La lega leninista di Maroni
Ieri a Roma ho raccolto di prima mano una preziosa testimonianza storico-teorica di Bobo Maroni, oggi ottimo ministro dell’Interno e già compagno d’arme della prima ora di Umberto Bossi. Stavo presentando il bel libro di Cristina Giudici sulle donne della Lega (“Leghiste. Pioniere di una nuova politica”, Marsilio 2010) e ho avuto la pessima idea di parlar bene della Lega da un punto di vista che un tempo avremmo definito “funzionalistico”: ovvero dicendo che agli occhi di un amante della politica e dei partiti come sono io (amante costretto alla castità, perché ora come ora c’è ben poco di che alimentare la passione) la Lega svolge una funzione molto preziosa nel ravvivare il legame tra eletti ed elettori, nel promuovere nuove classi dirigenti, nel gratificare chi intende far politica dal basso.
Maroni mi ha risposto che di Lega avevo capito poco, perché il suo partito in realtà si ispira a Lenin. Il quale “sapeva cos’era un partito: migliaia di persone da motivare, uno che comanda e gli altri che eseguono un progetto”. A parte che non è vero, perché Lenin non fu mai un caporale che “comandava” ma il capo carismatico di un gruppo dirigente (che fino al 1917 non smise mai di insidiarne l’autorità). A parte che il partito bolscevico era un’organizzazione di rivoluzionari clandestini che se ne infischiava del consenso democratico (e quell’unica volta che si trovò di fronte un’assemblea elettiva nella quale era minoranza, l’Assemblea costituente, la sciolse d’arbitrio senza troppi complimenti). A parte che “il progetto” di Lenin non è poi stato quel successone che forse Maroni auspica per la Lega (oltre ad essersi rivelato abbastanza pesante per la pelle dei russi e dei molti altri che vi hanno avuto a che fare).
A parte tutto questo: ma è mai possibile che nemmeno un partito che sembra popolare e democratico riesce a rappresentarsi come un normale partito che fa quello che i normali partiti fanno in tutto il mondo occidentale? Il leghismo-leninismo di Maroni è la copia perfetta e opposta del “partito leggero” di Veltroni, del partito di sconfitti ma convinti di alfabetizzare l’Europa socialdemocratica di D’Alema, del partito di venditori di Berlusconi: ovvero l’ennesima bizzarria pseudo-teorica che ci tocca ascoltare in un paese che ancora non riesce ad accettare di aver bisogno di partiti normalmente democratici.