Le cinque serie tv americane dell’anno
Forse non ci sono più le mezze stagioni, in the real world. Ma in televisione sì e con il season finale di Homeland di ieri si può andare punto e a capo perché arriva Natale e si chiude l’anno. È tempo di winners and losers, di pagelle ovunque ed ecco quello che ho visto, rivisto perché mi piaceva, scartato alla prima puntata perché la vita è breve.
Intro. Vedo tanta politica sulle cable TV (FoxNews, CNN, MSNBC) e questa è una storia a parte fatta di un impasto con i social networks che nella televisione italiana non esiste. Quando vedo il banchetto (italico) a parte con quello/a messo/a in studio a compulsare Twitter, Facebook, mi vorrei ammazzare. Nel paese in cui quelli di Politico e i bloggers hanno rivoltato la politica, quattro direttori dei principali quotidiani seduti in studio non li vedi mai. Hanno altro da fare. Essendomi fatto così quattro amici in più, ancora solo due parole sul giornalismo investigativo che in Italia resiste solo (Report) e qua s’illumina di immenso da secoli con 60 Minutes (CBS) e Frontline (PBS) in partnership con i Pulitzer di ProPublica. Sempre meglio e con cellule virtuose ormai sparse anche nei telegiornali, che senza di queste non avrebbero più motivo di esistere, superati dalla rete. Discorso bello, da rimandare ad altro post. Quindi ecco i vincitori, dal primo al quinto posto e poi, in ordine sparso, gli scartati e anche i sopravvalutati.
1) Homeland (Showtime)
Parto da quello che ha scritto sul New York Times Magazine Heather Havrileski. Da Lost in poi si è sviluppato un trend nella scrittura delle drama series che consisterebbe nello spargere indizi a capocchia che conducono al nulla e non verrebbero più curate la costruzione del racconto, lo sviluppo dei caratteri, la sintesi e l’acume dei dialoghi ( esempi gloriosi The Sopranos, The Wire, Mad Men, Breaking Bad, Six Feet Under). Io che ho abbandonato Lost dopo la prima stagione proprio per quella fioritura citazionista new age che si capiva andava nowhere, mi sono innamorato di Homeland, al contrario della Havrilesky. Perché nella storia del sergente dei marines prigioniero in Iraq, tornato a casa non sappiamo se complice del nemico terrorista e il rapporto con l’agente (bipolare) della CIA, ci vedo la complessità di una vita che rovescia continuamente i luoghi comuni del right and wrong, di chi sta sempre dalla parte della ragione (la sua). Si, la seconda stagione potrebbe andare verso l’implosione (alla Lost e al bello The Killing, caduto nel finale). Ma diamo fiducia ai due creatori della serie Gordon e Gansa (quelli di 24 ) che conoscono il mestiere ed hanno adattato l’idea di partenza che viene da Israele. E poi Damian Lewis e Claire Danes (gli attori) sono davvero bravi.
2) Breaking Bad (AMC)
Quarta stagione e la prossima, a sentire il creatore Gilligan, dovrebbe essere l’ultima. È la serie girata meglio, la più laica, la meno ideologica, quella che ha messo AMC (con Mad Men) tra le reti pigliatutto agli Emmy.
3) Louie (FX)
Louis CK fa tutto lui ( scrive, dirige, interpreta) in queste mezze ore in cui srotola pezzi della sua vita in un anda e rianda che non è sempre necessariamente comico. È anche come è la vita, non sempre da sganasciarsi dalle risate.
4) Community e Parks and Recreation (NBC)
Le due sitcom che mi piacciono più di Modern Family, la pluripremiata che piace alla famiglia Obama. Meno prevedibili, meno imprigionate in caratteri stereotipati, più libere di andare a cercare riforme possibili nel genere televisivo più amato dalle famiglie americane.
5) Enlightened (HBO)
Non ero sicuro di mettere in classifica questa, a volte disturbante, serie su mobbing e corporations e fino alla fine ero per Justified (FX) che merita senz’altro di più. Ma poi ho pensato a quale poteva essere la cosa televisiva più vicina a The Protester, <a href="https://www.ilpost.it/2011/12/14/la-persona-dellanno-di-time/"la persona dell'anno per Time, ed è venuta fuori lei, Laura Dern, che sta qua più per meriti non proprio tutti suoi.
Gli scartati sono tantissimi e in molti casi si vanno a confondere con i sopravvalutati. Buttati nel cestino i vari Pan Am, The Playboy Club e Charlie’s Angels, messe in standby robe lodatissime dalla critica (Downtown Abbey, Game of Thrones) rimangono le opere dei grandi registi almeno presenti nella fase iniziale o anche dopo come executive producers. Terra Nova (Spielberg) si è rivelato un implausibile pasticcio con caratteri scolpiti nell’acciaio. Boardwalk Empire (Scorsese) alla seconda stagione si è incartato in una compiaciuta estetica gangsteristica, lasciando per strada la narrazione. Boss (Gus Van Sant) era quello che su cui puntavo di più per la regia e la storia (il sindaco corrotto di Chicago). Non è mai partito. Ho aspettato sempre che succedesse qualcosa e ho abbandonato la camera che si addormentava su monologhi senza fine e soggettive senza perché.
Per cui poi alla fine uno si chiede se sia vero quello che abbiamo passato una vita a dire. Che la televisione americana è meglio del cinema. Sì, ma solo quando la fanno quelli che fanno la televisione. Che non è sempre vero ma tanto per chiudere.