Il Dubai Air Show 2013
L’industria aerospaziale è fatta di cicli, di ondate, di successivi periodi di piena. Stiano entrando in uno di questi momenti di espansione. A dettarne i ritmi non sono solo le innovazioni tecnologiche ma anche i cicli di sviluppo e commercializzazione dei nuovi prodotti. È uno degli aspetti più affascinanti di questo settore: sviluppare un aeroplano richiede anni, spese miliardarie e produce velivoli che rimangono sul mercato per dieci, venti, trent’anni.
Chi scrive, ad esempio, stava letteralmente nascendo quando Boeing fece fare il primo volo di prova al neonato B 747, nel 1969. Certo, un aereo tecnologicamente molto differente dall’attuale variante B747-8, tuttavia parte della stessa famiglia. Un ciclo di vita storico, lunghissimo, una vera e propria epopea. E non era l’unico di quella nidiata: l’idea era di far partire una nuova generazione di aeroplani da trasporto in un momento storico in cui si credeva che il volo supersonico (come quello del Concorde) avrebbe dominato. Non accadde, il volo supersonico ha fatto flop per una serie di ragioni non solo tecniche, però quel ciclo di giganti dell’aria cominciato con il solitario Boeing 747 ha portato allo sviluppo di una serie di altri apparecchi successivi, da parte della stessa Boeing e della concorrenza. Che negli anni si è però rarefatta: nella “pancia” di Boeing ci sono infatti anche la McDonnell Aircraft Corporation e la Douglas Aircraft Company (fondate rispettivamente nel 1939 e nel 1921, fuse nel 1967 e acquistate dalla Boeing come unico pacchetto “McDonnell Douglas” nel 1997.
Oggi la competizione nella produzione è rimasta in mano a pochi giganti contrapposti a cui si sono uniti giovani sfidanti e futuri avversari. I due giganti contrapposti sono ovviamente Boeing e, dalla nostra parte dell’oceano, Airbus, la cosa più vicina a una industria collettiva europea che siamo mai stati in grado di concepire nel vecchio continente. A questi due “grandi”, stanno vicino due piccoli che in realtà tanto piccoli non sono e che crescono veloci: i canadesi di Bombardier e soprattutto i brasiliani di Embraer. Entrambi specializzati in jet regionali, cioè aerei per il trasporto di pochi passeggeri per tratte brevi o di media lunghezza, hanno via via conquistato quote sempre crescenti di mercato. Dietro l’angolo, infine, ci sono gli sfidanti di domani: i produttori cinesi a cui si aggiungono (o vorrebbero aggiungersi) anche i giapponesi, da una vita alla ricerca di uno sbocco nell’industria aerospaziale del trasporto civile, che gli è stata a lungo preclusa dagli accordi di pace della Seconda guerra mondiale, nonostante e (verrebbe da dire) soprattutto a causa dell’impressionante tradizione in questo settore sviluppata durante la guerra: l’ultimo film di Hayao Miyazaki (The Wind Rises – Kaze Tachinu) è dedicato alla vita dell’ingegnere che ha progettato i caccia Zero A6M per le industrie pesanti Mitsubishi e rende abbastanza l’idea di quale sia stato l’impatto di queste tecnologie.
Arriviamo così alla giornata di oggi: storica. Perché durante l’Air Show di Dubai, il nuovo appuntamento emergente del settore aerospaziale nella geografia dei grandi appuntamenti dominati finora dai saloni del volo di Le Bourget (International Paris Air Show) e Farnborough (International Air Show inglese) che si tenevano ad anni alterni con una sorta di intesa cordiale che sa tanto di cartello occidentale, è venuto fuori un numero. Questo numero è pazzesco: 192,3 miliardi di dollari di ordini.
L’Air Show di Dubai è alla sua prima edizione. Si tiene nell’Emirato privo di risorse petrolifere che ha fatto della logistica e dei trasporti una delle scommesse chiave per il suo futuro, costruita a suon di strutture aeroportuali che adesso sconfinano in una Aerotropolis infinita. Il Dubai World Central, la vasta Aerotropolis di Jebel Ali, in tre ore ha portato il totale di ordini effettuati a 162,6 miliardi di dollari grazie a Etihad Airways che ha ordinato 56 nuovi Boeing 777 con relativi motori GE (pari a 25,2 miliardi da prezzo di listino), e in più ha permesso alla compagnia aerea con base ad Abu Dhabi (l’Emirato accanto a Dubai) di diventare cliente di lancio per il futuro B 777-8X, la prossima generazione di “triple seven” che comincerà a volare nel 2020. Già che c’erano, i dirigenti di Etihad hanno comprato anche 30 B787-10, diventando i più grandi clienti di questa variante del 787 Dreamliners. Il commento a margine della tornata di acquisti è stato del Ceo e presidente della compagnia aerea, James Hogan: “Facciamo raramente annunci agli air show, ma quando li facciamo il mondo ascolta”.
Dopo Etihad, ci sono state la low-cost FlyDubai che ha speso 11,4 miliardi di dollari per comprare un totale di 111 Boeing 737 e soprattutto 737-8, con tempo di consegna che sfiorano il decennio, e poi Qatar Airways ha firmato il suo accordo (una lettera di intenti che doveva essere particolarmente pesante) da altri 19 miliardi di dollari per 54 Boeing 777.
Giornata storica, dunque, a cui si continuano ad aggiungere altre novità. In ogni caso tutto il blocco delle compagnie aeree mediorientali hanno collaborato a fare in modo che la fiera organizzata a casa loro fosse un successo, e hanno chiarito in modo abbastanza indiscutibile come stanno messe le cose. Negli Emirati Arabi Uniti c’è una gamba del mondo dell’aviazione civile e del trasporto aereo che non ne vuole sapere di farsi spostare né verso occidente né verso oriente. L’evoluzione dell’industria dagli Usa all’Europa adesso ha in Medio Oriente un riferimento solido che difficilmente la Cina – che pure spinge moltissimo in questo settore – riuscirà a piegare a breve tempo. La nuova sede attuale della fiera, che sorge dentro lo spazio dedicato alla “città del volo” di Dubai, è gigantesca: 645mila metri quadrati, con un padiglione principale enorme, di 42,870 metri quadrati. Ci sono più di mille espositori da circa 60 paesi e i visitatori – che sono solo operatori professionali, la fiera non è aperta al pubblico generalista – entro giovedì saranno stati circa 60mila.