficiali di Marina. E portano avanti il loro ruolo provenendo dalle strade più diverse: l’Aeronautica militare, l’accademia dei piloti (quella di Alitalia è tra le più rinomate al mondo), le tante scuole di volo che è possibile seguire per ottenere i punti necessari all’esame per il brevetto di volo e le abilitazioni di pilota di linea.
Alberto, come tutti noi, era molte cose: pilota, sportivo, amante della fotografia (belle le immagini in bianco e nero scattate alle isole Barbados) e amante della poesia. Ne scrisse una, profetica, pochi anni prima della morte, dalla quale il fratello Filippo ha tratto il titolo del libro:
Molte aquile ho visto in volo,
Ali maestose sfidare il suolo.Rapaci solitari incontro al sole,
Imperiali figure sfrecciare nelle gole.Ancora a lungo li vedrò.
Poi, con loro, io morirò.
Poi, Alberto doveva già morire nel 1992: gli venne diagnosticato un tumore al cervello, venne operato e riuscì non solo a superare l’intervento ma addirittura a recuperare al 100% le funzionalità psico-fisiche al punto da diventare il primo pilota di linea al mondo a rientrare in servizio dopo questo tipo di operazione. La fine arriverà pochi anni dopo quando, assieme al suo amico e collega Pier Paolo Racchetti (c’è anche lui, nel libro di Filippo), sale come ospite per un volo di collaudo che si svolge nella pista di Tolosa, presso gli stabilimenti francesi di Airbus.
Il 30 giugno i due piloti di Alitalia salgono sull’Airbus A330 registrato come F-WWKH e di proprietà di Thai Airways, con meno di un anno di vita. Registrato come volo Airbus Industrie 129, l’aereo si schianta dopo 36 secondi, alle 17:41. Quel pomeriggio l’A330 stava simulando la risposta in caso di guasto a uno dei due motori quando una serie di problemi portarono alla perdita di velocità e, per un errore del pilota, alla perdita totale del controllo e al successivo schianto. La storia è raccontata chiaramente su Wikipedia.
Ad Alberto e a Pier Paolo Alitalia ha dedicato due aerei di linea. Prima erano due Boeing 767 ora non più di Alitalia (sono stati riconsegnati alla società di leasing e passati alla brasiliana Tam), adesso sono due Boeing 777 di proprietà di Alitalia: I-DISU (Madonna di Campiglio – Alberto Nassetti) e I-DISE (Portofino – Pier Paolo Racchetti). L’Enac inoltre ha dedicato due vie dell’Aeroporto Leonardo da Vinci ai due piloti e io, ogni volta che vado negli uffici di Alitalia mi chiedo come si debba sentire Filippo quando va a lavorare, visto che Alitalia attualmente ha sede legale là, in via Alberto Nassetti, Fiumicino 00054 RM.
Le storie di Molte aquile ho visto in volo appartengono a un genere che si chiama “storia orale” più che memorialistica. Perché c’è un grande lavoro di studio e analisi delle informazioni raccolte da Filippo dietro al racconto delle persone e delle famiglie che girano attorno alla eccezionale quotidianità dei piloti. Il maggior pregio del libro, secondo me, è infatti non solo aver messo un punto fermo sulla storia di Alberto, che con la famiglia Nassetti fa da filo che unisce e abbraccia tutti i racconti degli altri piloti a partire da quello di Pier Paolo, raccontato dal figlio Pier Francesco, nato un mese dopo la scomparsa del padre e diventato a sua volta pilota di linea per Ryanair. Ma anche di aver saputo tessere una trama di storie, di uomini, di fatti che non troverebbero altro sbocco, altro sfogo.
Andare a mangiare una volta alla mensa aziendale di Alitalia a Fiumicino, che è tutt’altro che un luogo lussuoso, vuol dire incontrare la gente della compagnia aerea: da chi lavora negli uffici a chi sta sulle rampe agli equipaggi e ai piloti. E si trova conferma che i piloti, anche non volendo, sono le creature più particolari del gruppo. Si può far parte di un equipaggio, o magari lavorare negli uffici, o a bordo pista, lavorare in posizioni di grande importanza e responsabilità o fare cose umili: non importa. I piloti, comandanti o copiloti, sono quelle straordinarie figure di tecnici animati da un sogno e da una passione che consente loro di fare una cosa per me quotidianamente incredibile: far volare gli aerei di linea. Si possono trovare comandanti che sono stati solisti delle Frecce Tricolori, altri che sono diventati campioni nazionali o internazionali di sport, navigatori in solitaria che quasi stringono tra le mani il record di velocità nella traversata a vela dell’Atlantico, e altri ancora che fanno lavori da dirigenti coordinando centinaia di persone con responsabilità da far impallidire gli amministratori delegati di multinazionali pagati ogni mese dei patrimoni, e mille altri. Ma si trovano soprattutto uomini e, per fortuna, sempre più donne, che stanno dando vita ai loro sogni.
Filippo con Molte aquile ho visto in volo va oltre la memorialistica, il giusto ricordo del fratello e della storia della sua famiglia, quattro fratelli che si spostano con la madre seguendo il padre, ingegnere di Ibm. Da un lato c’è questa storia, intima e privata, ma trattata con lucidità e attenzione da Filippo, con un passo da narratore che avverte fortemente il bisogno di comunicare e raccontare qualcosa e non lasciare che scompaia come mille e mille storie famigliari prima di lei. Dall’altro c’è una ricerca più ampia, un tentativo di identificare un senso che va oltre la vita e il ricordo di Alberto e che racconta invece l’umanissimo desiderio di raccontare cosa il fratello rimasto ha capito della passione che anima chi fa volare gli aerei e nello scoprire le storie di altri uomini che continuano a viverla.
Come scrivevo al principio, ci sono solo pochi buoni libri nostrani sul volo: non tantissimi e soprattutto raramente pubblicati da editori mainstream. E io oltretutto sono un lettore lento, affaticato dopo un anno difficile per tutti, e ci ho messo un po’, tra una cosa di lavoro e l’altra, a finire Molte aquile ho visto in volo. E se devo dirla tutta, mi dispiace averlo finito. Perché era la mia lettura serale, che apriva ogni volta un capitolo nuovo, un personaggio nuovo, un passaggio nuovo. Una serie di storie in cui i tratti amari e tristi sono già noti, e dove si possono solo scoprire piccole gioie, rimpianti e soprattutto una grande passione che, nel mio piccolo, risuona anche in me.