Mamma ho perso l’aereo? No, solo il bagaglio…
Orrore all’aeroporto: valigia persa, vacanza rovinata. Senza bagagli per una settimana. L’odissea del viaggio di nozze. E via dicendo.
I miei colleghi, soprattutto quando si occupano di cronaca, non si fanno certo mancare i titoli ad effetto se di mezzo ci vanno i bagagli. Perché la cosa più odiosa che può succedere è che noi arriviamo a destinazione e i bagagli no: quelli sono finiti da tutta un’altra parte. E pazienza se succede al rientro, tanto prima o poi ce li consegnano a casa. Il vero problema è quando succede all’andata: si va in villeggiatura in un’amena località turistica, i bagagli non arrivano, noi chiediamo che ce li mandino in albergo però poi non arrivano neanche lì e intanto noi ci dobbiamo spostare. Insomma, dopo il mancato ricongiungimento comincia anche un ridicolo inseguimento tra noi e il bagaglio, una sorta di corsa a premi in cui da un lato c’è il desiderio di farsi le vacanze e dall’altro quello di cambiarsi finalmente la biancheria evitando di perdere la magliettina che ci ha regalato la nonna tanti anni fa e senza la quale non riusciamo proprio a dormire.
Le storie “de paura” sui bagagli sono infinite e proprio per questo piacciono tanto ai miei colleghi giornalisti: pucciano nell’inconscio collettivo e con un po’ di fantasia e abilità si può pittare di tinte fosche qualsiasi evento. Grazie anche a fatti di cronaca degni in effetti del miglior Medio Evo della ragione. Ricordate i dipendenti dei due maggiori aeroporti nostrani ripresi mentre svuotano le valige, le portano accanto ai muri di cinta del deposito bagagli e le scaraventano fuori per farle portar via dai loro complici. Incredibile. E sono cose successe anche dopo che li avevano registrati con le videocamere e si erano rivisti al telegiornale. Storie “de paura”, appunto. Anche quando le notizie magari sono altre. Dopotutto, però, a noi non interessano quei milioni di cani che mordono gli uomini tutti i giorni, bensì quel singolo psicotico che, una volta l’anno, decide di mordere il suo cane.
Dunque, come stanno veramente le cose? Che fine fanno i nostri bagagli quando ci imbarchiamo? Quanta gente rimane “spogliata” dei propri preziosi averi? Ci vorrebbe poco per saperlo: basterebbe andare a guardare i numeri del settore. I numeri ci sono e sono valori assoluti, non sondaggi. Cioè, non è che guardiamo mezz’ora cosa succede in un aeroporto e da lì cerchiamo di capire statisticamente il numero complessivo. No, abbiamo proprio il numero complessivo. E qual è?
Sono andato a chiederlo a SITA, la società di gestione dei servizi informativi di un numero imbarazzante di compagnie aeree al mondo. Anzi, per essere più precisi, SITA nasce come cooperativa di proprietà di compagnie aeree, aeroporti e società terze del settore. L’idea alla base venuta nel 1949 a 11 compagnie aeree era di dotarsi di una società di servizi comune per ammortizzare certe spese legate alla fornitura di comunicazioni, all’epoca via radio o telegrafiche. Oggi, 63 anni dopo, Sita è una multinazionale presente in 200 paesi che serve più di 2.700 clienti (compagnie aeree e aeroporti, per esempio) e fattura un miliardo e mezzo di dollari all’anno.
Ma quali sono questi benedetti numeri? Facile. SITA ogni anno realizza un “Baggage Report” giunto all’edizione 2012 e disponibile sul sito dell’azienda (www.sita.aero). Un rapporto dal quale si evince che la situazione non solo sta clamorosamente migliorando, ma che comunque l’impatto dei bagagli non consegnati (o “bagagli disguidati”, come dicono loro con una formula che farebbe impazzire monsieur Travet) è veramente minimo. Nel 2007 si “disguidavano” 18,8 bagagli ogni mille passeggeri (cioè l’1,88%, un paio di bagagli ad aereo) e nel 2011 il numero è sceso a 8,9 per mille passeggeri (0,89%).
Rispetto al 2010 le compagnie aeree hanno riconsegnato nel rispetto dei tempi (quindi non solo nell’aeroporto giusto, ma entro un lasso di tempo ragionevole) sei milioni e mezzo di bagagli in più rispetto all’anno prima: questo vuol dire che i bagagli disguidati sono passati in valore assoluto da 32,3 milioni di pezzi a 25,8 milioni di pezzi. Una cifra enorme o un bruscolino a livello planetario? Propendo per la seconda, visto che i passeggeri nel 2011 sono stati 2,86 miliardi.
Uno dice: buono per i passeggeri. Le malefiche compagnie aeree si ravvedono, alfine, dopo mille proteste. Peccato che le cose non stiano così. Perché in realtà la perdita economica maggiore è per i vettori, non per i passeggeri. Basta dire che, con le performance migliorate di cui sopra, il risparmio per le compagnie aeree è quasi di 500 milioni di euro. Non sono bruscolini, soprattutto dopo tre anni di crisi dura.
Ma torniamo un attimo sull’infelice neologismo “disguidato”. Viene la curiosità di scavare un attimo più a fondo e cercare di capire cosa si intenda per bagaglio disguidato. È un sinonimo di bagaglio smarrito? No, direi proprio di no (con buona pace dei titoli di giornali che parlano di bagaglio semplicemente “smarrito”). Si tratta invece di quelli riconsegnati in ritardo, danneggiati, smarriti, rubati o persi definitivamente. Smarrimento e furto (che sono due cose ben diverse) sono calati parecchio. Gli smarriti sono calati del 45% rispetto al totale dei disguidati, per dire.
Cosa sta succedendo? Grazie a SITA (e ad altre compagnie di servizi informatici) il settore aeroportuale si sta ulteriormente arricchendo di tecnologia. Si può dire che la stia quasi scoprendo adesso. Sia dal punto di vista della gestione dei passeggeri e dei bagagli prima del volo che per il sistema di tracciamento e ricongiungimento dei bagagli dopo il volo. Per dire: WorldTracer, il sistema automatizzato di SITA che permette di rintracciare i bagagli persi o disguidati dei passeggeri viene utilizzato da più di 450 compagnie aeree e operatori di terra. Con WorldTracer si ha quella che viene definita la tracciabilità costante dei bagagli. Grazie a questo sistema i passeggeri possono rintracciare i propri bagagli via web o tramite chioschi self service presenti in più di 100 aeroporti nel mondo, nella malaugurata ipotesi che il bagaglio non faccia capolino in tempi ragionevoli sul nastro trasportatore. Entro 48 ore di solito la larga maggioranza dei bagagli viene comunque recuperata e portata al legittimo proprietario.
Una bella cosa, direi. Se si parla con quelli di SITA, che fanno varie cose (anche servizi di cloud computing per i propri clienti e forniture di telefonia mobile “mondiale” tramite il partner Orange per le compagnie aeree), al tema dei bagagli si appassionano parecchio. Ti cominciano a spiegare che aggiungere un sistema di instradamento e tracciamento ben fatto ha risultati taumaturgici: a Fiumicino per esempio si è passati da 37 a 11 bagagli disguidati ogni mille passeggeri tra il 2007 e il 2011 (cioè −70%), in numero assoluto vuol dire 360mila bagagli restituiti in più nel 2007 rispetto al 2011, con un risparmio per le compagnie aeree di 27 milioni di euro.
Ecco quindi qui sopra un grafico per quelli che amano queste cose e che cercano di capire quale percorso facciano i bagagli da quando vengono consegnati alla ridente signorina del check-in in aeroporto a quando auspicabilmente ricompaiono sul nastro trasportatore dall’altro lato del pianeta. Le cose che succedono dietro le quinte cambiano sostanzialmente a seconda del tipo di sistema che l’aeroporto ha creato. Però l’idea che le informazioni immesse nell’etichetta che viene legata al bagaglio e quelle raccolte via via dai sensori in aeroporto, dalle pistole ottiche del personale di terra e in generale dai vari sistemi di smistamento e gestione vengano raccolte, analizzate in tempo reale e presentate da un server remoto mi piace molto. È un servizio di una complessità stratosferica: pensate al tracciamento di un pacchetto di un corriere, tipo DHL o UPS. Ecco, bisogna far crescere la complessità di almeno un ordine di grandezza ed ecco che viene fuori il sistema complessivo di gestione dei bagagli del pianeta. Una roba da far tremare le vene nei polsi.