Avevamo vent’anni, volavamo in America
Un crack pauroso e si infrange uno dei sogni del secolo del volo: il 4 dicembre 1991 fallisce Pan American Airways, meglio conosciuta tra gli intimi come Pan Am. La conseguenza nel nostro angolo periferico dell’Impero? Arriva Delta Air Lines, che acquisisce le rotte atlantiche e gli slot negli aeroporti nostrani. Con il risultato quindi che, più o meno vent’anni fa, gli aviatori di Atlanta sbarcano in Italia.
E, venti anni dopo, in una piovosa giornata di mezzo aprile milanese, cammino sotto l’acqua scrosciante per andare a una conferenza stampa della compagnia con la quale ho volato più spesso dopo Alitalia.
L’incontro con una pattuglia veramente ristretta di giornalisti (siamo in una dozzina, compresi i nostri ospiti) è per raccontare com’è andato il 2011 e come andrà il 2012. Ma per me è anche l’occasione di incontrare da vicino una delle grandi aziende con le quali volo per mezzo mondo e avere accesso a informazioni che, come passeggero, difficilmente potrei sapere. E ce ne sono, di informazioni: mamma mia se ce ne sono.
Cominciamo con l’America. Per la precisione con New York: qui Delta ha ereditato il terminal di Pan Am , il World Port e il limitrofo T-3. Adesso sta rimettendo a posto il T-4, con l’obiettivo di collegarlo al T-2 e di abbattere il T-3 (che è invece quello collegato al T-2 e che si usa per i voli intercontinentali) entro fine 2013. Un’opera notevole, soprattutto perché costa un patrimonio (più di 4 miliardi di dollari) e viene fatta “in corso d’opera”: Delta non può certo trasferire tutti i suoi voli in un altro aeroporto intanto che si occupa di queste piccolezze.
Poi ci sono gli aerei. I 750 aerei della flotta Delta Air Lines (si scrive così, staccato, mi raccomando). La compagnia nata a Macon (Georgia) negli anni Venti come piccola impresa per dare l’insetticida in polvere sulle coltivazioni georgiane (nel 1924 si chiamava Huff Daland Dusters) non ha inglobato solamente le rotte atlantiche di Pan Am durante il collasso di una delle più belle e affascinanti compagnie aeree di sempre. Nel tempo, ha fatto shopping anche da altre parti, come con la fusione con Northwest Airlines, che ha portato una ventata di novità nel parco aeromobili di Delta: prima solo Boeing e adesso un mix tra Boeing e Airbus.
Delta sta quindi lavorando a rimettere in forma gli aerei, cambiando gli allestimenti interni per dare più spazio alle ginocchia dei passeggeri di economy e spazi in business che possano essere convertiti in letti completamente orizzontali. Quest’ultima una “moda” recente e molto apprezzata anche dal sottoscritto le poche volte che sono riuscito a usufruirne: cambia davvero la prospettiva del volo se ci si può sdraiare su una tavola piatta e morbida, allentare la cintura di sicurezza e dormire su un fianco, collassando in tutta tranquillità.
L’attività di “refurbishing” degli aerei prosegue e si amplierà a coprire prima tutta la flotta Boeing e poi quella Airbus. Già adesso ci sono ogni giorno 12mila posti-letto, per così dire, in volo sulle rotte intercontinentali di Delta. Mille di questi partono da e per l’Italia.
Arriviamo infatti al rapporto del nostro Paese con Delta: alquanto interessante. La compagnia aerea è il primo vettore verso gli Stati Uniti e arriva ad operare durante la stagione estiva 57 voli settimanali da Roma, Milano, Venezia e Pisa (Alitalia direttamente dal nostro Paese ne fa “solo” 46).
In venti anni, anzi ventuno, Delta ha portato 10 milioni di passeggeri negli Usa, tre milioni solo da Milano. Con un load factor medio dell’87%. Questo vuol dire non solo aver fatto un sacco di soldi, ma anche avere il 15% del mercato. Non solo: dal punto di vista del cargo Delta ha raggiunto risultati altrettanto rilevanti. L’azienda, che tra personale amministrativo e di pista impiega una settantina di persone, ha nell’Italia il suo terzo mercato per il trasporto merci. Pur non avendo aerei dedicati tutto-cargo e facendo solo carico di stiva degli aerei passeggeri, ha portato 19.600 tonnellate di cargo: i segmenti chiave sono stati soprattutto l’alta moda, seguita dalla componentistica e dall’enogastronomia. Da Milano partono i vestiti e da Pisa i prosciutti stagionati e il Chianti, insomma.
In definitiva, spiegava Patrizia Ribaga, che è direttore commerciale per l’Italia, l’immediato futuro è di crescita, forte crescita. Sia del totale passeggeri che di quello in assoluto più redditizio, cioè i passeggeri super-paganti della business.
Dal punto di vista per me più affascinante, cioè degli aeromobili, Delta (che è stata la mia compagnia d’esordio per la destinazione Stati Uniti e che ha un ruolo fondamentale nel passaggio di mentalità sui lunghi viaggi verso l’America del nostro Paese, prima portato a migrazioni su tappe intermedie come Zurigo, Oslo, Reykjavik) ha sempre in mano lo stesso tris: si vola con B-767, B-777 e qualche A330. Da noi la differenza si apprezza soprattutto quando i collegamenti sono fatti con 767-400 anziché 767-300 (un po’ più grandi e con autonomia maggiore).
La matrice è questa: da Milano e Venezia verso New York si vola con 767-400, sempre da Venezia, ma verso Atlanta, da Pisa e Roma verso New York si vola con 767-300. Invece, da Roma verso Atlanta e New York si vola anche con A330. Per tenere in piedi un network verso gli Stati Uniti alquanto complesso e ricco, Delta ha messo assieme una joint venture con Alitalia, Air France (anche questa staccata) e KLM (ora Air France-KLM) che è poi il cuore di SkyTeam, una delle tre grandi alleanze per i voli in code sharing.
Non c’è solo Delta che mi ha raccontato come vanno le cose. Vedremo domani cosa mi hanno detto quelli di SITA, la società di servizi che gestisce i sistemi informativi di quasi tutte le grandi compagnie aeree al mondo e che ha realizzato sistemi per la gestione e il recupero dei bagagli. Oggi se ne smarriscono di più o di meno, secondo voi?