Buonanotte, vecchio Triple Seven
Pian piano, uno dei giganti dell’aria, il primo della sua razza, è andato a dormire. Per sempre.
Il Boeing 777-200 con registrazione B-HNL, il primo di una famiglia alquanto prolifica, è uscito dallo stabilimento di Everett, nello stato di Washington, nel 1994. Dopo un lungo periodo per voli sperimentali, è entrato in servizio con la Cathay Pacific nel 2000 e ha volato a lungo per la compagnia di Hong Kong. Lo scorso maggio è uscito dalla linea di volo: la sua ultima tratta “di lavoro” è stata fra la Corea del Sud e Hong Kong. Successivamente, il 19 settembre, B-HNL è atterrato a Tucson, in Arizona, per entrare nel Pima Air & Space Museum dove ragionevolmente rimarrà per tantissimo tempo.
Una questione di numeri e di lettere
Il 777-200 con registrazione B-HNL (la “targa” degli aeroplani, che si legge sulla parte posteriore della fusoliera, in parte sull’impennaggio di coda o nello sportello del ruotino anteriore) ha come numero di serie 27116 LN:1 (line number 1) WA001. Questo vuol dire che è la macchina numero 27.116 nella produzione di Boeing, la prima della sua linea. Il tipo è un 777-267: il “triple seven” serie 200 ha come parte terminale il “customer code” 67, che corrisponde alla Cathay Pacific. Il codice è compreso nella prima sequenza di numeri (da 21 a 99, con Boeing al 20 e Pan Am al 21) pensato dall’azienda americana per indicare i suoi clienti. Ci sono state in tutto cinque sequenze (da 21 a 99; da 01 a 19; da A0 a Z9; da 0A a 9Z e infine l’ultima sequenza da AA a ZZ, con ZS assegnato alla compagnia aerea siberiana S7 Airlines e ZW mai rivelato) e poi nel 2016 Boeing ha deciso di cambiare. Ha scelto infatti di abbandonare questo sistema di marcatura del tipo degli aerei, una codifica peraltro mai applicata ai 787, ai 737 Max e ai futuri 777X. Invece, per i modelli precedenti, l’ultimo numero di fusoliera marcato con il codice cliente è stato: per i 737 Next Generation il numero di linea 6082; per i P-8 Poseidon il numero di linea 6020; per i 747-8 il numero di linea 1534; per i 767 il numero di linea 1102 e infine per i “nostri” 777 il numero di linea 1422.
Questo nuovo approccio senza codice cliente serve a semplificare più che a mettere ordine tra le modalità di riconoscimento degli aeroplani (a differenza della registrazione il numero di linea e il codice cliente non possono essere cambiati) e permette anche di tenere di conto della sempre più grande presenza delle società di leasing, che acquistano, registrano e poi danno alle compagnie aeree i velivoli con formule sempre diverse di noleggio-affitto-leasing (ci sono un crescente numero di queste formule, dal “wet leasing” al vero e proprio noleggio senza riscatto).
Inoltre, stavano anche finendo le combinazioni di numeri e lettere, cosa non secondaria secondo me.
Una digressione
Cathay è una strana compagnia aerea: si occupa prevalentemente di lungo raggio (anche se fa parecchio traffico nel sud-est asiatico di medio e anche corto raggio) con una flotta di aerei wide-body (a fusoliera larga, come si dovrebbe dire in italiano) cioè: 34 Airbus A330-300, 25 Airbus A350 tra -900 e -1000, e infine 69 Boeing 777 tra gli originali -200, e i più nuovi -300 e -300ER. In totale, vengono servite 77 destinazioni differenti più i vari accordi di code sharing con partner locali e con il circuito OneWorld.
Cathay ha una filiale che fa cargo (Cathay Pacific Cargo, con 20 Boeing 747 54a -400ERF e -8F) e due affiliate: Air Hong Kong (14 macchine piuttosto vecchiotte per fare trasporto merci espresso in 12 destinazioni diverse su nove paesi) e Cathay Dragon (47 aerei per il medio e lungo raggio: da Airbus A320 e A321 fino agli A330-300). In tutto, la compagnia aerea di bandiera di Hong Kong, che gestisce anche altre attività connesse (dai servizi aeroportuali al catering di bordo), è la decima al mondo per vendite e la numero 14 per capitalizzazione di mercato. Ha trasportato 27 milioni di passeggeri e 1,8 miliardi di tonnellate di cargo nel 2010.
Cathay è stata fondata il 24 settembre 1946 da Sydney H. de Kantzow (australiano di origini polacche e svedesi) e Roy C. Farrell (americano), due personaggi che la metà della vita di uno basta a riempire quella di molti di noialtri. Roy e Syd erano due reduci della seconda guerra mondiale, due piloti che avevano volato parecchio: Syd per il 45mo squadrone della RAF e poi per la Cnac, dove aveva conosciuto Roy. La China National Aviation Corporation (Cnac) era la compagnia aerea (a un certo punto nazionalista) cinese fondata a Nanchino, in parte espropriata dal partito comunista (nella parte comunista della Cina) e in parte spostata a Shanghai e poi Hong Kong, per essere basata infine a Taiwan, in una traiettoria tra le più avventurose della storia dell’aviazione che inizia nel 1929 e arriva sino alla fine degli anni Quaranta.
Madame Chiang Kai-shek, cioè Song Mei-ling, la moglie di Chiang Kai-shek, aveva una predilezione e fiducia assoluta per Syd e voleva solo lui quando doveva spostarsi in aereo. Entrambi i piloti, però, come se non bastassero avevano volato sulla gobba, sulla collinetta, insomma su “The Hump”, cioè l’Himalaya.
Stiamo parlando di una pagina incredibile della storia dell’aviazione civile: il ponte aereo stabilito nel 1942 per rifornire lo sforzo bellico cinese di Chiang Kai-shek e le unità degli Stati Uniti Forze aeree dell’esercito degli Stati Uniti (AAF) con base in Cina mentre combattevano contro i giapponesi. “The Hump” era il nome dato dai piloti alleati nella Seconda Guerra Mondiale all’estremità orientale delle montagne dell’Himalaya su cui volavano aerei da trasporto militare dall’India alla Cina per portare i rifornimenti. I nostri due piloti si erano distinti in quelle missioni che avvenivano attraverso montagne enormi (gli aerei non volavano abbastanza alti per schivarle e dovevano intrufolarsi tra valli e picchi), in condizioni climatiche avverse, spesso di notte, senza ovviamente radar, esposti alla caccia avversaria dei giapponesi e alla contraerea di varie parti in causa.
La strana coppia di piloti aveva ricevuto varie onorificenze per le sue attività di “India–China Ferry” e contribuito a portare 650mila tonnellate di viveri, merci e materiale bellico durante 42 mesi di operatività e con perdite pesantissime da parte di questa serie di operazioni avventurose. La struttura messa in piedi con nomi diversi per volare su “The Hump” fu la prima organizzazione aerea non militare a ricevere il 29 gennaio del ’44 la President Unit Citation direttamente dal presidente FD Roosevelt.
La digressione prosegue
Aereo preferito per queste operazioni di ponte: il C-47 Skytrain. Al termine dei “lavori” i nostri due piloti si ritrovarono a Shanghai. Roy, che in seguito sarebbe andato nelle Filippine e infine tornato in Texas diventando un petroliere e vendendo le sue quote di Cathay nel 1953, era la mente imprenditoriale. Aveva già provato a comprare prima una nave merci e poi un vecchio Dakota come quelli con cui volava per la Cnac: il C-47 “Betsy”, che a oggi riposa al Museo della scienza di Hong Kong (così, se vi capita di passare, sapete cosa andare a vedere). Lo comprò di terza mano nel New Jersey e poi si fece un lungo giro, passando dal Sud America, Africa, India e Cina per arrivare infine a Shanghai assieme all’equipaggio di reduci che aveva assunto per la sua compagnia aerea merci.
Ne comprò subito dopo un secondo, visto che gli affari andavano bene: un altro DC-3 (la versione civile del C-47) chiamato “Niki”, che non si sa che fine abbia fatto, anche se il dipinto che lo ritrae è esposto negli uffici della Cathay di Hong Kong.
Invece Syd era quello che amava la velocità: morì nel 1957 in un incidente d’auto mentre guidava la sua macchina sportiva, dopo che nel 1951 si era licenziato da Cathay – viveva di rendita con le azioni in suo possesso – ed era andato ad abitare in Europa. Syd pilotava gli aerei dell’azienda fin dall’inizio. E li pilotava molto bene. La compagnia venne fondata a Shanghai ma subito trasferita Hong Kong, dove i due uomini si erano spostati, ed era stata chiamata “Cathay Pacific Airways”, prendendo sia l’idea che un giorno si sarebbe volato attraverso l’Oceano Pacifico, sia il vecchio nome arcaico della Cina, quel Catai di cui parla il Marco Polo di Italo Calvino nelle Città invisibili quando incontra l’imperatore dei Tartari Kublai Kahn (il Gran Kahn, per intendersi).
In cinese la Cathay Pacific Airways viene scritta con una serie di ideogrammi (國泰航空) che significano “Stato grande e pacifico” oltre che “compagnia aerea” (cioè “barca che passa sul vuoto”, mi dicono i miei consulenti di cinese), traduzione complessivamente in linea con il modo utilizzato per creare l’equivalente cinese dei nomi occidentali.
Torniamo a noi, cioè al 777
In linea con il suo motto, “Life Well Travelled”, Cathay ha fama di essere una compagnia aerea di eccellenza con una qualità del servizio da sogno e una delle mete più esotiche della storia, cioè Hong Kong, a lungo la principale porte dell’Impero di Mezzo nonché avamposto dell’Impero britannico. Oggi è di proprietà di uno dei gruppi di tai-pan: il gruppo Swire (fondato nel Settecento da un avventuriero e imprenditore britannico) con enormi interessi in Cina e dintorni, che ci tiene ad avere il suo logo e il nome stampigliato sulla parte posteriore della fusoliera dei suoi aerei.
Adesso però Cathay è diventata meno leggendaria e la stessa Hong Kong è meno “favolosa” e più reale, quasi banale. La città si raggiunge più facilmente e, nonostante sia affollata e costosa come sempre, è diventata satellitare rispetto alla Cina, che ne ha ripreso possesso nel 1998. Purtroppo ha anche chiuso il vecchio (e pericoloso) aeroporto di Kai Tak (nel cuore acquatico della città, davanti a Quarry Bay nel cuore della Victoria Harbour), sostituito dal moderno aeroporto di Chek Lap Kok posto sull’isola di Landau e collegato da traghetti e treno veloce. La proprietà della compagnia aerea è diventata più internazionale (ci sono dentro Air China e Qatar Airways oltre a Swire Pacific). Ma una “vita ben viaggiata” richiede begli aerei e, come Pan Am è stata strumentale nell’influenzare il laboro di Boeing per la progettazione degli Boeing 747 a fine anni Sessanta (con i quali Cathay ha volato per 37 anni, dal 1979 sino al 2016), così la stessa Cathay più di venti anni dopo è stata una delle compagnie-chiave per dettare a Boeing le specifiche del “triple seven”.
Qui, un’altra digressione che ci sta sempre bene.
Il sogno di un bambino giapponese
Nella mia piccola collezione di modelli di aerei di linea in metallo pressofuso, a mio personale gusto spicca un 777-200 V2 con una livrea speciale. È il modello del “Rainbow Sevens” (o “Rainbow 777”) della JAS, la Japan Air System, la più piccola delle “big three” giapponesi (le altre due sono JAL e ANA), inghiottita dalla Japan AirLines il 1 ottobre del 2006. Nel 1996 la compagnia lanciò un concorso a premi per chi avesse proposto la livrea migliore per il suo 777-200 V2. Parteciparono da 42 paesi la bellezza di 10.364 persone con età comprese fra i tre e gli 84 anni (i giapponesi sono persone precise nel tenere i conti e fare le statistiche, forse per questo amano il baseball) e un panel di giudici di eccellenza anche se un po’ ortogonali al mondo dell’aviazione civile (Akira Kurosawa, Masuo Ikeda, Kenshi Hirokane, Yoshiko Sakurai, Yusuke Kaji e altri) assegnò il premio a Masatomo Watanabe, un ragazzino di 13 anni che aveva ideato una livrea semplice, molto economica da realizzare, ma intrigante.
L’aereo venne pitturato e inaugurato nell’aprile del 1997, in occasione del 25mo anniversario della compagnia aerea. Era il primo Rainbow Sevens, primo della serie di 777 e poi di MD90 che vennero attrezzati con questa livrea: l’aereo fu dipinto in euro-white (la soluzione più economica e leggera che non sia il color alluminio della fusoliera “nuda”) con un arcobaleno che si avvolgeva in due spire attorno alla fusoliera, terminando in una sorta di ironico sorriso sotto il “naso” dell’aereo (il radome, la cupoletta che copre il radar, crasi di “radar” e “dome”) e con un cerchio rosso sul lato destro – il Sol Levante della bandiera giapponese – che sembrava una gota arrossata o imbellettata. Visto che gli aerei, come le navi, nella maggior parte delle lingue sono al femminile, una specie di piacevole e sorridente, forse ammiccante figura che strizza l’occhio alle maschere tradizionali giapponesi.
Non era uno dei miei primi modelli ma ne venni completamente rapito e ancora oggi lo considero una delle mie cose più belle e preziose. Non sapevo niente della Toa Domestic Airlines, nata nel 1971 dalla fusione tra Toa Airways e Japan Domestic Airlines, focalizzata solo ai voli nazionali: diventata JAS nel 1981 quando si aprì ai voli internazionali, e che poi acquistò quasi un miliardo di dollari di 777 cercando di conquistarsi un suo mercato, ebbe vari rovesci e sfortune, e venne piallata dalla crisi del trasporto aereo seguita all’11 settembre del 2001, che portò pochi anni dopo all’acquisizione da parte della JAL cui dicevo sopra.
Fu con quell’aereo, con quel modellino in scala 1:500, che mi innamorai del 777. Fu da lì che poi cercai di studiare meglio la storia di quello che per me è il secondo Boeing più bello di sempre (il primo ovviamente è il Jumbo Jet, anche per motivi anagrafici, mentre il terzo è il 787).
Pensionato d’eccezione
Alla fine torniamo all’aereo di Cathay Pacific, con ancora negli occhi la livrea antica di JAS, sogno di un ragazzino giapponese, capace di donare leggerezza e personalità a una macchina che costa tra i 260 e i 300 milioni di dollari prima della inevitabile scontistica.
Torniamo al primo 777, costruito nel 1994 con motori Pratt & Whitley PW4090 poi cambiati con i più moderni (e performanti) Rolls Royce Trent 884. Autonomia da lungo raggio, con 5240 miglia nautiche sotto le ali, il primo aereo di linea totalmente fly-by-wire, con il glass cockpit nato in ambiente militare e il primo aeroplano progettato completamente con un sistema di CAD, per la precisione con il software “Catia” realizzato ad hoc da Dassault Systemes e da IBM (che poi si separarono, perché Dassault è francese ed è diventata fornitrice di Airbus).
Il progetto del 777 era nato negli anni Settanta come concept a tre motori nella seconda generazione degli aerei wide-body. Dopo il lancio della prima generazione, cioè dei Boeing 747, McDonnell Douglas DC-10, e del Lockheed L-1011 TriStar, sia gli europei della nascente Airbus che le aziende americane si preparavano al rilancio con un secondo atto ancora più potente, visto che intanto era nato il turismo di massa e la gente voleva volare.
Nel 1978 Boeing mise fuori tre idee: il narrow-body 757, il wide-body 767 e il trimotore 777. Era il 1978, come detto. C’erano gli shock petroliferi, c’era venti di guerra e di contestazione, ma il business del trasporto aereo è sempre giocato sul medio-lungo periodo e quindi si progettava per il domani. I primi due aerei furono subito approvati e avviati alla produzione: Boeing 757 e Boeing 767, dotati di un pacchetto di communalities che aiutavano ad abbassare i costi operativi e la certificazione dei piloti.
Intanto, il progetto del trimotore si arenò. E bisogna dire per sua fortuna. Infatti c’erano in ballo i famigerati Etops, il sistema che dagli anni Ottanta consente agli aerei bimotori di volare per distanze sempre maggiori e periodi sempre più lunghi in aree del cielo prive di piste secondarie dove atterrare in caso di problemi ai motori (ne ho già parlato qui). Gli Etops stavano diventando sempre più permissivi grazie alle nuove tecnologie e aprivano la strada a un importante cambio di passo che avrebbe mandato in pensione rapidamente i trimotori e messo una pesante ipoteca anche sui colossali quadrimotori, che a parità di tutto il resto rispetto a un bimotore consumano fisiologicamente di più. Fu una fortuna soprattutto per il Boeing 767, che iniziò una carriera d’oro proprio grazie agli Etops.
Dopo che fu passato un po’ di tempo, quasi una decina d’anni, Boeing riprese in mano il progetto di un aereo più grande con soli due motori: l’idea era di rifare qualcosa di già edito cambiandolo un po’: un 767-X, che però aveva caratteristiche contrarie o quantomeno diverse da quelle che le compagnie aeree volevano. Mentre Boeing pensava sostanzialmente a un 767 un po’ più lungo (che portasse un numero di passeggeri compreso tra i 269 dei Boeing 767-300 e i 420 dei Boeing 747-400), le compagnie aeree volevano un bimotore molto più grande, con fusoliera più grande, più posto per i passeggeri, più flessibilità d’impiego e d’allestimento, interni completamente riadattabili, usabile sia nel corto raggio (per le aree di traffico molto dense) che nel lungo raggio (con grande autonomia), cioè con motori più grandi ed efficienti per il lungo raggio ma potenti per il corto.
Mentre la McDonnell Douglas (all’epoca non ancora inglobata da Boeing) annunciava di voler rimpiazzare il DC-10 con il trimotore MD-11 e Airbus lanciava il progetto degli A330 (bimotori) e A340 (quadrimotori) Boeing cominciò a presentare alle compagnie aeree a partire dal 1986 la sua idea di come sarebbe stato questo nuovo aereo bimotore per il medio-lungo raggio. Ma le cose non andarono come le altre volte. Infatti, per la prima volta otto compagnie (la “Gang of Eight”: All Nippon Airways, American Airlines, British Airways, Cathay Pacific, Delta Air Lines, Japan Airlines, Qantas e United Airlines) ebbero un ruolo formale e sostanziale nello sviluppo della nuova piattaforma. Era la nascita del modello “Working together” creato apposta per questo progetto da parte di Boeing, che cambiava completamente prassi e passo del settore (dove prima si facevano gli aerei e poi si vendevano alle compagnie, senza mescolare i ruoli). Si lavorò cioè insieme, ognuno dettando specifiche e decidendo se accettare o no quelle proposte dagli altri. La nuova piattaforma venne identificata nel 1988, la prima offerta pubblica alle compagnie aree venne fatta l’8 dicembre del 1989 e a partire dal gennaio del 1990 cominciarono a fioccare gli ordini.
La compagnia di lancio (con 34 ordini) fu la United Airlines. L’ordine venne scritto a penna su un foglio di carta legale giallastra (quella tipica dei blocchi da quattro soldi) e firmato dagli executive di Boeing e United il 15 ottobre 1990. Il foglio, passato alla storia, è chiamato “The B777 Objectives”. United aveva voluto che fosse messo per iscritto che il nuovo aereo potesse essere impiegato su tre rotte in particolare: da Chicago alle Hawaii, da Chicago all’Europa e in volo non stop da Denver (aeroporto particolare perché in quota e molto caldo, quindi bisogna decollare particolarmente leggeri) sino alle Hawaii. Due settimane dopo il board di Boeing approvò il programma. Fu una mossa coraggiosa, perché il bimotore avrebbe sicuramente cannibalizzato le vendite del Boeing 747, come poi effettivamente ha fatto. Ma meglio cannibalizzarsele da soli che farsele mangiare da qualcun altro, no?
I lavori di progettazione cominciarono e, il 28 settembre 1992 6.500 dipendenti di Boeing vennero trasferiti da Renton (dove si producono gli aerei “narrow-body”) a Everertt. Era il 777 team e il trasloco segnava l’inizio della fase di produzione nella linea di montaggio dell’aereo.
Intanto, nella Gang of Eight il ruolo di Cathay fu quello di ottenere una fusoliera con un diametro ancora più ampio, che è uno dei motivi per cui sia per il cargo che per il trasporto passeggeri il 777 ha doti uniche. Ma nel gennaio del 1993 vennero convocati ad Everett i team di oltre 240 compagnie aeree di tutto il mondo, che, assieme agli ingegneri di Boeing, passarono punto per punto più di 1.500 elementi critici del progetto, arrivando a un consenso molto ampio.
Il 4 gennaio 1994 iniziò la produzione e il 9 aprile dello stesso anno “nasce” il pre-serie WA001, che viene battezzato con una cerimonia a cui partecipano centomila persone: illuminato come una star in un hangar di Everett, tra gli applausi, i discorsi, la musica e le celebrazioni (si mangiò anche molto bene e all’aperto, vista la bella giornata). A partire dal 12 giugno iniziarono 11 mesi di voli di certificazione (il battesimo dell’aria durò 3 ore e 48 minuti, il più lungo fino a quel momento per un velivolo Boeing) che culminarono con la doppia certificazione FAA e JAA: il Triple Seven WA001 fu il primo aereo a ottenerle entrambe nello stesso giorno.
Il primo apparecchio “di serie” però sarà un altro e verrà consegnato a United il 15 maggio del 1995. Invece il WA001, la cui registrazione originale è N7771 perché venne fatta coda Boeing come proprietaria presso l’ente di registrazione americano (la “N” indica gli Stati Uniti, i tre 7 il tipo di aereo e l’1 il fatto che sia il primo della famiglia: facile no?) rimase a Everett per fare altri test, come dimostratore e per sperimentare altre soluzioni aerodinamiche. In un periodo piuttosto lungo, che si conclude nel 1997, il WA001 ha totalizzato 1.729 ore di volo e 1.033 ore di test a terra.
Nel 2000 i motori originali del N7771 vennero cambiati con due Rolls-Royce RB211 Trent 884B-17 e, dopo essere stato verniciato e allestito a partire dal 31 ottobre 2000, il 6 dicembre 2000 volò a Hong Kong per prendere ufficialmente servizio con Cathay con la nuova registrazione B-HNL rilasciata da Pechino (B infatti sta per “Cina”).
Arriviamo alla fine del viaggio di WA001. Il gigante buono va avanti e indietro instancabile, il più vecchio della sua stirpe, per quasi 18 anni, portando clienti di Cathay un po’ da tutte le parti. Una nota personale: ho viaggiato un po’ di volte con i 777 di Cathay (undici volte, per la precisione) ma mai il nostro B-HNL.
Mentre la produzione dei Triple Seven continuava, sino ad arrivare a 1.989 ordini, 1.565 consegne e 424 in backlog ad agosto 2018 (Boeing rilascia i dati mensilmente), il nostro WA001 lavorava lavorava lavorava, arrivando a totalizzare 20.519 cicli (decollo-atterraggio) e 49.687 ore di volo. Intanto il programma del Triple Seven è andato avanti, con le varianti che aumentano il raggio e l’autonomia, con le varianti più capienti, con quelle per il cargo. A oggi, dopo il 777-200, ci sono il -200ER, il solo cargo -F, il -200LR, il -300ER, il 777-8 e il 777-9 (questi ultimi due ancora di là da venire, con le prime consegne tra il 2020 e il 2021 rispettivamente a Ethiad e Lufthansa).
La flotta di Cathay ha la bellezza di 66 Boeing 777 in linea (3 -200, 13 -300, 53 -300ER) e altri 21 in ordine (tutti nuovi 777-9 che arriveranno a Hong Kong a partire dal 2021, ne parleremo magari un’altra volta) meno uno: il nostro vecchio WA001. Come detto, a maggio del 2018 WA001 è uscito dalla linea di servizio (dalla rotazione, come si dice) e il 10 settembre è arrivato a Tucson. Magari una volta o l’altra che sono da quelle parti, passo a trovarlo al museo Pima Air & Space. Chissà.