Da Lost a Lost
Ho visto i primi tre episodi in onda di “Alcatraz” (sulla rete Fox), la nuova serie di J.J. Abrahms, l’autore di Lost. Partenza lanciata negli ascolti, meglio di Terra Nova di Spielberg e calo del 10% nella terza puntata, giudicato fisiologico.
Il genere è science fiction-crime drama (il più apprezzato nelle ultime due stagioni), per dire di una serie drammatica con elementi fantascientici. Sono questi elementi il filo e la struttura stessa della narrazione che allontanano la serie dalle crime stories realistiche, mischiando, anche più di quanto ormai si faccia serialmente in America, gli stereotipi del buono e del cattivo. Sulla nuova isola, nel carcere per definizione, i prigionieri sono scomparsi cinquanta anni fa (con le guardie) e ricompaiono uno ad episodio come ibernati, dandoci una parziale conclusione ogni volta, a differenza di Lost. Ma questa è una delle non molte differenze con la serie che ha messo Abrams alla guida di quelli che pensano e realizzano televisione (e cinema).
Di Lost rimangono Jorge Garcia (Hurley, cioè), che è nella squadra che riprende gli evasi nel tempo, l’autore delle musiche, la produzione. Soprattutto rimane l’isola. Il micromondo in cui Abrams può chiudere i suoi personaggi ed esercitare su di loro il suo immaginario fantasmatico adolescenziale, così semplificato in questa versione Alcatraz da accostarsi parecchio a quello del suo amico Spielberg. Abrams racconta fiabe moderne.
È il pifferaio di questa fase di transumanza tra televisione e social media che si limita a spargere echi di poteri soprannaturali. Perché non dirige Alcatraz, non ha scritto Alcatraz e pare che l’idea non sia nemmeno sua. Ma ha creato “l’ambiente” per la riproduzione di questa e tante altre serie “sue”, che sono già nei palinsesti o stanno per atterrarci. Con meno sottotrame di Lost e più vicino a Fringe, l’altra sua serie a cui è affezionato.
Poi tutto come sempre funzionerà se funzioneranno i personaggi principali, se non saranno esili figurine gli altri due detectives con Garcia. Ovvero Sam Neill di Jurassic Park e Sarah Jones di Sons of Anarchy. Soprattutto Neill , l’agente federale, è quello che fa saltare il confine tra buono e cattivo. È un contenitore fisico delle sottotrame, anche lui in un’altra vita ad Alcatraz. Viaggiamo così con i flashbacks nella mitologia di Abrams che, visto che sulla serie ha messo solo il cappello della sua Bad Robot, la casa di produzione, è una specie di mitologico anche lui. Cita se stesso ma anche Hitchcock e Chandler. E trascinandosi dietro Garcia, si è portato di peso il suo passato di Lost dentro Alcatraz.
Dalla prigione di massima sicurezza sull’isola nessuno è mai riuscito ad evadere nei 29 anni in cui Alcatraz ha operato, dal 1934 al 1963, dicono le statistiche ufficiali, che non contano i tre detenuti che si volatilizzarono nel 1962. La loro storia è quella del film Fuga da Alcatraz. Meno di un anno dopo il Ministro della Giustizia Robert Kennedy chiuse definitivamente il carcere.
I viaggi nel passato, la possibilità di vivere più vite e sconfiggere la successione temporale, sono storie che abbiamo dentro e in Acatraz sono racchiuse, liberate e riempite di misteri. Ci sono segreti (come quello del nonno di Sarah, guardia) che si accumulano pur nella compiutezza dei singoli episodi. Se 302 sono gli scomparsi di Alcatraz, Abrams e gli autori si sono dati un obiettivo di lunga durata: arrivare a 300 episodi.