The Honorable Woman
Leggo Francesco Costa su The Honourable Woman, la serie della BBC (e il Sundance Channel) che non solo per lui evoca Homeland, facendo però la cosa giusta. Io l’ho vista su Netflix, dove hanno cambiato “honourable” in “honorable”, all’americana.
Siamo tutti commissari tecnici sulle serie tv come è giusto che sia. Siamo una varia umanità globale che guarda, scrive, si divide, parla con gli amici. Quando vogliamo dire che una cosa ci piace, tiriamo in ballo “la complessità” (lo faccio anch’io). Siamo così assolti da ogni ulteriore spiegazione, lasciando intendere intrecci di trame e sottotrame, personaggi scavati nella loro duplicità, triplicità. E invece ci ritroviamo in ruoli secondari israeliani e palestinesi macchiette (in The Honorable Woman) e simil Osama bin Laden da fumetto (in Homeland).
The Honorable Woman è implausibile come e più di Homeland. A me è sembrata una fiction italiana ma fatta bene. Quindi dalla BBC. Con pause, soggettive, inquadrature anni 60. È slow fiction.
Le serie televisive veramente riuscite hanno un ritmo, una musica interna, una scultura dei caratteri che ti rapiscono. Corrono, lasciandoti lo spazio di immaginare, di aggiungere, di sbagliare, di amare un personaggio odioso, di cambiare giudizio nel corso della serie. Senza dividere il mondo in buoni e cattivi. Con il rischio di farci appassionare ad assassini seriali e criminali. Con il rischio della semplificazione, che è quello che la televisione dovrebbe sempre fare. Con il rischio della verbosità alla Aaron Sorkin, senza orge di primi piani muti e pensosi. È una misura difficile da raggiungere. Nella prima stagione di Homeland questa soglia era stata raggiunta, mi pare.