Tra libri di carta e digitali
Oggi si chiude la nuova fiera dei libri di Milano, “Tempo di Libri”, novità del mondo editoriale non senza qualche polemica. Giovedì e venerdì ho fatto un paio di giratine fra gli stand e l’ho trovata interessante, anche se non troppo piena. Ho girato a lungo, con degli amici, e chiacchierato con un po’ di persone. Ma prendete quanto segue per una vista molto soggettiva e molto, molto parziale, oltretutto eccentrica rispetto a quello che ci si potrebbe aspettare da un evento come una grande fiera del libro dove peraltro trovi veramente di tutto: dalle Bibbie miniate ai polizieschi tascabili fino ai libri di cucina e a quelli fantasy.
Nel mio piccolo soggettivo mi sono segnato due cose: la prima è che ho comprato alcuni libri per me interessanti per motivi diversi, la seconda è un incontro sempre sui libri ma fuori dalla fiera di Rho. Partiamo.
Il primo passaggio è dall’editore Multiplayer.it/Netaddiction, ed è legato a un autore russo: Dmitry Glukhovsky. Ne ho già parlato: è diventato interessante come una delle voci della fantascienza mainstream fuori dai confini occidentali. Mi era piaciuto molto sia il romanzo Metro 2033 che l’universo crossmediale/transmediale che si è creato dietro: dai libri in franchising (per noi Tullio Avoledo con l’ottimo Le radici del cielo) ai videogiochi e agli immancabili gadget. Ero curioso di leggere Future e adesso l’ho comprato: tra pochi giorni arriverà il suo momento (devo finire un altro paio di cose prima) e poi vi dico.
Metro 2033 e i suoi seguiti raccontavano dei sopravvissuti nelle viscere delle metropolitane del pianeta all’apocalisse nucleare. Questa volta invece Glukhovsky si confronta con l’utopia del futuro, in un mondo perfetto e privo di malattie, con eterna giovinezza e tutto quello che ci potremmo aspettare dal romanzo più crudo dell’autore russo. Sono contento che a pubblicarlo sia sempre la casa editrice di Terni fondata da Andrea Pucci per stampare libri tratti da videogiochi e tutorial per l’intrattenimento videoludico. Negli anni l’editrice è cresciuta, si è differenziata, ha investito in molto altro: pubblica tutti i libri del nuovo canone di Star Wars, per dire, ma adesso anche fantasy e libri di cucina. Ma soprattutto fa dei libri che sono oggetti realizzati molto, molto bene. C’è infatti un lettore più “nerd” che è appassionato non solo di quello di cui si legge ma anche dell’oggetto sul quale si legge, e che vuole poter collezionare un oggetto/libro che dia soddisfazione tattile, non che si scolli e si disfi dopo la prima lettura. Se fossero manga giapponesi, sarebbero tutte delle perfect edition.
Già che c’ero ho preso anche Orfani – Ringo, il primo romanzo ispirato dal fumetto bonelliano omonimo, scritto sempre dal suo creatore show runner Roberto Recchioni con le illustrazioni del co-creatore Emiliano Mammucari. Anche per questo ho buone aspettative: il fumetto mi ha intrigato e ora sono curioso di vedere che salto fa verso la pagina stampata: il romanzo entra nel club dove già ci sono Tex Willer, Zagor e Dragonero, ma anche l’Eternauta, per citare i romanzi tratti da fumetti che mi è capitato di leggere nel tempo (e taccio la meravigliosa raccolta totale in due volumi dei Gialli di Riccardo Finzi scritti da Luciano Secchi/Max Bunker, perché è praticamente la sceneggiatura di un fumetto messa in prosa; in ottima prosa, bisogna dire). I risultati degli altri membri del club sono altalenanti, alcuni migliori e altri piuttosto discutibili. A breve vedrò cosa ha saputo combinare Recchioni,
L’altro libro che ho preso, da un editore completamente diverso, è P101 di Pier Giorgio Perotto. Realizzato da Edizioni di Comunità, la rinata casa editrice del movimento sociale e culturale di Adriano Olivetti, P101 è stato scritto nel 1995 dal creatore del primo personal computer della storia (nato nel 1964 grazie a Perotto e ai suoi) e racconta un pezzo di storia dell’Olivetti, dell’informatica e dell’ingegneria elettronica in generale. È scritto in maniera semplice e diretta, molto analitica, chiarissima, quasi profetica nei suoi passaggi. Contiene lezioni di management che oggi, nell’epoca senza memoria delle startup, dovremmo andare tutti a ripassare. Un assaggio:
La concezione che Adriano aveva dell’impresa era quella di un’entità generatrice di cultura, con la persona umana posta al centro dell’interesse del sistema. Egli inoltre veniva l’impresa non come un’entità staccata, isolata e Alena rispetto al mondo esterno, ma profondamente integrata inserita nel territorio dell’ambiente.
I suoi interessi verso l’urbanistica, l’architettura, le arti, unitamente a una visione molto aperta delle tecnologie, lo avevano portato ad anticipare gli eventi e a generare quel clima di creatività diffusa, che caratterizzò la Olivetti degli anni Cinquanta.
Sono convinto che i suoi interessi per l’elettronica fossero motivati dal fatto che egli non vi avesse visto una semplice tecnologia, ma ne avessi intuito quella capacità diffusiva di disciplina orizzontale, capace di svolgere una funzione regolatrice verso tutti gli altri settori. Aveva probabilmente intravisto che l’elettronica sarebbe diventata la base di una futura industria informatica, quasi come un’urbanistica delle attività immateriali, nelle quali la materia prima non è più il ferro o la pietra, ma è costituita dai bit senza peso.
La seconda cosa è stata un incontro organizzato da Mondadori nel suo negozio di piazza Duomo a Milano: coraggiosamente organizzato, visto che tutti quelli che parlavano di libri sono bene o male andati in fiera. In realtà l’incontro premiava gli autori in self publishing solo digitale pubblicati da Rakuten Kobo, che con Mondadori in Italia ha un accordo importante. Per la cronaca, dato che non l’ho visto da altre parti (e mi spiace) mi prendo la libertà di segnalare qui i vincitori del concorso, che sono stati:
- Felix Madison, Diario di un’avventura improbabile di Jonathan Suiff
- Antonio Michele Paladino, La danza del puparo
- Tina Caramanico, Un cattivo esempio
- Giovanni Balsamo, Il frullo del beccaccino
- Ledra, Puzzle di cuori
- Giovanna De Rosa, Ti racconterò una storia
Soprattutto, allì’incontro c’era il Ceo di Rakuten Kobo, il canadese Michael Tamblyn. Ho già raccontato la storia dell’azienda recensendo l’Aura One e poi parlando dell’acquisizione della tedesca Tolino (presente in Italia con Ibs). Come ho detto scrivendo dell’Aura One, “la prima cosa che colpisce dello schermo del Kobo One infatti non è soltanto la sua dimensione quanto anche la sua brillantezza e luminosità”. L’apparecchio ha dimensioni generose, è impermeabile, veloce, tecnicamente raffinato e costoso. Ma, come mi ha spiegato Tamblyn, la persona più esperta di ebook sul pianeta dopo Jeff Bezos (il Ceo di Amazon e inventore di Kindle), l’ebook non è più un affare da basso di gamma, un tot al chilo, pochi centesimi di libro o tutto gratuito. Invece, è diventato un oggetto raffinato per quella parte di mercato “premium” che legge molto o moltissimo. Nella nostra chiacchierata Tamblyn continuava a fare riferimento a gente che legge cento ebook l’anno e una ventina di libri tradizionali, magari di grande formato e pieni di foto e disegni per giustificare il bisogno di carta. Io mi considero un lettore vorace (quantitativamente, più che qualitativamente) ma, Anobii alla mano, faccio fatica a superare i cinquanta titolo all’anno.
Essere in fascia alta vuole anche dire raccogliere un pubblico che cerca libri di qualità, ma ormai gli ebook anche made in Italy sono decisamente oggetti digitali ben fatti. Non siamo più di fronte alle versioni convertite dei Pdf per la stampa, con errori di impaginazione lapalissiani e scelte tristi di layout e funzionalità. Non sembra ma anche un ebook è un prodotto che richiede cura e amore per essere confezionato.
Infine, Tamblyn mi parlava dell’acquisto da parte di Rakuten Kobo di Shelfie, una azienda e una app che avevo provato con poca soddisfazione anni fa. In pratica, Shelfie permette di scansionare il proprio scaffale di libri di carta, riconoscerli con un algoritmo sofisticato e cercare l’equivalente digitale. A Tamblyn interessa questa parte perché consente di rendere più profonda la conoscenza del cliente (oltre agli acquisti digitali, quali libri possiede? Cosa possiamo consigliargli come prossimo acquisto?), ma c’è evidentemente di più.
Shelfie infatti permette anche di trovare quali dei libri di carta che possiedi sono disponibili in offerta gratuita o scontata in digitale. Così, dopo una estenuante serie di prove per dimostrare che i libri sono effettivamente tuoi e non li stai rubacchiando ad altri o a un negozio (finisce che devi scriverci sopra a penna il tuo nome e cognome, per dire), ti arriva la versione in ebook gratuita. C’è una certa comodità, ma anche una notevole fatica e comunque funzionava, all’epoca, per pochissimi libri. Su un po’ di scaffali della mia libreria di camera ne erano venuti fuori due.
La chiacchierata con Tamblyn, una persona squisita va aggiunto, è stata breve ma molto densa. Abbiamo toccato anche altri punti (come l’esperimento sociale dei libri con Drm sociale in Olanda, che hanno fatto aumentare e non diminuire la pirateria) e alla fine mi sono fatto l’idea che Rakuten Kobo sia un’azienda molto più interessante di quanto non avessi pensato finora. Il suo modello di business, potenziato adesso con quello di Tolino, le permette di essere l’avversario credibile dello schiacciasassi Amazon. E il suo costoso Aura One si differenzia notevolmente dai vari Kindle, offrendosi alla fine davvero come un prodotto di qualità alta. Queste righe valgono anche come appunto per me stesso: serve un supplemento d’inchiesta.