New York underground, quella che cresce
Manhattan è l’isola della crescita verticale, quella che a visitarla è consigliato orientare lo sguardo verso il cielo. Per noi che veniamo dalle città orizzontali è un aggiustamento che non riesce sempre facile. Come può capitare a chi improvvisamente si trova ad usare lenti multifocali progressive. Può capitare di avere mal di testa, di tanto in tanto.
L’isola che non vediamo è quella su cui camminiamo, quella che corre sotto di noi e che è di nuovo bucata, perlustrata, immaginata come ai tempi della inaugurazione della prima linea della metropolitana nel sottosuolo della città, nel 1904. Recentemente il Village Voice ha fatto emergere, con un lungo pezzo, il mondo dei minatori urbani che ignoravamo. Dei nove grandi cantieri aperti sottoterra l’unico conosciuto era quello della subway della Second Avenue, la linea della metropolitana che manca ad est della Fifth Avenue e che correrà di fronte a Brooklyn. Chi scava nel sottosuolo di Manhattan, se lavora tutto l’anno, porta a casa circa centomila dollari l’anno. Questi minatori metropolitani sono un’aristocrazia operaia che si passa in molti casi il lavoro da generazioni. Gli incidenti non sono frequenti ma nel novembre dello scorso anno una caduta di un masso ha ucciso un operaio di 26 anni, a pochi passi dal padre. Senza contare i problemi di salute.
Incuriosito da questo mondo sottoterra, sono andato a visitare una piccola mostra nella Lower East Side che racconta per immagini e disegni l’idea di due architetti. Quella di costruire un parco sotterraneo, che hanno chiamato Low Line, per richiamare l’altro, popolarissimo, lo High Line, quella striscia verde di camminamento che corre sopraelevata per una ventina di blocchi ad ovest di Manhattan, su una linea ferroviaria degli anni Trenta, abbandonata.
È stato un dipendente della subway a raccontare a Dan Barasch, uno dei due promotori del parco sotterraneo, dell’esistenza di una stazione sotto Delancey Street, utilizzata dal 1903 al 1948 per un servizio di navette che collegava Brooklyn a Manhattan, attraverso il Williamsburg Bridge. La mostra che ho visto è titolata “Let There Be Light” (Fa’ che ci sia luce). Non servirebbe un intervento divino per illuminare il parco del sottosuolo ma quasi, fibre ottiche e tecnologia solare. È questa combinazione di archeologia industriale e Blade Runner ad avere acceso fantasie e denari. Non si contano i pezzi usciti sulla stampa e i servizi televisivi. Vi risparmio le metafore sul ventre della città, l’intestino della metropoli che nella crisi indica vie d’uscita (occupazione, commercio, turismo).
Shopping centers scavati nel sottosuolo sono sparsi in Canada e Stati Uniti e dallo stesso cubo della Apple sulla Fifth Avenue si scende, non si sale. Ma il progetto dei due immaginifici ideatori del parco Low Line è andato oltre. Ha aperto una discussione, una possibilità, non solo ingegneristica. Alle radici della città verticale si aprirebbe un mondo nuovo, che odora di antico (le citazioni sono arrivate fino all’antico Egitto). La città delle torri, simbolo della crescita e diseguaglianza, si è fermata. Ma solo in superficie. Sotto, New York è un incrocio di lavori in corso e di lavori lanciati nel futuro. Ben scavata vecchia talpa.