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Negli Stati Uniti il Boeing 747, l’iconico Jumbo-jet dalla caratteristica ”gobba“, da gennaio non vola più. Non c’è più nessuna compagnia aerea americana che tenga in linea il gigante a quattro motori, a lungo il più grande aereo commerciale per il trasporto passeggeri creato nel 1969 negli stabilimenti di Everett, nello stato di Washington.
Il suo alter ego, il colossale Airbus A380, che vola da poco più di dieci anni, sta appena meglio. Dopo il 2020 potrebbe non essere più prodotto se gli ordini non aumentano. Il quadrimotore made in Europe, costruito nello stabilimento di Tolosa è stato pensato nel 1988, quando sembrava che il traffico aereo avrebbe avuto bisogno di aerei ad altissima capacità. Ma il modo con il quale intendiamo la capacità oggi è diverso da trent’anni fa. E l’A380, con i suoi 853 posti in configurazione all-economy (il Boeing 747 ne più caricare al massimo 660) rischia di andare in pensione prima del dovuto. Nel 2017, infatti, nonostante Airbus abbia segnato il suo terzo anno migliore di sempre per numero di ordini (1.109 nuovi ordini, 718 velivoli consegnati, un archivio con un totale di 7.265 ordini arretrati), non ha avuto un buon anno per il suo prodotto maggiore. Da Tolosa sono usciti solo 15 A380, nel 2018 ne sono previsti 12, e nel 2019 solo otto.
Il costo dell’aereo è enorme, quasi mezzo miliardo di dollari ad apparecchio (prezzo di listino: ma di solito il prezzo è contrattato e scende fino al 30%). Tuttavia i dirigenti di Airbus stimano che la produzione possa scendere a un minimo di sei apparecchi l’anno sino al 2030. Ma basterebbe anche un ordine in meno e i conti non tornerebbero più: il rischio è doversi fermare: «Dal 2020 – spiega Fabrice Bregier, Chief Operating Officer di Airbus – il programma dell’A380 potrà continuare a funzionare a un livello accettabile da un punto di vista economico ed industriale solo se ci saranno almeno sei aerei in produzione ogni anno. Gli ordini per questi aerei devono provenire da Emirates, perché quelli fatti da altre compagnie aree potrebbero essere solo marginali».
Quello che manca, secondo gli analisti, sono gli ordinativi delle compagnie aeree cinesi, non interessate agli A380 per peso, consumi e costi della manutenzione. Ma il vero “nemico” è un altro: si chiama Etops e sta cambiando le regole del gioco.
Le norme Etops, cioè ”Extended Range Operation with Two-Engine Airplanes”, sono state pensate per consentire agli aerei con due soli motori di superare la barriera posta nel 1953 al volo dei bimotori: un’ora al massimo per raggiungere la sicurezza di un aeroporto di sicurezza. La regola nasceva nell’epoca del volo a pistoni, quando le trasvolate delle aree pericolose (oceani ma anche deserti e polo Sud) potessero diventare drammi se si rompeva un motore, con il rischio (elevato) che si rompesse anche l’altro. I quadrimotori (o i trimotori, come i vecchi McDonnell Douglas MD-11) sono più sicuri perché il rischio in caso di perdita di un motore è molto inferiore.
I bimotori di oggi, con tecnologie sempre più sofisticate e sicure, vengono però certificati dalle norme Etops per due, tre e anche quattro ore di volo in caso di diversione. Questo sta consentendo ai bimotori di volare su tutte le rotte di lungo raggio del pianeta. E qui viene fuori il vantaggio economico: un aereo bimotore ha costi di esercizio inferiori di uno a quattro motori. E costa meno. Un Boeing 787, il primo dei “nuovi” bimotori a fusoliera larga, con un carico massimo in due classi da 290 fino a 330 passeggeri a seconda della variante, costa di listino fra i 220 e i 300 milioni di dollari. Il costo per passeggero è inferiore e il fattore di carico pagante è più facile da raggiungere. Inoltre, permette di utilizzare strutture aeroportuali più semplici, con piste più corte, disponibili anche in aeroporti secondari. Invece, gli A380 volano solo tra destinazioni di primaria importanza perché gli scali devono avere terminal e piste di rullaggio fatte apposta.
Per questo sia Boeing che Airbus stanno potenziando quella parte della loro produzione che attrae maggiormente gli ordinativi da parte delle compagnie aeree: il Boeing 787 e l’A350, ma anche le evoluzioni dei “piccoli” Boeing 737 e A320 (aerei a fusoliera stretta ma capaci di voli di medio-lungo raggio) nelle versioni più “lunghe” e capienti. E cercando di ammodernare i “vecchi” bimotori del lungo raggio, rispettivamente il Boeing 777 e l’A330, che pagano pegno però a una progettazione anni Ottanta che si porta dietro consumi e costi di esercizio oggi eccessivi e anche una flessibilità di utilizzo minore.
Oggi la lotta è orientata ad azzeccare la variante giusta: quale evoluzione dei vecchi e nuovi cavalli da battaglia a due motori si adatterà al mercato? Quale frazione di dollaro moltiplicato milioni di miglia fornirà la quadratura del cerchio? Gli analisti propongono punti di vista sempre nuovi, le compagnie aeree e le società di leasing (che poi sono quelle che muovono veramente il mercato) bruciano tonnellate su tonnellate di file Excel, ma alla fine il business del trasporto aereo non è razionale: segue mode, improvvisi cambi di passo, viene determinato da fattori esterni (regolamentazioni, costo del carburante, barriere geopolitiche). L’unica certezza è che, dalla Seconda guerra mondiale in poi, il trasporto aereo civile a livello planetario è sempre cresciuto. E che gli aerei di oggi sono sempre più parsimoniosi.
Il futuro? La ricerca di un nuovo aereo che nel settore ha già un nome, anzi una sigla: NMA, cioè New Midmarket Aircraft. È il “giusto mezzo”, tra i piccoli per il trasporto regionale e i giganti dell’aria che non vuole più nessuno. È un apparecchio che oggi non esiste più: l’ultimo aereo con queste caratteristiche era di Boeing, si trattava del Boeing 767, e ne è stata fermata la produzione pochissimi anni fa. Boeing e Airbus prevedono però che la domanda dei NMA nei prossimi venti anni valga due o quattro mila velivoli. Con un prezzo medio di listino di 300 milioni di dollari, vuol dire un mercato che varrà tra i 600 e i 1.200 miliardi di dollari, dai 30 ai 60 miliardi all’anno. Se il costo per sviluppare da zero un nuovo aereo di linea si aggira attorno ai 15 miliardi, si capisce perché l’NMA sia considerato il futuro.
Le conseguenze si vedono già oggi: nuove rotte aperte, nuove città illuminate da collegamenti punto a punto, e una nuova fase di flessione per la “vecchia” strategia “hub-and-spoke”, con i giganteschi aeroporti alimentati dagli scali minori, già messa in crisi negli ultimi venti anni dal modello point-to-point puro delle low cost sul corto-medio raggio. Il colpo finale potrebbero essere i bimotori che traversano il mondo, compreso il volo più lungo del pianeta, previsto per il prossimo 11 ottobre: unirà Singapore a New York, durerà 19 ore e verrà operato da Singapore Airlines. Con soli 161 posti a sedere anziché 253 (perché è prevista solo la prima, business e premium economy) a effettuare il volo sarà un Airbus A350-900 ULR, un modello “Ultra Long Range” ancora in fase di finalizzazione negli stabilimenti di Tolosa del consorzio europeo. Ovviamente bimotore, perché nessuna macchina a quattro motori avrebbe l’autonomia e l’efficienza economica per correre lungo una rotta simile.