I graffiti di una New York che non c’è più
Dagli inizi degli anni Settanta, a New York, i graffiti che coprivano la subway sono stati criminalizzati.
Oggi, cancellata sulla metropolitana, la pittura sui muri è diventata arredamento urbano. Viene promossa da scuole, in alcuni casi perfino da proprietari immobiliari. Quella che era stata buttata dentro il cestino della “sottocultura” ora riemerge come arte per collezionisti. Gli arresti proseguono ma non fanno che far lievitare le quotazioni dei più famosi.
C’è un signore di 83 anni che ha documentato, allora, quell’epopea visiva. Si chiama Manfred Kirchheimer e la sua opera del 1981 (girata nel 1977) di 45 minuti, titolata Stations of the Elevated, è stata riportata alla luce per la critica e gli spettatori in questa settimana. Sono andato a vederla.
È stato scritto che quello di Kirchheimer è un lavoro “impressionistico”, per dire che manca di una narrazione e al suo posto c’è la musica di Charles Mingus e Aretha Franklin. Quando le vetture della subway emergono a Brooklyn, nel Bronx, spuntano anche volti, dettagli di chi abitava quei luoghi, di chi ha lavorato ai graffiti. Per contrasto appaiono grandi cartelloni pubblicitari. Questo documentario non è stato fatto in un giorno. È una collezione di immagini che andrebbe tutelata come un’opera di Basquiat, per dire della differenza tra il mondo dell’arte e quello dei documentari. Nella Manhattan simile a Lugano di oggi si potrebbe fare questo salto. Manfred ha detto di essere stato ispirato dalle Anime morte di Gogol e così ha chiamato per opposizione i graffitari “anime vive”, live souls.
The New York Times ha scritto che Scorsese, Woody Allen e Spike Lee hanno raccontato New York ma nessuno lo ha fatto con “la lealta’ e la bellezza” di Kirchheimer. Siamo alla (ri)scoperta di questo signore, arrivato a cinque anni a Manhattan, con la famiglia in fuga dalla Germania nazista e che ha poi ha vissuto insegnando cinema e girando e montando film e documentari per altri e suoi propri, spesso passati inosservati. I suoi studenti lo aiutarono nelle riprese, avvisandolo dai tetti dell’arrivo dei treni. Il documentario partecipò al New York Film Festival ma non ricette alcuna critica. Kirchheimer rimase deluso per anni da questa “distrazione” della stampa (che ora lo esalta).
Questa sinfonia di colori in movimento è girata per anni di mano in mano in cassette VHS, trattate come oggetti di culto dagli adepti. Ora, come dice il titolo e come ha voluto fare Kirchheimer con i graffiti, la sua opera è stata “elevata”, fino al trionfo della critica arrivata in leggero ritardo (34 anni dopo).
Quella New York non c’è più. Per fortuna c’era Manfred a fotografarla, quasi ogni giorno della sua vita.