Silvia al confine
Silvia, con uno zainetto sulle spalle con disegnati tanti orsetti, guardava il fiume che in molti attraversavano, pagando un dollaro e salendo sulle zattere. Pochi metri, tra il Messico e il Guatemala.
Non ci eravamo accorti di lei, nella confusione. Dopo una mezz’ora era sempre li. Immobile.
Pensavo aspettasse la madre o altri.
Allora le abbiamo chiesto dove fosse diretta, con chi stava viaggiando. A monosillabi Silvia del Carmen (è il nome) ci ha detto di essere sola. Una bambina di dodici anni. La sua storia è venuta fuori, a pezzi, quando l’abbiamo portata via con noi. Era partita quattro giorni fa dal Salvador, attraversando il Guatemala con un bus. Le aveva detto di venire con lei una sua “amica” di 19 anni. Sono arrivate in Messico, dove al confine, poco lontano dalla riva del fiume in cui l’abbiamo trovata, ci sono alberghi che sono bordelli.
Silvia ci ha dato il numero di telefono di suo nonno che abbiamo chiamato. Non ha voluto parlarci. Ha solo detto “sì, sì” quando lui le ha chiesto se era lei. Il nonno ci ha detto che era sparita da quattro giorni con una ragazza che si prostituisce in Messico. Un amico messicano che era con noi e fa l’avvocato da queste parti ci ha accompagnato allora con Silvia alla “Fiscalia de migrantes” che è l’ufficio governativo che si occupa dei delitti ai danni dei migranti, non solo minori. Nel viaggio Silvia ha mangiato. Ci ha detto di non avere toccato cibo in quattro giorni e di non essersi mossa dalla stanza dell’albergo in cui era. Non aveva un peso in tasca. Poi è fuggita e arrivata dove l’abbiamo trovata. L’amico avvocato conosce il console del Salvador che è arrivato all’ufficio governativo.
Ora Silvia è nelle loro mani, dopo aver visto due donne, medico e psicologa. Nell’attesa tra una visita e l’altra Silvia ci ha detto di avere fatto solo la prima elementare, di volere tornare a scuola, di non sapere quando è il suo compleanno e chi sia suo padre. Sua madre esce tutte le mattine a “lavare panni nelle case”. Un suo fratello è stato ucciso dalla “mara” (le gang criminali).
Alla fine della giornata abbiamo lasciato Silvia e ci hanno detto che non possiamo rivederla perché non siamo parenti. Sarà rimpatriata. O deportata come si dice ora. Silvia diceva grazie e sorrideva.
Ce la saremmo impacchettata e portata via, Silvia.