Il film di Jon Stewart non va
Jon Stewart conduce dal 1999 su Comedy Central il suo telegiornale satirico, più visto nei colleges dei TG ufficiali. Ha collezionato Emmys a palate. Ha promosso una marcia su Washington (con Stephen Colbert) nel 2010 che resterà nella storia. E poi, a 50 anni suonati, ha diretto un film (Rosewater) che è ora fuori nei cinema americani. Un film non proprio riuscito. E raramente sono entrato in un cinema tanto pregiudizialmente ben disposto.
Stewart aveva ospitato nel suo show il giornalista iraniano-canadese Maziar Bahari, inviato di Newsweek per le elezioni del 2009 e poi incarcerato e torturato a Tehran per 118 giorni, accusato di essere una spia americana.
Quello che emerge dal film è l’idiozia, l’umorismo inconsapevole dei carcerieri e la risposta incredula prima, divertita poi, di Maziar Bahari, interpretato dal bravo Gael Garcia Bernal. Ma questo non basta a farne un buon film. Mi sono perfino annoiato. I dialoghi con il padre e la sorella che compaiono come visioni a Bahari, prigioniero in isolamento, sono risolti didascalicamente, come accade spesso nel cinema quando si rappresentano sogni, apparizioni, “pensieri in soggettiva”.
Perché Jon Stewart ha voluto raccontare con il suo primo film una storia apparentemente così lontana dal suo New Jersey e dal suo lavoro in televisione? Si dice sempre che l’opera prima caschi nell’autobiografia e, poi, chi ne è capace provi ad allontanarsi dai suoi fantasmi, almeno formalmente. E Stewart sta bene dentro il luogo comune. L’irresistibile leggerezza del prigioniero che si scontra con l’ottusità di chi è al potere è un tema drammaturgico di Shakespeare e del Gabibbo, per allargare al massimo possibile lo spettro delle possibili variazioni sul tema. Quello che è diventato il tema della comicità dell’assurdo di Stewart.
In aggiunta il film ha funzionato da risarcimento per Bahari e la sua storia. Proprio un servizio con un’intervista del Daily Show di Stewart, all’epoca delle elezioni, aveva causato l’arresto. La televisione aveva contribuito alla carcerazione ma il cinema non ha liberato del tutto Bahari. Una censura che vieta Chekhov, Pasolini e Leonard Cohen fa sorridere nel film. Ma poi pensi ai giornalisti decapitati e allora il film di Jon Stewart ti sembra racconti una storia molto privata. Come tutte le opere prime.