Leggiamo ancora Emilio Salgari
Qualche settimana fa ho scritto un articolo per Fumettologica sul rapporto tra Emilio Salgari e la fantascienza (anzi, sarebbe più giusto dire “protofantascienza”) e, riflettendo sui motivi per cui oggi l’autore scaligero non è più popolare come un tempo, notavo:
Parliamo di una nicchia fantascientifica all’interno di un blocco della letteratura d’intrattenimento peraltro quasi dimenticata. Dimenticata perché oggi più nessuno legge Salgari: fate il conto voi dell’ultima volta che avete letto un suo romanzo. Non qualcosa su Salgari (come l’ottima biografia a fumetti Sweet Salgari di Paolo Bacileri o come in un Martin Mystère d’annata, Il leone del Transvaal) o qualche apocrifo d’autore (penso a Ritornano le Tigri della Malesia (più antimperialiste che mai) di Paco Ignazio Taibo II). No no, proprio un romanzo di Salgari scritto da lui medesimo. Niente, vero? Lo sapevo.
Devo ammettere che anche le mie letture di Salgari non sono più tanto recenti, nonostante negli anni non solo abbia letto un po’ di romanzi, ma ne abbia accumulati anche parecchi altri in varie edizioni: quelle di prima o dopo la guerra e alcune più recenti, magari pubblicate in edicola. Qualcosa si trova anche, per gli amanti degli ebook, su Liber Liber, visto che parte della produzione salgariana adesso è fuori diritto d’autore. E comunque Salgari evoca non solo voglia di letture esotiche, ma (perlomeno in me) anche un desiderio di approfondimento e scoperta del mondo e dell’opera dell’autore. L’industria culturale italiana della fine dell’Ottocento inizio Novecento era ricca, a tratti florida, articolata e sicuramente molto meno antiquata o ingenua di come ce la potremmo immaginare oggi. È una scoperta nella scoperta.
Premessa articolata per dire che, quando mi ha scritto l’editore di un piccolo libro che parla di Salgari e riporta racconti salgariani, ho fatto un salto sulla sedia. Che occasione! Il libro si chiama “Emilio Salgari – Alla conquista della Luna”, 16 euro per 142 pagine, edito da Cliquot, che è una piccola casa editrice indipendente che ha realizzato anche una versione per collezionisti di questa opera abbastanza unica nel suo genere.
Se, come avete intuito, adoro Salgari, ho scoperto di non essere solo. Anche le persone dietro a Cliquot condividono la stessa passione. In questo caso una passione ben spiegata: il libro è a cura di Felice Pozzo che apre con una robusta introduzione di 48 pagine arricchita da qualche riproduzione di copertine originali delle edizioni salgariane, che serve a ottimamente inquadrare i singoli racconti, ai limiti dello spoiler (uomo avvisato…). L’introduzione è per palati fini ed eruditi, già avvezzi a molte delle sottigliezze della vita salgariana. Non va infatti dimenticato che, oltre alla narrazione più “semplice” sulla vita dell’autore di letteratura popolare, c’è di più.
La vulgata vede Salgari come un povero scrittore che non si è mai mosso da casa sua (in realtà ha cambiato tre città, però non ha mai fatto viaggi nelle terre che raccontava), sfruttato dagli editori (anche se era più pagato dei numerosi colleghi, ma aveva spese elevate per tenore di vita, malattia della moglie e cattiva amministrazione), misconosciuto dalla critica (ma era in vita il più popolare e conosciuto in Italia), con un esaurimento nervoso che l’ha spinto al suicidio (anche se anche la morte per suicidio di ascendenti e discendenti fa pensare più a un problema psichiatrico familiare) e una produzione sterminata i cui capisaldi sono i due cicli dei pirati della Malesia e dei Corsari (nero, rosso)(ma il nostro uomo ha scritto moltissimo di più e soprattutto di svariati generi, ambientazioni e argomenti). Ma questa è, appunto, la vulgata.
La vita di una persona difficilmente si può chiudere dentro pochi stereotipi. E quella di Salgari è stata tutt’altro che banale. Ricostruirla qui richiederebbe troppo tempo e conoscenze più approfondite di quelle di cui sono in possesso, però ci sono saggi e letture biografiche piuttosto interessanti, senza contare che Emilio Salgari, vita e opera, è tutt’ora vivace argomento di ricerca scientifico-accademica. Nel dettaglio dell’introduzione a questa raccolta di racconti c’è invece parte del segreto dell’officina di Salgari: i suoi racconti, come nascono, quando, rispetto a quali contesti ed esempi (ci sono Jules Verne, Edgar Allan Poe, svariati altri filoni che Salgari conosceva bene e in cui era ben conosciuto) e quali snodi affrontano.
Poi c’è la parte davvero gustosa: sei racconti uno più bello dell’altro, che affrontano vari temi di carattere fantastico e che portano il lettore come per magia dentro un vortice di pagine che scorre in un attimo. Perché poi la cosa che, fin da bambino, ho sempre amato dei libri e dei racconti di Emilio Salgari è la loro scorrevolezza. La lingua un po’ enfatica ma anche deliziosamente ricca e modulata si presta perfettamente alla costruzione di strutture narrative a senso unico: si entra nella prima pagine e – pop – come per magia siamo già arrivati alla fine. Scorrevoli neanche le avessero lubrificate. Meglio di Salgari forse solo Edgar Rice Burroughs, l’autore di Tarzan e John Carter di Marte (che, se non vi è mai capitato, vi consiglio vivamente di leggere. Tarzan si trova su bancarelle ed Amazon ed è una scoperta escapista fantastica e di altissimo livello tecnico).
La scorrevolezza di Salgari, come dei suoi colleghi parimenti dotati, per me è la chiave del loro successo: permette di entrare in un mondo di fantasia e di avventura con il minimo di frizione e di resistenza possibile. Fa staccare la mente dalla pagina ed entrare in un mondo in cui le parole sono come note che disegnano una cattedrale di sogni, piene di eco, di crescendo, di pieni, di pianissimi, di allegri con brio. Non sono sinestetico, o se lo sono i colori non sono il mio forte (dopotutto sono daltonico) perché non saprei associare a Salgari un particolare colore. Ma, come per pochi altri autori, leggendolo ho sempre avvertito un senso di profondità spaziale dentro la mia mente che ogni volta mi sorprende. Anche leggendo dei semplici racconti recuperati dall’oblio della memoria. Varrebbe la pena recuperare anche altro. E infatti continuo a chiedermi: fate il conto voi dell’ultima volta che avete letto un suo romanzo. Perché oggi non lo legge più (quasi) nessuno. E secondo me è un vero peccato.